Sentenza Corte Costituzionale n. 372 del 27 ottobre 1994

«Risarcimento del danno morale al convivente superstite»

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:


    Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
    Prof. Gabriele PESCATORE, Giudice
    Avv. Ugo SPAGNOLI, Giudice
    Prof. Antonio BALDASSARRE, Giudice
    Prof. Vincenzo CAIANIELLO, Giudice
    Avv. Mauro FERRI, Giudice
    Prof. Luigi MENGONI, Giudice
    Prof. Enzo CHELI, Giudice
    Dott. Renato GRANATA, Giudice
    Prof. Giuliano VASSALLI, Giudice
    Prof. Francesco GUIZZI, Giudice
    Prof. Cesare MIRABELLI, Giudice
    Prof. Fernando SANTOSUOSSO, Giudice
    Avv. Massimo VARI, Giudice
    Dott. Cesare RUPERTO, Giudice

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2043 e 2059 del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 27 ottobre 1993 dal Tribunale di Firenze nel procedimento civile vertente tra Sgrilli Piero ed altri e Colzi Marco ed altra, iscritta al n. 777 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 1994.

Udito nella camera di consiglio del 25 maggio 1994 il Giudice relatore Luigi Mengoni.

Ritenuto in fatto

  1. Nel corso di un giudizio civile, promosso da Piero Sgrilli ed altri contro Marco Colzi e la s.p.a. MEIE Assicuratrice per il risarcimento dei danni conseguenti alla morte di un proprio congiunto cagionata da un incidente stradale, il Tribunale di Firenze, con ordinanza del 27 ottobre 1993, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 2043 cod. civ. e, in subordine, dell’art. 2059 cod. civ., «nella parte in cui non consentono il risarcimento del danno per violazione del diritto alla vita».
  2. L’ordinanza non precisa se nella specie la morte dell’infortunata é stata immediata oppure é sopravvenuta dopo un periodo di infermità. Ma i referenti di fatto dell’argomentazione lasciano arguire che si versa nel primo caso.

  1. 1. Premesso che la domanda di risarcimento deve considerarsi proposta alternativamente iure successionis o iure proprio, il giudice remittente osserva, con riguardo al primo profilo, «che non si tratta di accertare se in conseguenza della morte del soggetto si sia determinato un vero e proprio danno biologico in senso stretto (o fisiologico) risarcibile, ma se dalla lesione del diritto alla salute tutelato dall’art. 32 Cost. o, comunque, dalla lesione del diritto alla vita, nasca un conseguente diritto al risarcimento del danno in capo agli eredi». Invero, la costruzione teorica della lesione del diritto alla salute elaborata dalla sentenza n. 184 del 1986 di questa Corte - secondo cui il danno alla salute si identifica con l’illecito costituito dal fatto menomativo della salute fisio-psichica del soggetto offeso, e «in quanto tale costituisce un danno presunto» - deve essere estesa «alla ancor più pregnante ipotesi di violazione del diritto alla vita», in ordine al quale «poco conta che la norma di riferimento sia l’art. 32 Cost. ovvero l’art. 2 Cost. o il combinato disposto di entrambe le norme».
  2. Ciò posto, l’ordinanza ritiene che «se la lesione della salute é l’intrinseca antigiuridicità obiettiva dell’evento dannoso, del tutto distinto dalle conseguenze», la violazione del diritto alla vita appare «idonea a determinare effetti risarcitori in quanto tale, cioè a prescindere dalle conseguenze possibili, ma solo eventuali (non solo per quanto attiene al danno patrimoniale, ma altresì per quanto attiene al danno morale, stante la norma di cui all’art. 2059 cod. civ.)».
    L’argomento contrario alla trasmissibilità agli eredi del diritto al risarcimento desunto dalla natura personalissima del diritto alla vita e alla salute confonde questo diritto, sicuramente non patrimoniale, col diritto patrimoniale (credito) al risarcimento dei danni prodotti dalla lesione del diritto.

    Il vero ostacolo, conclude il giudice remittente, é costituito dalla natura non patrimoniale del danno insito nella lesione del diritto alla salute (o alla vita) per sé considerata, mentre «non sfugge che una lettura dell’art. 2043 cod. civ. all’interno del titolo IX del libro IV del codice civile può indurre a ritenere risarcibile il solo danno produttivo di conseguenze patrimoniali».

    Se così é, l’art. 2043, in quanto non consente il risarcimento della lesione, per sé considerata, dei diritti primari alla salute e alla vita, non solo contrasta con gli artt. 2 e 32 Cost., ma pure con l’art. 3 Cost. Invero, dopo le sentenze nn. 356 e 485 del 1991 di questa Corte, la rendita corrisposta dall’INAIL ai superstiti del lavoratore deceduto in seguito all’infortunio include una funzione di ristoro anche del danno biologico, «almeno per quella parte che appare riconducibile alla mera attitudine a produrre reddito». Si verificherebbe perciò «una inammissibile violazione del principio di eguaglianza: l’illecito previdenziale riceverebbe un trattamento giuridico privilegiato rispetto all’illecito civile, tutte le volte in cui la conseguenza dell’illecito fosse la morte del soggetto leso».

  1. 2. Qualora si ritenesse che l’art. 2043 cod. civ., in quanto destinato a regolare il risarcimento del danno patrimoniale, non può essere censurato perché non prevede la risarcibilità dei danni non patrimoniali connessi a violazioni del diritto alla salute o del diritto alla vita, la censura dovrebbe rivolgersi contro l’art. 2059 cod. civ., sia perché generalmente interpretato in senso ristretto al solo danno morale soggettivo, sia perché limita il risarcimento alle ipotesi di illecito penale.
  2. Passando ad esaminare la domanda di risarcimento come proposta iure proprio, l’ordinanza afferma che «non si vede quale ostacolo possa porsi, almeno in astratto (cioè in riferimento alla costruzione dommatica dell’istituto), a ritenere che in presenza e a causa della morte del soggetto leso si determini l’evento (naturalistico) di una rilevante lesione dell’integrità psico-fisica (con evidente accentuazione dell’aspetto psichico della stessa) in danno degli stretti congiunti» ed esclude che «un danno siffatto possa in qualche modo confondersi col danno morale subiettivo, pena la confusione tra nozioni completamente diverse, quali il danno evento e il danno conseguenza».
  3. La configurazione del danno biologico a causa di morte come dovuto iure proprio é stimata «più agevole e forse anche più corretta nelle sue conseguenze concrete», sia perché limita il risarcimento agli stretti congiunti, sia perché apre la via della prova contraria all’esistenza del danno, che invece, secondo l’altra costruzione, sarebbe presunta.

    Ma anche questa configurazione urterebbe contro le difficoltà di ordine positivo esposte nella prima parte: «gli stretti congiunti, che a causa della morte del parente abbiano effettivamente subìto una apprezzabile menomazione della propria integrità psico-somatica, non potrebbero invocare la tutela dell’art. 2043 cod. civ., posto che l’ingiustizia del danno risarcibile, secondo l’interpretazione prima delineata, non prescinderebbe dall’alterazione in peggio di pregresse utilità economiche».

    Inoltre, ammessa la risarcibilità del danno alla salute nelle ipotesi in cui esso si identifica con la lesione dell’integrità fisio-psichica dello stesso soggetto, e quindi é presunto, «si determinerebbe una inammissibile disparità di trattamento (in peggio) in riferimento a tutti quei soggetti che vedessero menomata la propria integrità psico-fisica a causa della morte di un familiare, piuttosto che a causa di un comportamento lesivo direttamente e oggettivamente posto in essere nei propri confronti». In spregio all’art. 3 Cost., «riceverebbero discipline profondamente diverse situazioni sostanzialmente identiche, essendo identiche le posizioni soggettive lese».

    Anche sotto il secondo profilo viene sollevata in via subordinata, per le medesime ragioni, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2059 cod.civ.

Considerato in diritto

  1. Il Tribunale di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 2043 cod. civ. e, in subordine, dell’art. 2059 cod. civ., «nella parte in cui non consentono il risarcimento del danno per violazione del diritto alla vita».
  2. La questione é proposta sotto entrambi i profili di risarcibilità del danno prospettati in questa ipotesi dalla giurisprudenza: ai congiunti della vittima una parte (minoritaria) dei giudici accorda, iure hereditario, un risarcimento riferito alla lesione patita da colui che in conseguenza del fatto illecito ha perduto la vita, mentre la maggioranza non riconosce se non la risarcibilità iure proprio del danno alla salute eventualmente derivato ai familiari a causa della morte dell’offeso. Sebbene connesse, la seconda essendo una qualità della prima, vita e salute sono beni giuridici diversi, oggetto di diritti distinti, sicché la lesione dell’integrità fisica con esito letale non può considerarsi una semplice sottoipotesi di lesione alla salute in senso proprio, la quale implica la permanenza in vita del leso con menomazioni invalidanti.

    L’ordinanza non intende investire impropriamente il giudice delle leggi della soluzione del contrasto interpretativo insorto nella giurisprudenza, ma piuttosto promuovere, in relazione all’una e all’altra delle soluzioni ipotizzate, il riesame della questione di conformità del diritto positivo all’imperativo costituzionale di tutela risarcitoria dei diritti fondamentali alla vita e alla salute, con riguardo a un caso differente da quello contemplato dalla sentenza di questa Corte n. 184 del 1986.

    La tutela non può attuarsi se non con la mediazione del sistema della responsabilità civile organizzato dall’ordinamento legislativo: sistema che solo il legislatore può modificare. Occorre perciò esaminare se nell’ipotesi denominata (con formula equivoca) «danno biologico da morte» ricorrano, nell’uno o nell’altro dei due sensi sopra distinti, tutte le condizioni alle quali il risarcimento é subordinato dall’art. 2043 c.c. Altrimenti, la questione dovrà essere spostata sull’art. 2059.

  3. 1. Sotto il primo profilo la questione non é fondata.
  4. Incoerentemente con la distinzione, riconosciuta anche dall’ordinanza, del diritto alla vita dal diritto alla salute, l’ipotesi di risarcibilità iure hereditario del danno biologico a causa di morte é valutata dal giudice rimettente alla stregua della costruzione teorica del danno alla salute elaborata dalla sentenza citata, peraltro non rettamente compresa. Là dove qualifica come «presunto» tale danno, identificandolo col fatto (illecito) lesivo della salute, essa intende dire che la prova della lesione é, in re ipsa, prova dell’esistenza del danno (atteso che da una seria lesione dell’integrità fisio-psichica difficilmente si può guarire in modo perfetto), non già che questa prova sia sufficiente ai fini del risarcimento. É sempre necessaria la prova ulteriore dell’entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall’art. 1223 cod. civ., costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale), alla quale il risarcimento deve essere (equitativamente) commisurato. Il fraintendimento ha indotto il giudice rimettente a ritenersi dispensato dall’esaminare - prima di interrogarsi sulla risarcibilità del danno iure successionis - se un diritto di risarcimento sia effettivamente entrato nel patrimonio del defunto.

    Inoltre, il trasferimento dell’impianto teorico della sentenza n. 184 - costruito sull’ipotesi di «menomazione dell’integrità psico-fisica dell’offeso, che trasforma in patologia la stessa fisiologica integrità» - alla diversa ipotesi di lesione dell’integrità fisica immediatamente letale (senza il tramite di una fase intermedia di malattia), sul riflesso che la morte é la massima lesione possibile della salute, ha portato a una conclusione paradossale. Nella seconda ipotesi l’evento morte viene escluso dagli elementi costitutivi del fatto illecito e annoverato tra i danni conseguenza, irrilevanti secondo la detta costruzione dogmatica: «se la lesione alla salute é l’intrinseca antigiuridicità dell’evento dannoso, del tutto distinto dalle conseguenze, appare evidente che l’evento morte, per quanto ravvicinato sia all’evento lesione, non può che porsi ontologicamente, prima che temporalmente, tra le conseguenze del fatto: é, cioé, una conseguenza della violazione; ma la lesione del bene salute, e con essa il danno evento, si é già verificata». Ma con ciò - una volta corretto l’errore che rapporta il danno risarcibile alla lesione per se stessa, indipendentemente dalle conseguenze pregiudizievoli - si finisce col dar ragione alla giurisprudenza contraria ad ammettere pretese risarcitorie iure hereditario: giurisprudenza fondata sull’argomento, risalente a una non recente sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione (n. 3475 del 1925), secondo cui un diritto di risarcimento può sorgere in capo alla persona deceduta limitatamente ai danni verificatisi dal momento della lesione a quello della morte, e quindi non sorge in caso di morte immediata, la quale impedisce che la lesione si rifletta in una perdita a carico della persona offesa, ormai non più in vita.

  1. 2. L’ostacolo a riconoscere ai congiunti un diritto di risarcimento in qualità di eredi non proviene dunque, come pensa il giudice a quo, dal carattere patrimoniale dei danni risarcibili ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., bensì da un limite strutturale della responsabilità civile: limite afferente sia all’oggetto del risarcimento, che non può consistere se non in una perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva, sia alla liquidazione del danno, che non può riferirsi se non a perdite. A questo limite soggiace anche la tutela risarcitoria del diritto alla salute, con la peculiarità che essa deve essere ammessa, per precetto costituzionale, indipendentemente dalla dimostrazione di perdite patrimoniali, oggetto del risarcimento essendo la diminuzione o la privazione di valori della persona inerenti al bene protetto.
  2. Pertanto, sotto il primo profilo, la prospettata illegittimità costituzionale delle norme denunziate per contrarietà agli artt. 2 e 32 Cost. non sussiste. Di non facile comprensione é poi il confronto, instaurato ai fini dell’art. 3 Cost., con la disciplina delle prestazioni previdenziali per infortunio sul lavoro, modificata dalle sentenze nn. 356 e 485 del 1991 di questa Corte, ulteriormente sviluppate dalla sent. n. 37 del 1994, in relazione all’ipotesi di infortunio inabilitante. Da tali pronunce non si può argomentare che in caso di infortunio mortale la rendita corrisposta dall’INAIL ai superstiti include il risarcimento del danno biologico derivato al lavoratore per la parte «riconducibile alla mera attitudine a produrre reddito»: questo tipo di danno non é configurabile proprio perché l’assicurato é morto. La rendita spetta iure proprio ai superstiti indicati dall’art. 85 del d.P.R. 30 giugno 1965, n.1124 (modificato dalla legge 10 maggio 1982, n. 251), giusta una regola analoga a quella dell’art. 1920, terzo comma, cod.civ. (estranea all’istituto della responsabilità civile), ed é destinata a indennizzare forfettariamente il pregiudizio patrimoniale sofferto a ragione del loro rapporto di dipendenza economica col defunto, mentre il danno biologico ad essi eventualmente derivato dalla morte del familiare é disciplinato dal diritto comune.

  3. 1. Sotto il profilo del «danno alla salute iure proprio» la questione é infondata in relazione all’art. 2043 cod. civ., ed é infondata, nei sensi appresso precisati, anche in relazione all’art. 2059 cod. civ.
  4. Il secondo profilo é prospettato quasi si trattasse di un titolo concorrente, in via alternativa, di risarcibilità del medesimo danno.

    Tuttavia non sfugge al giudice a quo la diversità di oggetto della pretesa risarcitoria avanzata iure proprio, in quanto riferibile non alla lesione dell’integrità fisica patita dalla vittima, ma al danno alla salute che l’evento mortale ha causato al familiare in forma di patologia fisio-psichica permanente.

    Contro la pretesa di risarcimento l’ordinanza ripropone le medesime difficoltà esposte nella prima parte, procedenti dalla limitazione della previsione dell’art. 2043 ai danni patrimoniali e dell’art. 2059 al danno morale soggettivo.

    Ma il conseguente sospetto di illegittimità costituzionale per contrasto con la tutela del diritto alla salute é avanzato tralasciando l’esame della dottrina accolta dalla Corte di cassazione (sentenze nn. 357 e 2009 del 1993), che ritiene applicabile l’art. 2043 cod. civ. (e insieme l’art. 1223, richiamato dall’art. 2056) per analogia iuris. Dalla ratio dell’art. 2043, coordinata con l’esigenza di effettività della tutela dei diritti fondamentali, questa soluzione ermeneutica argomenta un principio di risarcibilità dei danni più generale di quello originariamente tradotto nella regola del codice civile, comprendente non solo i danni patrimoniali, ma pure i danni non patrimoniali causati dalla lesione di un diritto personale costituzionalmente protetto, quale il diritto alla salute.

  1. 2. In realtà, come si arguisce dal passaggio successivo con cui é introdotta anche sotto il secondo profilo la censura di violazione dell’art. 3 Cost., il Tribunale di Firenze non intende riaccendere la questione in generale - «indiscusso essendo in tutti gli altri casi il risarcimento generale del danno alla salute» - ma proporla ex novo in relazione al caso, non considerato dalla sentenza n. 184, di danno alla salute derivato dall’uccisione di una persona a un suo familiare. In questo caso, connotato dalla disgiunzione del soggetto che pretende il risarcimento dal titolare del bene primamente leso dal fatto illecito, il danno biologico patito dal familiare non é identificabile come danno evento, apparendo soltanto come conseguenza della lesione di un diritto altrui.
  2. Apprezzato in tale prospettiva, il pregiudizio del terzo non sarebbe risarcibile, mancando nei suoi confronti il presupposto del danno ingiusto. Né si può dire che dovrebbe allora essere negata anche la risarcibilità del danno patrimoniale risentito dai congiunti legati alla vittima da un rapporto di dipendenza economica giuridicamente tutelato. In quest’altro caso la perdita lamentata dai superstiti si identifica, essendone una implicazione necessaria, con l’estinzione del rapporto giuridico che obbligava la persona deceduta a provvedere ai loro bisogni: in quanto incide su un rapporto obbligatorio strettamente personale facente capo al defunto, il medesimo fatto illecito lede in pari tempo una situazione giuridica vantaggiosa per i congiunti, qualificandosi anche nei loro confronti come cagione di danno ingiusto imputabile all’autore.

    All’estinzione dei rapporti di coniugio o di parentela della persona deceduta, invece, non inerisce necessariamente una lesione della salute del coniuge o dei parenti superstiti.

    Perciò, ove si dimostri che l’infortunio mortale ha causato a un familiare una lesione fisio-psichica (infarto da shock o uno stato di prostrazione tale da spegnere il gusto di vivere), l’ipotesi di risarcibilità del danno nei termini dell’art. 2043 deve essere valutata in una prospettiva diversa, la quale assuma la lesione del terzo quale evento dannoso integrante una autonoma fattispecie di danno ingiusto, così trasferendo il problema dal presupposto dell’ingiustizia del danno a quello della colpa. Questa diversa impostazione mette in luce il vero ostacolo al risarimento secondo il modello dell’art. 2043: il criterio soggettivo di imputazione del danno ivi indicato si ridurrebbe a mera finzione, non essendo possibile, per difetto di concreta prevedibilità dell’evento, una valutazione autonoma della colpa. L’evento di danno ai familiari sarebbe messo in conto all’autore in base a una valutazione «allargata» della colpa commessa nei confronti di un altro soggetto, titolare del bene (vita) protetto dalla regola di condotta violata (nella specie, una regola del codice della strada): valutazione compiuta ex post dal giudice assumendo a referente l’elemento soggettivo di un’altra fattispecie e con ampio margine di arbitrio, come dimostra, a modo di esempio, la distinzione, praticata dalle corti inglesi (col solo argomento economico dell’opportunità di non aggravare troppo il rischio delle compagnie di assicurazione) a seconda che il terzo sia stato colpito da shock nervoso come spettatore occasionale dell’incidente o, più tardi, lontano dal luogo del sinistro.

    Sarebbe fuori tema obiettare che nella responsabilità extracontrattuale, secondo l’interpretazione dell’art. 2056 cod. civ. suggerita dalla relazione al codice, si risponde anche dei danni imprevedibili. La distinzione tra danni prevedibili e danni imprevedibili (come quella tra i danni diretti e danni indiretti) attiene ai danni conseguenze nel senso dell’art. 1223, la cui risarcibilità, limitatamente o no ai danni prevedibili, presuppone già compiuto (previo accertamento del nesso di causalità alla stregua degli artt. 40 e 41 cod. pen.) il giudizio di imputabilità del danno evento, giudizio regolato in generale dal criterio della colpa.

    In definitiva, non di responsabilità inquadrata nell’art. 2043 si tratterebbe, ma di responsabilità oggettiva per pura causalità. Si aggiunga che l’assolutezza del diritto alla salute non consentirebbe limiti alla sfera dei soggetti legittimati alla pretesa di risarcimento. Il riferimento ai limiti soggettivi di risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. sarebbe arbitrario, la loro giustificazione essendo legata alla ratio peculiare di questa norma.

    Poiché il danno patito dal terzo é qui eccezionalmente risarcibile sul solo presupposto di essere stato «cagionato» da un fatto illecito penalmente qualificato, la tutela risarcitoria deve fondarsi su una relazione di interesse del terzo col bene protetto dalla norma incriminatrice, argomentabile, in via di inferenza empirica, in base a uno stretto rapporto familiare (o parafamiliare, come la convivenza more uxorio).

  1. L’esclusione dell’ipotesi in esame di danno biologico dall’ambito di tutela dell’art. 2043 cod. civ., essendo determinata da difetto di uno dei requisiti della fattispecie normativa, non é adducibile come motivo di contrasto con la garanzia costituzionale della salute. Priva di consistenza é poi la pretesa violazione del principio di eguaglianza rispetto agli «altri casi», per la contraddizione che non consente di denunciare per contrasto con l’art. 3 Cost. una disparità di trattamento connessa a una diversità essenziale delle rispettive fattispecie.
  2. La stessa giurisprudenza prevalente, che ammette il risarcimento iure proprio, ne riconosce in sostanza l’estraneità al modello dell’art. 2043. Il risarcimento é accordato in base al nesso di causalità col fatto illecito - sempre oggettivamente qualificabile come reato, trattandosi di omicidio, salve le discriminanti dello stato di necessità e della legittima difesa - indipendentemente da un giudizio di colpevolezza dell’autore, secondo le regole civili, nei rapporti col familiare. Il modello risarcitorio applicato é dunque, più o meno consapevolmente, quello dell’art. 2059 cod. civ.
  3. Nell’ordinanza di rimessione si obietta che i «danni non patrimoniali» previsti dall’art. 2059 si restringono al danno morale soggettivo, che deve essere tenuto distinto dal danno alla salute «pena la confusione fra nozioni completamente diverse, quali sono il danno evento e il danno conseguenza».

    Ma va replicato anzitutto che un simile criterio di differenziazione é legato alla premessa di fondo, già confutata, da cui muove il giudice a quo. Il danno biologico, al pari di ogni altro danno ingiusto, é risarcibile soltanto come pregiudizio effettivamente conseguente a una lesione. In secondo luogo, nell’ipotesi particolare di cui si discute l’interpretazione restrittiva dell’art. 2059, in relazione all’art. 185 cod. pen., non regge alla prova dell’argomento pratico dell’irrazionalità di una decisione che nelle conseguenze dello shock psichico patito dal familiare discerna ciò che é soltanto danno morale soggettivo da ciò che incide sulla salute, per ammettere al risarcimento solo il primo. Il danno alla salute é qui il momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento dell’equilibrio psichico che sostanzia il danno morale soggettivo, e che in persone predisposte da particolari condizioni (debolezza cardiaca, fragilità nervosa, ecc.), anziché esaurirsi in un patema d’animo o in uno stato di angoscia transeunte, può degenerare in un trauma fisico o psichico permanente, alle cui conseguenze in termini di perdita di qualità personali, e non semplicemente al pretium doloris in senso stretto, va allora commisurato il risarcimento.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

  • dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2043 cod. civ., sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze con l’ordinanza in epigrafe;
  • dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2059 cod. civ., sollevata in subordine, con riferimento ai citati parametri costituzionali, dal medesimo tribunale con la stessa ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 1994.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 27/10/1994.