Sentenza Corte Costituzionale n. 347 del 26 settembre 1998: «Disconoscimento di paternità»

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:


    Dott. Renato GRANATA, Presidente
    Prof. Giuliano VASSALLI, Giudice
    Prof. Francesco GUIZZI, Giudice
    Prof. Cesare MIRABELLI, Giudice
    Prof. Fernando SANTOSUOSSO, Giudice
    Avv. Massimo VARI, Giudice
    Dott. Cesare RUPERTO, Giudice
    Dott. Riccardo CHIEPPA, Giudice
    Prof. Gustavo ZAGREBELSKY, Giudice
    Prof. Valerio ONIDA, Giudice
    Prof. Carlo MEZZANOTTE, Giudice
    Avv. Fernanda CONTRI, Giudice
    Prof. Guido NEPPI MODONA, Giudice
    Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, Giudice
    Prof. Annibale MARINI, Giudice

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 235 del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 14 marzo 1997 dal Tribunale di Napoli nel procedimento civile vertente tra A. W. e A. T. ed altri, iscritta al n. 387 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 1997.

 

Visto l’atto di costituzione di A. T.;

Udito nell’udienza pubblica del 27 gennaio 1998 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

 

Ritenuto in fatto

  1. Nel corso di un procedimento civile promosso da A. W. contro la propria moglie A. T. ed il curatore speciale del minore A. M. per il disconoscimento della paternità nei confronti del bambino, il Tribunale di Napoli ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 235 del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione.
  2. Premette il giudice a quo che dalle pacifiche risultanze probatorie della causa emerge che l’attore è affetto da impotentia generandi e che il figlio partorito dalla moglie è stato concepito mediante inseminazione artificiale eterologa; ritiene altresì dimostrato che, quantunque il matrimonio tra i due sia successivamente entrato in crisi (tanto da essere in corso il giudizio di separazione legale), il marito aveva a suo tempo prestato il proprio consenso a che la moglie venisse fecondata artificialmente per concepire detto figlio, così come era avvenuto anche per un altro figlio nato precedentemente.

     

    Sulla base di questi elementi il Tribunale osserva che nel nostro ordinamento il consenso prestato dal marito (cosciente della propria impotenza) all’inseminazione artificiale eterologa della moglie non può ritenersi idoneo ad escludere l’esperibilità dell’azione di disconoscimento di paternità prevista dall’art. 235, numero 2), del codice civile. A tale conclusione si perviene perché non sussiste, nel caso specifico, alcun rapporto biologico di sangue, ed il consenso non può valutarsi alla stregua di un’implicita rinunzia all’azione, rinunzia inammissibile trattandosi di diritti indisponibili.

     

    Il Tribunale di Napoli dà conto del fatto che una simile interpretazione delle norme è stata contraddetta da molte autorevoli voci dottrinali, secondo le quali il consenso prestato dal padre all’inseminazione eterologa dovrebbe tradursi nella conseguente improponibilità dell’azione di disconoscimento; soluzione questa già recepita anche nella legislazione positiva di diversi Stati. Tuttavia il giudice a quo ribadisce che, quando dalla lettera della norma traspare la volontà del legislatore, non è possibile far prevalere l’interpretazione teleologica su quella letterale. Pertanto, poiché la norma positiva individua nell’impotentia generandi una delle cause legittimanti per l’azione di disconoscimento, la medesima non può essere esclusa nel caso in esame.

     

    Dopo aver interpretato le norme nei predetti termini, il rimettente osserva che da una simile lettura deriva la palese violazione dei principi di cui agli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 Cost. Anche la Corte costituzionale (sentenze n. 341 del 1990 e n. 429 del 1991), del resto, ha riconosciuto la preminente centralità dell’interesse del minore in tema di dichiarazione della paternità o maternità naturale e di adozione.

     

    Nel caso dell’inseminazione eterologa è evidente che consentire l’azione di disconoscimento viene a ledere in modo irreversibile le prerogative del figlio. Nessun rapporto, infatti, egli può ragionevolmente stabilire con chi (peraltro anonimo) si è limitato a donare il seme senza assunzione di alcuna responsabilità; per cui il minore viene ad essere per sempre privato della figura paterna, perdendo il diritto alla propria identità ed al proprio nome ed assumendo uno status simile a quello dei figli di genitori ignoti. La palese gravità di siffatte conseguenze - neppure eliminabili tramite un eventuale risarcimento dei danni, stante la natura non monetizzabile del bene perduto - rende del tutto irrazionale la norma impugnata, che dovrebbe pertanto essere dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non preclude l’azione per il disconoscimento di paternità al padre legittimo che abbia prestato il proprio consenso all’inseminazione eterologa della moglie.

     

  3. Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è costituita A. T., convenuta nel giudizio a quo, associandosi alla richiesta di accoglimento della sollevata questione.
  4. La parte privata, nel fare proprie le argomentazioni del Tribunale di Napoli, evidenzia soprattutto come l’ammissibilità dell’azione di disconoscimento - azione che dimostra una totale violazione da parte del padre dei doveri di genitore - si traduca in una gravissima lesione dei diritti della madre e del minore. La prima, infatti, pur essendo coniugata, si vede ridotta al rango di ragazza-madre di un figlio, pur ottenuto col consenso del marito, mentre il piccolo perde il nome, l’identità personale e la serenità necessaria per una crescita equilibrata.

Considerato in diritto

  1. Il Tribunale di Napoli dubita della legittimità costituzionale dell’art. 235, cod. civ., in relazione agli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione, in quanto il primo comma, numero 2, consentirebbe di esperire l’azione per il disconoscimento di paternità al marito che, affetto da impotenza nel periodo che va dal trecentesimo al centottantesimo giorno prima della nascita del figlio concepito durante il matrimonio, abbia dato il proprio consenso all’inseminazione artificiale eterologa della moglie. Il giudice a quo presuppone che nell’attuale sistema, stante il tenore letterale della disposizione in esame, al consenso prestato dal marito all’inseminazione eterologa della moglie non possa essere collegato alcun effetto preclusivo dell’azione di disconoscimento, ove ricorra una delle ipotesi (nel caso, impotenza a generare) previste dalla legge.

      è interesse del minore non vedersi privato del nome, dell’identità personale e della stessa possibilità di avere un padre;

       

      risponde a fondamentali princìpi costituzionali che ogni figlio abbia diritto ad essere mantenuto, istruito ed educato dai propri genitori, tali dovendosi considerare quelli che hanno preso la decisione della sua procreazione; mentre nessun rapporto di paternità potrebbe essere instaurato col padre biologico.

       

  2. Ad avviso del giudice rimettente la norma anzidetta sarebbe in contrasto con gli evocati parametri costituzionali, in quanto:

     

  3. La questione è inammissibile.
  4. Il giudice rimettente - pur rilevando la mancanza di una puntuale disciplina legislativa che stabilisca la legittimità o meno ed i limiti della fecondazione assistita, regolando inoltre i rapporti fra i soggetti coinvolti nelle relative vicende, tra cui la posizione del minore - parte dal presupposto che il caso particolare sul quale è chiamato a decidere (nascita di un bambino mediante fecondazione assistita eterologa, in costanza di matrimonio, col consenso di entrambi i coniugi) rientri nella portata dell’art. 235, primo comma, numero 2, cod. civ., ma solleva dubbi di legittimità costituzionale, considerate le conseguenze che egli ritiene di dover trarre da questa disposizione.

     

    Sennonché questa norma riguarda esclusivamente la generazione che segua ad un rapporto adulterino, ammettendo il disconoscimento della paternità in tassative ipotesi, quando le circostanze indicate dal legislatore facciano presumere che la gravidanza sia riconducibile, in violazione del dovere di reciproca fedeltà, ad un rapporto sessuale con persona diversa dal coniuge.

     

    La possibilità che ipotesi nuove, non previste al tempo dell’approvazione di una norma, siano disciplinate dalla stessa non è da escludersi in generale. Ma tale possibilità implica un’omogeneità di elementi essenziali e un’identità di ratio; nella cui carenza l’estensione della portata normativa della legge si risolverebbe in un arbitrio.

     

    È quanto accadrebbe una volta che, ai fini dell’esperibilità dell’azione di disconoscimento di paternità, l’ipotesi in esame fosse equiparata a quelle, tanto dissimili, previste dall’art. 235 del codice civile.

     

  5. L’estraneità della fattispecie oggetto del giudizio alla disciplina censurata comporta l’inammissibilità della sollevata questione; dalla quale tuttavia emerge una situazione di carenza dell’attuale ordinamento, con implicazioni costituzionali.
  6. Non si tratta in alcun modo, in questa occasione, di esprimersi sulla legittimità dell’inseminazione artificiale eterologa, né di mettere in discussione il principio di indisponibilità degli status nel rapporto di filiazione, principio sul quale sono suscettibili di incidere le varie possibilità di fatto oggi offerte dalle tecniche applicate alla procreazione. Tutto ciò resta fuori dal presente giudizio di costituzionalità. Si tratta invece di tutelare anche la persona nata a seguito di fecondazione assistita, venendo inevitabilmente in gioco plurime esigenze costituzionali.

     

    Preminenti in proposito sono le garanzie per il nuovo nato (v. le sentenze n. 10 del 1998; n. 303 del 1996; n. 148 del 1992; nn. 27 e 429 del 1991; e nn. 44 e 341 del 1990), non solo in relazione ai diritti e ai doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt. 30 e 31 della Costituzione, ma ancor prima - in base all’art. 2 Cost. - ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità: diritti che è compito del legislatore specificare.

     

  7. L’individuazione di un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana, appartiene primariamente alla valutazione del legislatore. Tuttavia, nell’attuale situazione di carenza legislativa, spetta al giudice ricercare nel complessivo sistema normativo l’interpretazione idonea ad assicurare la protezione degli anzidetti beni costituzionali.
  8. PER QUESTI MOTIVI
    LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 235 del codice civile sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione, dal Tribunale di Napoli con l’ordinanza di cui in epigrafe.

     

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 settembre 1998.

    Presidente: Renato GRANATA
    Redattore: Fernando SANTOSUOSSO

    Depositata in cancelleria il 26 settembre 1998.