Camera dei Deputati Proposta di legge n. 426 del 4/5/2006

PROPOSTA DI LEGGE

d’iniziativa dei deputati

TURCI, ANTINUCCI, BELTRANDI, BUEMI, BUGLIO,

CAPEZZONE, D’ELIA, DI GIOIA, PORETTI, TURCO

Norme in materia di donazione degli embrioni a fini di nascita

Presentata il 4 maggio 2006

Onorevoli Colleghi!

La presente proposta di legge riprende una analoga proposta già presentata al Senato nella scorsa legislatura (atto Senato n. 3770).
Con essa si propone di modificare alcuni degli aspetti più critici della legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita». L’iniziativa trae lo spunto da un documento del Comitato nazionale per la bioetica in tema di «adozione per la nascita» degli embrioni soprannumerari. Ne accoglie lo spirito e modifica in tal senso la legge n. 40 del 2004. Al contempo interviene sugli elementi connessi per rendere l’assetto della legge più coerente e insieme più aperto ad esigenze che erano già emerse dal dibattito parlamentare e successivamente dal confronto apertosi nel Paese, anche in occasione dei referendum del 12 e 13 giugno 2005, per i quali non fu raggiunto il quorum dei voti necessari. Ci auguriamo si possa aprire un confronto costruttivo che vada oltre gli schieramenti che si sono delineati nella scorsa legislatura. Vorremmo invitare tutti a meditare sulle recenti parole del cardinale Carlo Maria Martini contenute in un articolo su L’Espresso del 27 aprile 2006 dal titolo «Dialogo sulla vita»: «Là dove c’è un conflitto di valori, mi parrebbe eticamente più significativo propendere per quella soluzione che permette a una vita di espandersi piuttosto che lasciarla morire. Ma comprendo che non tutti saranno di questo parere. Solamente vorrei evitare che si ci scontrasse sulla base di princìpi astratti e generali là dove invece siamo in una di quelle zone grigie dove è doveroso non entrare con giudizi apodittici».

Il Comitato nazionale per la bioetica è intervenuto con un articolato parere su una delle questioni più delicate poste dall’esecuzione delle tecniche di fecondazione artificiale extracorporea, rimasta priva di regolamentazione anche dopo l’approvazione della citata legge n. 40 del 2004: la sorte degli embrioni comunemente definiti come «soprannumerari» - o anche «abbandonati», «avanzati», «residuali» - che le tecniche di crioconservazione consentono di mantenere in vita per alcuni anni in vista di successivi utilizzi. Si tratta di materiale genetico di natura embrionale prodotto attraverso il concepimento in vitro e non utilizzato, per una pluralità di ragioni, nel procedimento di fecondazione. La pratica di produrre un numero di embrioni superiore a quello indispensabile per consentire l’impianto risultava funzionale, da una parte, a incrementare le possibilità di successo dell’intervento consentendo al medico di scegliere tra più embrioni quello che presentava caratteri di maggiore «vitalità»; dall’altra a tutelare l’integrità psico-fisica della paziente, evitando che nell’ipotesi di insuccesso dell’intervento fecondativo la medesima fosse sottoposta di nuovo al trattamento di stimolazione follicolare e di prelievo ovocitario, pratica particolarmente invasiva, stressante e con elevato rischio di compromissione della salute.
Secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità il numero di embrioni soprannumerari crioconservati nel nostro paese è di circa 30.000 unità. Seppure ridotto per effetto delle rigide previsioni della citata legge n. 40 del 2004 - che all’articolo 14, comma 2, stabilisce che il numero massimo di embrioni che possono essere creati è di 3 e tutti devono essere contemporaneamente impiantati - il fenomeno della creazione di nuovi embrioni soprannumerari non risulta completamente eliminato atteso che nei casi di forza maggiore (articolo 14, comma 3) ovvero per ragioni di ordine medico sanitario (articolo 6, comma 4) il medico può e deve procedere alla crioconservazione del materiale genetico non trasferito.
La valenza bioetica della scelta sulla destinazione degli embrioni crioconservati residuali è indubbia. Tre le possibili opzioni: distruzione, destinazione a fini di ricerca, destinazione allo sviluppo con utilizzo nel procedimento procreativo da parte di terzi richiedenti.
Proprio con riguardo a questa terza possibilità il Comitato nazionale per la bioetica, richiamando il proprio parere del 12 luglio 1996 in tema di «Identità e statuto dell’embrione umano», sottolinea la preminenza della «necessità di garantire loro una possibilità di vita e di sviluppo» prospettando la soluzione che essi vengano messi a disposizione di soggetti estranei alla coppia, singoli o coppie, intenzionati ad assicurare, ricorrendo alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, la loro nascita. Si tratta di una indicazione assolutamente condivisibile, a cui la presente proposta di legge intende dare concreta possibilità di attuazione giuridica, e che rende ancora più incomprensibile il divieto posto dalla legge n. 40 del 2004 alla donazione di gameti finalizzata a consentire la cosiddetta «fecondazione eterologa». Proprio per questo, nel disciplinare le ipotesi di donazione di embrioni, gameti e cellule staminali embrionali, posta l’evidente antinomia normativa che verrebbe a determinarsi, la presente proposta di legge intende rimuovere anche quel divieto.
A tale proposito, si osserva che il fenomeno qualificato nel parere di maggioranza del Comitato nazionale per la bioetica come «adozione per la nascita» (APN), a un attento esame piuttosto che a un tipo di adozione appare riconducibile al fenomeno della donazione, risultando dunque più corretta la definizione espressa nel parere di minoranza dello stesso Comitato di «donazione a fini di nascita». E ciò per una serie di ragioni.
Innanzitutto, nel caso di specie, vi è assoluta carenza dei presupposti soggettivi e oggettivi per ricomprendere la fattispecie nell’istituto dell’adozione, rectius della legge 4 maggio 1983, n. 184, poiché il ricorso all’analogia non risulterebbe giuridicamente corretto. Infatti, sotto il profilo della legittimazione passiva, affermare l’equivalenza fra minore e concepito è, prima che giuridicamente infondato, ontologicamente scorretto. Anche ove si ritenga che l’embrione debba qualificarsi come soggetto, si tratterà pur tuttavia di una soggettività necessariamente parziale sul piano giuridico, cioè dei diritti e obblighi riferibili, atteso che sempre di una «vita in formazione» e quindi di persona «solo potenziale» si tratta fino alla nascita (articolo 1 del codice civile). Ben diversamente deve argomentarsi per il minore, inteso correttamente come soggetto-persona dotato di capacità giuridica generale che, in relazione alla propria condizione di età, di soggezione alla potestà dei genitori e di incapacità di agire, in quanto soggetto debole si trova in una condizione ritenuta dall’ordinamento particolarmente bisognosa di tutela e protezione anche sul piano giuridico. Con riguardo ai profili di legittimazione attiva, si sottolinea l’importanza della proposta assunta dal Comitato nazionale per la bioetica di consentire anche a coppie non sterili e a single di «adottare» l’embrione. Questa scelta evidenzia ancora più chiaramente la contraddittorietà e la insostenibilità della disciplina della legge n. 40 del 2004, che limita l’accesso alla procreazione medicalmente assistita alle sole coppie sterili. La presente proposta di legge, in maniera del tutto coerente e conseguenziale al pronunciamento del Comitato, si propone di superare questo vincolo posto nella legge n. 40 del 2004, al fine di rendere possibile l’accesso alle tecniche di procreazione assistita anche a coppie portatrici di gravi patologie genetiche o virali trasmissibili alla prole.
Con riguardo alla carenza dei presupposti oggettivi si rileva poi che il presupposto per il provvedimento giudiziale di dichiarazione dello stato di adottabilità del minore - condizione di abbandono morale e materiale non transitorio - comporta valutazioni, indagini e sussistenza di requisiti e condizioni oggettive (e soggettive) dei genitori biologici del tutto diverse rispetto a quelle ipotizzabili per i genitori cui è riconducibile biologicamente l’embrione crioconservato. Sul punto ci si limita a osservare la profonda differenza fra le esigenze e le questioni connesse all’accoglimento di un minore nell’ambito della propria famiglia - qualunque sia la sua condizione di età, salute eccetera - e l’accoglimento di un embrione nel proprio corpo per almeno nove mesi. Nel primo caso la scelta è della coppia, nel secondo innanzitutto della donna. Nell’adozione il minore non si può scegliere. In caso di impianto di embrione, al fine di tutelare l’integrità psico-fisica della donna, sussiste un vero e proprio diritto in capo a questa di acquisire tutte le informazioni utili, fra le quali anche quella relativa alle condizioni bio-genetiche del materiale da trasferire, e di decidere di conseguenza.
Tali valutazioni trovano una importante conferma anche sotto il profilo pratico-applicativo. Ci si chiede infatti quale dovrebbe essere la disciplina applicabile nell’ipotesi in cui l’intervento di procreazione assistita avesse successo e conducesse alla nascita di un bambino. I diritti e gli obblighi (reciproci e verso i terzi) del nato, dei genitori «sociali», dei genitori biologici dovrebbero essere regolati secondo le norme codicistiche sulla filiazione legittima/naturale, secondo quelle sull’adozione speciale ai sensi della legge n. 184 del 1983, ovvero, in forza delle norme in tema di stato giuridico del nato e divieto di disconoscimento in caso di fecondazione di tipo eterologo di cui agli articoli 8 e 9 della legge n. 40 del 2004?
L’ultima ipotesi prospettata non solo risulta preferibile, ma è da ritenersi sostanzialmente obbligata attesa la piena aderenza sul piano assiologico e pratico (soggettivo ed oggettivo) di tali disposizioni al caso in esame.
Da tale complesso di motivazioni emerge come la qualificazione in termini di adozione o donazione a fini di nascita non sia una questione nominalistica, ma sostanziale. In tale prospettiva si osserva che gli elementi essenziali che connotano la fattispecie devono rinvenirsi innanzitutto nei genitori biologici che in quanto titolari dell’embrione soprannumerario compiono in piena scienza e coscienza l’atto dispositivo, atto che costituisce l’esercizio di un fondamentale dovere di solidarietà sociale costituzionalmente tutelato. La natura liberale, gratuita, spontanea, non vincolante della destinazione comporta la riconducibilità del fenomeno all’ambito della generale categoria della donazione. Tale atto potrà senz’altro tradursi in una scelta di destinazione dell’embrione per una futura nascita. Ma anche, come prevede l’articolo 1, comma 3, della presente proposta di legge, la destinazione a fini di ricerca scientifica, qualora l’embrione risulti inutilizzabile a fini riproduttivi. Qualunque sia la scelta dei titolari, attesa la rilevanza della stessa e la sua natura personalissima, mai lo Stato potrà sostituirsi alla coppia e compiere per suo conto una tale decisione, se non nei casi di embrioni abbandonati dai legittimi titolari. Parimenti rilevante sarà il contributo dei genitori cosiddetti «sociali», cui pertiene il progetto parentale e quindi incombono tutti i diritti e gli obblighi derivanti dalla nascita. L’embrione, comunque lo si voglia definire, risulterà naturalmente ricompreso entro le coordinate della richiamata relazione donante-donatario, in un quadro di norme che apprestino tutele e garanzie da un lato della libertà, spontaneità e non vincolatività dell’atto di disposizione, dall’altro del diritto alla salute della donna e dei princìpi del consenso informato presupposto necessario di qualsiasi trattamento sanitario. A questo proposito è utile precisare che ai donatari dovrà essere comunque riconosciuto il diritto di conoscere le condizioni biogenetiche dell’embrione ovvero del materiale genetico oggetto della donazione, ricorrendo alle tecniche mediche disponibili più avanzate in grado di garantire una adeguata tutela dell’integrità del materiale analizzato. Nello stesso senso, uguale diritto non potrà non essere riconosciuto a tutti i soggetti che ricorrono alla procreazione assistita e in particolare alle coppie portatrici di patologie genetiche o virali trasmissibili, sterili e non, che ricorrono alle tecniche di procreazione assistita proprio per evitare la trasmissione della patologia di cui sono portatrici alla prole. Il divieto della diagnosi genetica pre-impianto esplicitato nel decreto del Ministro della salute 21 luglio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 191 del 16 agosto 2004, contenente le linee guida in materia di procreazione medicalmente assistita, deve dunque essere superato.
Escluso dunque che possa trattarsi di adozione, al di là del nomen juris, il tema di cui si discute rappresenta, nella sostanza, una vera e propria ipotesi di fecondazione di tipo eterologo, nella specie caratterizzata da una estraneità genetica assoluta della coppia rispetto al concepito. L’affermazione risulta fondata nella misura in cui si ritenga che non è tanto l’estraneità genetica di uno o entrambi i membri della coppia a definire il fenomeno, quanto l’identità biologica della madre-gestante che corrisponde alla donna cui, per quanto geneticamente terza, oltre alla prestazione della funzione di gestazione, è riferibile l’interesse all’avvio del procedimento sanitario, alla procreazione di un figlio e quindi all’assunzione delle connesse responsabilità sul piano giuridico. L’originaria volontà di utilizzare l’embrione per scopi propri - procreazione medicalmente assistita realizzata dalla coppia - perde rilevanza assieme al connesso progetto parentale, risultando assorbita nel successivo atto donativo dell’embrione destinato alla soddisfazione di un progetto altrui per la cui realizzazione lo svolgimento della complessa funzione biologica di gestazione costituisce un dato imprescindibile. Da qui la qualificazione in termini solidaristico-donativi dell’interesse proprio dei genitori biologici e di piena meritevolezza dell’interesse dei genitori cosiddetti «sociali» titolari, attuali, del nuovo progetto parentale.
Conclusivamente, la presente proposta di legge, partendo dalla pronuncia del Comitato nazionale per la bioetica, intende dare una disciplina alle complesse questioni connesse all’utilizzo degli embrioni soprannumerari, che sia coerente con i princìpi generali del sistema. Pertanto dopo aver inquadrato il fenomeno fra le ipotesi di fecondazione artificiale eterologa; dopo aver riconosciuto il diritto della coppia, non necessariamente sterile, e della donna single di ricorrere alla fecondazione artificiale mediante utilizzo del materiale genetico soprannumerario di terzi donatori; avendo affermato il diritto dei soggetti di conoscere le caratteristiche biogenetiche dell’embrione prima dell’impianto, si rende necessario apportare alcune modifiche sostanziali alla legge n. 40 del 2004: in primis superando il divieto della fecondazione artificiale di tipo eterologo, quindi consentendo alla donna single e alle coppie portatrici di patologie genetiche o virali trasmissibili di ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita a prescindere dalla sussistenza di una condizione di sterilità o di infertilità e infine riconoscendo ai soggetti legittimati la possibilità di accedere a tutte le tecniche mediche disponibili che consentano di conoscere le condizioni biogenetiche del materiale genetico da trasferire.

 

PROPOSTA DI LEGGE

Articolo 1

(Definizione. Modalità di utilizzo del materiale genetico)

1. Per donazione a fini di nascita si intende l’atto di destinazione, compiuto dai soggetti cui è geneticamente riferibile l’embrione soprannumerario o residuato da un trattamento di procreazione medicalmente assistita, in favore di soggetti rientranti nelle categorie di cui all’articolo 2, che si impegnano, ricorrendo a tecniche di procreazione medicalmente assistita, a portare avanti una gravidanza assumendo tutti i diritti e gli obblighi nei confronti del nato. Il nato è considerato figlio legittimo ovvero naturale dei soggetti che hanno assunto tale impegno. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui agli articoli 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40.
2. Alle stesse condizioni di cui al comma 1 è consentita la donazione di gameti e di cellule staminali embrionali.
3. I soggetti di cui al comma 1 possono altresì consentire, all’atto della prestazione del consenso alla donazione, che qualora il predetto materiale genetico risulti inutilizzabile a fini procreativi esso possa essere destinato alla ricerca scientifica finalizzata al progresso medico.
4. In tutti i casi in cui l’embrione si trova in stato di abbandono, per rinuncia espressa o tacita degli originari titolari ovvero per altre cause, il Ministero della salute dispone sulla donazione a fini di nascita o, nel caso di accertata inidoneità a tale scopo, sulla destinazione a fini di ricerca scientifica.

Articolo 2

(Soggetti destinatari della donazione)

1. Possono essere destinatarie della donazione ai fini di nascita di cui alla presente legge le coppie coniugate o conviventi ovvero la donna non coniugata, né convivente.
2. La donazione non è vincolata alla presenza di condizioni patologiche di sterilità o infertilità nei soggetti destinatari.

 

Articolo 3

(Consenso informato e garanzie)

1. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, prima di sottoporsi a tecniche di procreazione medicalmente assistita, hanno il diritto di conoscere le condizioni biogenetiche dell’embrione ovvero del materiale genetico oggetto della donazione.
2. Ai fini di cui al comma 1, i donatori possono ricorrere alle tecniche mediche più avanzate che offrano adeguate garanzie di tutela dell’integrità del materiale genetico donato.

Articolo 4

(Disposizioni finali)

1. La coppia o il soggetto cui sono geneticamente riferibili gli embrioni soprannumerari, residuati al trattamento di procreazione medicalmente assistita, ovvero i gameti o le cellule staminali embrionali, deve, alle condizioni consentite dall’articolo 1, all’atto di prestazione del consenso alla donazione, dichiarare la propria volontà in ordine alla destinazione del materiale genetico.
2. I soggetti di cui al comma 1 che abbiano prodotto il materiale genetico prima della data di entrata in vigore della presente legge, devono, entro tre mesi da tale data, comunicare al Ministero della salute la propria intenzione in merito alla destinazione del materiale genetico crioconservato.
3. Il diritto di conoscere le condizioni biogenetiche dell’embrione mediante le tecniche più adeguate allo scopo, di cui all’articolo 3, è esteso a tutti i soggetti legittimati a ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, e in particolare a coloro che risultino portatori di gravi patologie genetiche o virali trasmissibili, per i quali il ricorso a tali tecniche di procreazione sia giustificato dall’esigenza di evitare la trasmissione della patologia alla prole.

 

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