Camera dei Deputati Proposta di legge n. 1245 del 29/6/2006

PROPOSTA DI LEGGE

 

d’iniziativa dei deputati

CAPEZZONE, BELTRANDI, D’ELIA, MELLANO, PORETTI, TURCO

Modifiche alla disciplina in materia di rettificazione di attribuzione di sesso e di modificazione del nome

Presentata il 29 giugno 2006


Onorevoli Colleghi! - La legge 14 aprile 1982, n. 164, che da oltre vent’anni disciplina le modalità per la rettificazione dell’attribuzione di sesso, e conseguentemente del nome, per le persone transessuali, ha costituito per il nostro ordinamento un esempio di grande civiltà giuridica e rispetto dei diritti civili. L’importanza della legge è tale che gli stessi giudici della Corte costituzionale, nella sentenza n. 161 del 6-24 maggio 1985, non soltanto ribadirono la legittimità costituzionale della medesima legge, ma riconobbero l’esistenza di un diritto all’identità sessuale, sulla base degli articoli 2 e 32 della Costituzione. In particolare, la Corte riconobbe un concetto ampio del diritto alla salute di cui all’articolo 32 della Costituzione, che ricomprende non soltanto la salute fisica, ma anche quella psichica, in relazione alla quale gli atti dispositivi del proprio corpo, se volti a tutelare la persona in tale ottica, non solo non sono vietati, ma anzi sono leciti; l’affermazione dell’identità sessuale fu considerata inoltre diritto inviolabile dell’individuo ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione, in quanto elemento che consente al soggetto transessuale il pieno svolgimento della propria personalità, sia nella sua dimensione intima e psicologica, sia nella vita di relazione.
Secondo la Consulta, il legislatore aveva accolto un nuovo concetto di identità sessuale che teneva conto non soltanto dei caratteri sessuali esterni, ma altresì di elementi di carattere psicologico e sociale, dal quale deriva una «concezione del sesso come dato complesso della personalità, determinato da un insieme di fattori, dei quali deve essere agevolato o ricercato l’equilibrio, privilegiando il o i fattori dominanti». I giudici costituzionali affermarono altresì che «la legge n. 164 del 1982 si colloca nell’alveo di una civiltà giuridica in evoluzione, sempre più attenta ai valori, di libertà e dignità, della persona umana, che ricerca e tutela anche nelle situazioni minoritarie ed anomale».
La legge n. 164 del 1982 stabilisce, all’articolo 1, che la rettificazione dell’attribuzione di sesso è determinata con sentenza del tribunale in seguito all’avvenuta modificazione dei caratteri sessuali. L’articolo 3 della stessa legge stabilisce che, quando sia necessario, il tribunale può autorizzare un trattamento medico-chirurgico per l’adeguamento degli organi genitali.
Da sempre la giurisprudenza ha interpretato il criterio di necessità stabilito dalla citata legge in senso restrittivo, ritenendo che l’avvenuta modificazione dovesse riguardare i caratteri sessuali primari della persona in transizione.
Ciò è stato smentito nel corso degli anni in primo luogo dalla ricerca, dalla pratica e dallo stesso movimento transgender, che hanno dimostrato che l’equilibrio psico-fisico della persona transessuale non implica necessariamente l’adeguamento chirurgico degli organi genitali, che al contrario spesso viene forzato dalla necessità di «regolarizzare» una situazione intermedia nella quale la persona transessuale è soggetta a stigmatizzazione sociale, discriminazione, privazione dei diritti fondamentali, tra cui il diritto alla riservatezza dei dati personali sensibili, quali quelli relativi alla salute e alla vita sessuale. L’intervento chirurgico diviene, in altri termini, per alcune persone un «intervento forzato», in assenza del quale la persona è privata della dignità e dei diritti di cittadinanza, costretta a una «esistenza legale» che non corrisponde all’identità, all’aspetto esteriore e al ruolo sociale che la stessa persona viene ad assumere. L’intervento chirurgico diventa, in altre parole, un modo per vedere sanzionata dalla legge l’identità stessa della persona.
Anche nel caso di coloro che intendono completare la transizione con l’intervento chirurgico, i tempi fisiologici della transizione stessa, che richiede un percorso psicologico e di terapia ormonale, uniti alle carenze del sistema sanitario nazionale, fanno sì che la persona si trovi per diversi anni in un limbo giuridico che soltanto l’intervento chirurgico finale può sanare.
Entrambe le situazioni sono estremamente problematiche con riguardo al rispetto dei diritti e dell’identità della persona, del suo benessere psico-fisico e della vita di relazione. Non a caso negli ultimi anni la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in particolare nel casi Goodwin contro Regno Unito e Van Kück contro Germania, ha progressivamente riconosciuto l’esistenza di un diritto fondamentale all’identità di genere sulla base degli articoli 8 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in relazione al quale il riconoscimento giuridico dell’identità di genere non deve necessariamente dipendere dall’intervento chirurgico di riattribuzione dei genitali.
Tale orientamento, proprio in seguito alla decisione della Corte europea, che ha condannato il Regno Unito a tale riguardo, ha indotto il legislatore britannico a introdurre il Gender Recognition Act del 2004, sulla base del quale la rettificazione del certificato di nascita e il cambio del nome sono effettuati indipendentemente dall’intervento chirurgico. Nella stessa direzione si sta muovendo la Spagna in questo periodo e disegni di legge in questo senso sono stati presentati in diversi Parlamenti nazionali.
L’interpretazione letterale della legge n. 164 del 1982, anche alla luce della decisione della Consulta, già consentirebbe un orientamento della giurisprudenza in tal senso, che tuttavia non si è mai verificato, se non in casi di particolare eccezionalità. L’articolo 1 della presente proposta di legge introduce, pertanto, all’articolo 3 della legge, un nuovo comma, proprio allo scopo di rendere esplicito e inconfutabile il principio del diritto all’identità di genere, secondo cui la rettificazione degli atti dello stato civile e il cambio di nome devono essere effettuati

indipendentemente dall’intervento chirurgico di adeguamento degli organi genitali, ovvero sulla base dell’avvenuta modificazione dei caratteri sessuali secondari e, soprattutto, in relazione all’equilibrio psico-fisico individuale. Nell’ottica del rispetto del diritto all’identità di genere, l’intervento chirurgico, finanche volto alla sterilizzazione, non può e non deve essere una conditio sine qua non per la rettificazione degli atti dello stato civile. Lo stesso articolo 1, al comma 2, reca un’ulteriore modifica all’articolo 3 della legge n. 164 del 1982 ai fini di coordinamento formale con le nuove disposizioni.
Nell’ottica dello stesso principio del rispetto dell’identità di genere dell’individuo, l’articolo 2 della presente proposta di legge consente alla persona transessuale o transgender di modificare il proprio nome sulla base del procedimento per la modificazione del nome o del cognome previsto dagli articoli 89 e seguenti del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396. Benché infatti, anche in questo caso, il citato regolamento non stabilisca che il nome adottato dal richiedente mediante istanza al prefetto debba corrispondere al sesso, l’interpretazione che viene data alla norma è di carattere restrittivo e, nuovamente, viola il diritto all’identità di genere. Peraltro, il diritto al cambio di nome indipendentemente dall’intervento chirurgico di adeguamento degli organi genitali e riconosciuto sin dal 1980 dalla legge tedesca sul transessualismo ed è stato progressivamente introdotto in numerosi Stati europei, in numerosi Stati degli Stati Uniti, in Canada, in Australia e in altri Paesi del mondo. La legislazione italiana, ancorché recentemente modificata, si è rivelata estremamente rigida al riguardo.
A tale fine, l’articolo 2 della presente proposta di legge modifica il citato articolo 89 introducendo il comma 1-bis, che rende esplicito il principio secondo cui, fatte salve le altre circostanze previste dallo stesso regolamento, il nome che il richiedente intende assumere non deve corrispondere necessariamente al sesso assegnato alla nascita come invece espressamente indicato, per il solo caso del neonato, all’articolo 35 del medesimo regolamento.

PROPOSTA DI LEGGE

Articolo 1

1.Dopo il primo comma dell’articolo 3 della legge 14 aprile 1982, n. 164, è inserito il seguente:

«L’adeguamento dei caratteri sessuali mediante trattamento medico-chirurgico è ritenuto necessario soltanto se le modificazioni dei caratteri sessuali secondari ad opera delle terapie ormonali e dei trattamenti di carattere estetico non sono sufficienti a determinare il benessere e l’equilibrio psico-fisico dell’interessato allo scopo di attribuire allo stesso un sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita».
2. Al secondo comma dell’articolo 3 della legge 14 aprile 1982, n. 164, le parole: «In tale caso» sono sostituite dalle seguenti: «Nel caso previsto dal primo comma».

Articolo 2

1. Dopo il comma 1 dell’articolo 89 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, è inserito il seguente:

«1-bis. Fatto salvo per il resto quanto stabilito dal presente titolo, il nome che il richiedente intende assumere non deve necessariamente corrispondere al sesso attribuito alla nascita».

 

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