Convivenze, coppie di fatto, unioni civili

UN PODI STORIA
LA CONVIVENZA IN ITALIA
STATISTICHE
LE TESI CATTOLICHE
LEGGI ITALIANE E DIRITTI NEGATI
ADOZIONI DA PARTE DI COPPIE NON SPOSATE
I REGISTRI PER LE UNIONI CIVILI
FINALMENTE UNA LEGGE
PERCORSI DI APPROFONDIMENTO

UN PODI STORIA

L’unione di due persone conviventi, non sancita dal matrimonio, è antica come il mondo. Tuttavia, quasi sempre questa particolare relazione ha avuto vita solo nell’ombra: spesso perseguitata, nella migliore delle ipotesi tollerata.

Solo nel XIX secolo, a opera principalmente di alcune letterate coraggiose, essa ha assunto una rilevanza e una dignità propria, soprattutto nella veste di opposizione alle norme discriminatorie contenute nelle leggi matrimoniali che pongono il coniuge femminile in una condizione di generale subalternità. Le rivendicazioni a favore delle libere unioni si diffusero grandemente e, verso la fine del XX secolo, la legislazione della gran parte degli Stati del mondo occidentale ha sancito una quasi sostanziale equiparazione tra convivenza e matrimonio.

LA CONVIVENZA IN ITALIA

Nel nostro Paese la pesante influenza cattolica ha storicamente caratterizzato la legislazione anche in questa materia: ad esempio, solo nel 1919 la donna sposata ottenne la piena capacità di agire e di disporre dei propri beni.

Per tutti gli anni ’50 il concubinato adulterino fu punibile per legge: mentre bisognerà attendere il 1955 perché dalle carte d’identità sparisse l’obbligo dell’indicazione della paternità (e di figlio di NN) e, addirittura, il 1975 affinché fosse concesso anche alla madre di esercitare la patria potestà sui minori. Nell’ambito di tale riforma del diritto di famiglia, tuttavia, si evitò accuratamente di normare la convivenza.

Oggi che tantissime coppie convivono, oggi che anche la pubblicità propone ripetutamente modelli di famiglia non tradizionale (e, come afferma un creativo, «essa si limita a registrare quello che avviene nella società»), ebbene, ancora oggi in Italia manca una legislazione sulla materia.

La politica sembra non coglierne l’importanza: solo recentemente, e non dappertutto, le convivenze hanno fatto capolino in alcuni bandi regionali per la concessione di alloggi in edilizia popolare, generalmente con un punteggio più basso rispetto alle coppie sposate perché la Costituzione dà priorità alla famiglia fondata sul matrimonio. Nell’inerzia del legislatore alcuni Comuni e Regioni hanno preso iniziative, anche di tipo economico, per il riconoscimento delle coppie di fatto. Nel giugno 2006 la Regione Puglia ha varato una legge regionale che estende i servizi sociali alle unioni di fatto e alle coppie gay.

STATISTICHE

Le coppie di fatto eterosessuali italiane nel 2014 sono, secondo l’ISTAT, oltre un milione. Una stima probabilmente al ribasso, se si pensa che, secondo la stessa ISTAT, un neonato su tre è ormai figlio di genitori non sposati. La cifra è comunque in vertiginoso aumento: in vent’anni è letteralmente decuplicata.

Altre rilevazioni ISTAT (dicembre 2000) riportavano che 893.000 matrimoni (il 4,6% del totale)  erano preceduti da una convivenza, ma la cifra non dava adeguatamente l’idea del cambiamento di costume intervenuto: solo il 2,5% delle persone sposate prima del 1988 aveva fatto questa esperienza, contro il 12,8% di quelle convolate a nozze negli anni più recenti.

L’Italia è tuttavia il paese europeo in cui è più diffuso il fenomeno del matrimonio diretto, non preceduto da una convivenza. Del resto è anche il paese in cui il fenomeno della convivenza è meno diffuso. Vi sono peraltro anche forti differenze a livello regionale: mentre le regioni del centro-nord sono più vicine a livelli europei, in quelle del sud sono un fenomeno ancora molto marginale.

I sondaggi condotti sulla materia evidenziano comunque tutti il sostanziale favore della maggioranza della popolazione italiana al riconoscimento di diritti alle coppie non sposate.

LE TESI CATTOLICHE

Nonostante i sondaggi sfavorevoli, la posizione cattolica resta assolutamente intransigente: nessun riconoscimento per i conviventi né a livello governativo né a livello locale, in caso contrario lo scontro è totale, specialmente in Italia dove gli aut-aut del Vaticano vengono presi in seria considerazione.

Lo stanziamento di fondi a favore delle coppie di fatto da parte della Regione Lazio, ad esempio, costò al suo presidente Piero Badaloni prima una violenta campagna di stampa da parte dell’Osservatore Romano e, in seguito, l’esplicito e decisivo appoggio delle gerarchie vaticane al suo rivale Francesco Storace nelle elezioni del 2000. È doveroso segnalare che, nel dicembre 2005, la successiva giunta regionale dispose l’estensione alle coppie gay di alcune provvidenze economiche.

L’ingerenza ecclesiastica è apertamente rivendicata. Il Pontificio Consiglio per la Famiglia ha prodotto il 26 luglio 2000 un documento intitolato Famiglia, matrimonio e unioni di fatto, con il quale i governi venivano esplicitamente sollecitati a cancellare le leggi, ove esistenti, a sostegno delle unioni civili. Le tesi sono sempre le stesse e «puzzano» di stantìo: «l’uguaglianza di fronte alla legge deve rispettare il principio di giustizia, che esige che si tratti ciò che è uguale come uguale, ciò che è diverso come diverso […] Le unioni di fatto sono conseguenza di rapporti privati e su questo piano privato dovrebbero restare».

Il 26 gennaio 2003, il papa ha definito le unioni affettive diverse dal matrimonio «una caricatura della famiglia». Il 28 marzo 2007 la Conferenza Episcopale Italiana ha emesso una nota pastorale, ancora una volta estremamente chiusa a ogni riconoscimento delle unioni civili.

La linea è così chiara ed esplicita che c’è stato qualche parroco che si è addirittura rifiutato di battezzare il figlio di una coppia di fatto.

Non tutto il mondo cattolico è così monoliticamente ossessionato dalle coppie “peccaminose”: l’Azione Cattolica nel marzo del 2000, pur condannando la votazione del Parlamento europeo sulle coppie gay, ha ammesso che le tante richieste di legalizzazione sono la spia di una «situazione di sofferenza» a cui si dovrebbe «andare incontro».

LEGGI ITALIANE E DIRITTI NEGATI

In Italia è mancata a lungo una legge che disciplini l’argomento. Per di più, nel nostro paese ci troviamo alle prese con un testo costituzionale che, all’articolo 29, comma 1, recita: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio»: interpretazioni riduttive da parte di esponenti cattolici vi hanno visto addirittura l’impossibilità del legislatore a intervenire sulle convivenze.

Nel vuoto legislativo, ad aprire varchi è stata dunque la giurisprudenza, “costretta” dalla dimensione del fenomeno a intervenire laddove la Chiesa cattolica non avrebbe voluto. Diverse sentenze hanno quantomeno sancito la possibilità di non restituire quanto sia stato spontaneamente ricevuto dall’altro convivente. Nell’aprile 2000 la Cassazione ha altresì riconosciuto il diritto di un lavoratore a ottenere dall’INAIL un indennizzo per un infortunio in cui era incorso sul tragitto lavoro-casa, laddove la casa era quella della propria compagna convivente. Una sentenza della Cassazione del gennaio 2006, infine, concernente un detenuto a cui è stato negato il patrocinio gratuito perché il reddito della convivente costituisce “reddito familiare”, ha sostenuto l’equiparabilità alla famiglia delle coppie di fatto. Anche la Corte Costituzionale si è dovuta interessare alla convivenze con alcune sentenze: la numero 404 del 1988 ha esteso al convivente il diritto di successione nel canone di locazione, mentre la numero 372 del 1994 ha riconosciuto, in caso di uccisione del convivente, il c.d. danno morale subito al partner superstite.

Per quanto riguarda i figli non ci sono differenze tra famiglia legittima e famiglia di fatto, poiché dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 i figli legittimi e quelli naturali sono stati equiparati giuridicamente. Da ultimo, convivere può comportare anche la negazione di una promozione all’interno della pubblica amministrazione, come ha sostenuto un’incredibile sentenza del tar del Lazio dell’aprile 2016.

Le coppie gay e lesbiche soffrono, in Italia, degli stessi problemi delle coppie eterosessuali.

ADOZIONI DA PARTE DI COPPIE NON SPOSATE

Ai conviventi non è consentito adottare bambini.

Ciò può portare anche a conseguenze drammatiche: il 9 giugno 2000 un’ordinanza del giudice Francesca Ceroni costrinse poliziotti e carabinieri a effettuare un blitz presso un casolare grossetano, allo scopo di sottrarre la piccola Martina alla coppia a cui era stata affidata per destinarla a una famiglia «in regola».

La legge sulle adozioni, approvata in via definitiva il 12 marzo 2001, persevera nel vietare l’adozione ai conviventi, a meno che non convivano da tre anni e promettano di sposarsi. Tutto a causa della contrarietà di alcuni ministri cattolici all’interno del Governo: e pensare che proprio il vescovo di Grosseto, commentando il caso di Martina, aveva tuonato contro la «giustizia farisea» che la sottraeva alla propria famiglia!

Nel marzo 2015 la contrarietà di esponenti cattolici del Pd ha portato la presentatrice Francesca Puglisi a ritirare la proposta di un emendamento che avrebbe fatto cadere la clausola della coppia sposata. La legge che ne è scaturita continua pertanto a presentare tale discriminazione.

I REGISTRI PER LE UNIONI CIVILI

La legge 142/90 sulle autonomie locali ha portato una ventata di aria fresca: la concessione ai Comuni della potestà statutaria ha permesso ad alcuni municipî l’istituzione di un registro per le unioni civili. Non sono moltissimi (l’elenco completo è pubblicato su Enciclopegaya), e spesso hanno dovuto far corso a notevoli lotte con gli organismi regionali di controllo.

Il Comune di Montebruno (GE), un paese ligure di soli trecento abitanti, è andato anche più in là: ha consentito la registrazione pure a chi non è residente. Il suo sindaco Federico Marenco è stato più che esplicito: «voglio solo riparare a quella grave ingiustizia che l’Italia porta avanti contro le coppie non canoniche».

Il comune di Padova, nel dicembre 2006, ha adottato una mozione che riconosce le convivenze come “famiglie anagrafiche” e autorizza l’ufficio anagrafe a rilasciare certificati relativi allo stato di famiglia. Il provvedimento è stato oggetto di aspre critiche da parte del mondo cattolico.

FINALMENTE UNA LEGGE

Diversi progetti di legge sono stati presentati, a partire dagli anni ’80, rimanendo purtroppo sempre senza esito, nonostante abbiano raccolto un sostegno trasversale da esponenti di diversi partiti (per le proposte avanzate nella XV legislatura consulta l’Osservatorio Parlamentare).

Durante la XIII legislatura (1996-2001), le ministre per le Pari Opportunità Laura Balbo e Katia Bellillo elaborarono la bozza di un disegno di legge col quale rendere validi i patti tra conviventi circa la divisione dei beni. Il provvedimento, però, nemmeno giunse in discussione al Consiglio dei Ministri a causa dell’ostinata opposizione di Patrizia Toia, ministro per i Rapporti con il Parlamento.

Nella primavera 2002, invece, il ministro del welfare Roberto Maroni (Lega Nord) manifestò l’intenzione di concedere sgravi fiscali alle giovani coppie, «solo se sposate», suscitando l’incondizionato plauso dei vescovi.

Il programma della coalizione di centrosinistra, uscita vincitrice dalle consultazioni politiche dell’aprile 2006, formulava l’impegno (frutto di un compromesso) di introdurre nella legislazione il «riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di fatto. Al fine di definire natura e qualità di un’unione di fatto, non è dirimente il genere dei conviventi né il loro orientamento sessuale. Va considerato piuttosto, quale criterio qualificante, il sistema di relazioni (sentimentali, assistenziali e di solidarietà), la loro stabilità e volontarietà».

L’8 febbraio 2007 il Consiglio dei Ministri, su proposta delle ministre Bindi e Pollastrini, approvò un disegno di legge in merito. Il provvedimento non spiccava certo per la sua radicalità: sembrava piuttosto contenere il minimo indispensabile per ottenere l’appoggio dei teodem (Binetti, Bobba, ecc) che facevano parte della maggioranza di governo. Ciononostante, forti critiche si levatrono dal mondo cattolico.

L’articolato fu inviato al Parlamento per la discussione nelle commissioni e poi in aula. Nel frattempo, però, il progetto era già uscito dai dodici punti programmatici del governo Prodi. Contro l’adozione di tale provvedimento il mondo cattolico organizzò il 12 maggio 2007 una grande manifestazione in piazza san Giovanni a Roma, a cui rispose l’ancor più grande partecipazione al Gay Pride 2007. La caduta del governo Prodi, all’inizio del 2008, pose tuttavia fine a ogni speranza di riconoscimento, nonostante la fugace proposta dei ministri Rotondi e Brunetta, nel settembre 2008, di introdurre i DiDoRe (Diritti e Doveri di Reciprocità dei conviventi).

All’inizio del 2014 la questione è stata riproposta in forma minimale dal segretario Pd Matteo Renzi, che ha tuttavia suscitato le reazioni contrariate dei suoi partner di governo del Nuovo Centrodestra. Renzi, diventato primo ministro, ha poi continuato a promettere la rapida approvazione di una legge, senza però che si avviasse concretamente alcuna discussione parlamentare. Il disegno di legge Cirinnà è stato oggetto di incessanti critiche da parte dei vertici ecclesiastici e dei politici clericali, ed è stato più volte ammorbidito - nonostante questo, senza successo. Alla fine è stato approvato dal Senato, ma solo attraverso il voto di fiducia su un testo che, previa intesa del Pd con l’Ncd, era stato privato del riconoscimento della stepchild adoption. Nel maggio 2016 il testo è finalmente diventato legge (n. 76: i decreti attuativi sono diventati realtà soltanto a gennaio 2017), anche se rappresenta non più di un punto di partenza, soprattutto per quanto riguarda i diritti degli omosessuali.

Le prime unioni civili sono state celebrate in luglio, e in diversi casi ci si è dovuti confrontari con sindaci clericali intenti a ostacolare il nuovo diritto. Una sentenza del Tar della Lombardia dovrebbe però ridurli a più miti consigli. Una sentenza della Cassazione del gennaio 2017 ha riproposto i limiti della nuova legge: secondo la Suprema Corte, in pratica, uccidere il/la convivente è meno grave che uccidere il/la coniuge. Un’altra sentenza della Corte Costituzionale, nel 2018, ha poi negato ogni possibilità di ottenere il riconoscimento del doppio cognome.

PERCORSI DI APPROFONDIMENTO