Camera dei Deputati Proposta di legge n. 1060 del 9/6/2006

PROPOSTA DI LEGGE

d’iniziativa del deputato MORONI

Istituzione del patto civile di solidarietà e disciplina della famiglia di fatto

Presentata il 9 giugno 2006

Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge intende istituire, nell’ordinamento giuridico del nostro Paese, il patto civile di solidarietà e disciplinare il riconoscimento giuridico delle famiglie di fatto recuperando, in tale senso, la positiva esperienza maturata in altri Paesi della stessa Unione europea in ordine al riconoscimento della famiglia non fondata esclusivamente sul legame matrimoniale, nel rispetto della pluralità dei rapporti affettivi.
Nel corso degli ultimi anni, del resto, la struttura della società italiana ha conosciuto cambiamenti profondi e intensi, tanto da avere notevoli effetti sul sistema di idee, di valori, di convinzioni e di atteggiamenti che si attribuiscono alle relazioni esistenti tra i membri della società.
Sono emersi nuovi orientamenti e propensioni, un insieme di fenomeni che hanno evidenziato e messo in luce, a loro volta, la richiesta del riconoscimento, anche sul piano giuridico, dei nuovi comportamenti sociali, tanto collettivi che individuali.
Tra i nuovi atteggiamenti vi è certamente un fenomeno di mutamento e di dinamismo sociale che si muove e si è mosso intorno alla valutazione e al concetto stesso di famiglia in quanto formazione sociale e istituzione culturale della comunità e della società nel suo insieme.
La famiglia continua infatti ad essere percepita e interpretata, anche in sede di elaborazione dottrinale, come uno dei luoghi fondamentali dell’organizzazione sociale, il principale terreno di socializzazione e di integrazione degli individui, e per tali ragioni intesa quale organismo-istituzione che ha trovato e trova ancora oggi particolare fondamento e tutela nella configurazione giuridica, sociale e culturale del Paese; in particolare sotto il profilo delle tutele e della considerazione sociale che se ne dà per gli aspetti e il ruolo educativo, affettivi e di sostegno economico che svolge per l’intera società.
Al riguardo l’articolo 1, comma 1, della legge 8 novembre 2000, n. 328, legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, esplicita che «La Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza del reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione». E l’articolo 16 della medesima legge riconosce che tale sistema integrato «sostiene il ruolo peculiare delle famiglie nella formazione e nella cura della persona, nella promozione del benessere e nel perseguimento della coesione sociale; sostiene e valorizza i molteplici compiti che le famiglie svolgono sia nei momenti critici e di disagio, sia nello sviluppo della vita quotidiana» sostenendo altresì le responsabilità individuali e familiari e agevolando l’autonomia finanziaria dei nuclei monoparentali e di coppie giovani con figli.
La strutturazione e il riconoscimento della famiglia, almeno per il modello prevalente, sono stati affidati a dei requisiti ritenuti dalla stessa dottrina come precondizione essenziale.
In primo luogo l’esistenza di una «relazione di reciprocità piena tra persone che stanno fra di loro in rapporto di coppia stabile», in secondo luogo l’esistenza del matrimonio «quale atto giuridico solenne da cui discendono diritti e doveri codificati dal legislatore»; infine, una convivenza non occasionale, bensì stabile e continuativa, nella condivisione degli aspetti materiali e spirituali del rapporto e nella predilezione delle relazioni sessuali pressoché esclusive che ne consentono la riproduzione.
Il modello di riferimento è, sotto questo profilo, la famiglia fondata sul matrimonio, ossia la famiglia come formazione sociale che è una «società naturale» basata sul matrimonio sia civile che concordatario; la cosiddetta «famiglia legittima» di cui all’articolo 29, primo comma, della Costituzione.
Nella società complessa post-moderna, tuttavia, dove le linee di tendenza e di evoluzione delle condizioni socio-economiche e culturali hanno impresso un processo di cambiamento strutturale delle stesse relazioni di vita tra gli individui, al modello della struttura familiare così costituita si è affiancato e ha trovato pratica realizzazione - in una altrettanto pluralità di nuclei familiari fondati su sfere di relazione pressoché analoghe - un altro modello, quello della cosiddetta «famiglia di fatto»; e ciò sia sotto il profilo della comunione spirituale e materiale - ossia di una valida comunità di vita e di affetti - sia della stabilità e della reciproca solidarietà in funzione della vita in comune.
Una convivenza frutto di una libera scelta degli individui determinata dal desiderio condiviso di un rapporto che non sia vincolato o fissato da condizionamenti religiosi o giuridici.
Ciò non significa, naturalmente, che questi cambiamenti abbiano minato o stiano disgregando le fondamenta dell’istituzione familiare; piuttosto che sotto l’impulso e gli effetti di questo dinamismo sociale, improntato su una più intensa libertà soggettiva dei singoli, si siano dapprima affacciati e poi consolidati nella società contemporanea, in forma del tutto spontanea e naturale, modelli e forme di vincoli, di unioni e di legami affettivi e di sistemi di solidarietà, in altre parole una rete di relazioni tra i membri della società pressoché analoga a quella del nucleo familiare basato sull’istituto del matrimonio disciplinato dall’intervento del legislatore.
Un fenomeno questo conosciuto per l’affermarsi di quelle «unioni di fatto» la cui ampiezza, diffusione e rilevanza sono ampiamente rinvenibili nella società odierna e che hanno avuto pieno riconoscimento da tempo, in ambito legislativo, in molti Paesi della stessa Unione europea come si avrà modo di sottolineare in seguito.
Il fenomeno delle convivenze non fondate sul matrimonio - sia per un mutato e interiorizzato atteggiamento sociale che è oggi di larga accettazione, sia per un orientamento della stessa giurisprudenza che da una iniziale chiusura è passata a un atteggiamento più favorevole verso la questione del riconoscimento delle cosiddette «convivenze di fatto», e anche per una serie di interventi normativi che hanno riconosciuto, benché in forma sporadica e non certo organica, alla convivenza more uxorio alcune tutele in campo previdenziale, fiscale, assicurativo e abitativo - ha perciò assunto un grado di rilevanza tale - e non solo sotto l’aspetto squisitamente giuridico - da non poter essere sottovalutato o eluso nei suoi diversi e molteplici aspetti o effetti.
Una riflessione su questo fenomeno impone pertanto un atteggiamento che tenga conto dei nuovi rapporti che si sono creati nelle relazioni interpersonali tra i membri della società, e tra famiglia e società; un atteggiamento che non assuma un modello predefinito, e tanto meno imponga un modello etico precostituito intervenendo nelle zone di influenza più personali dei rapporti interpersonali, ma che sia pronto a recepire orientamenti, relazioni e mutamenti che provengono da una realtà sociale sempre più complessa e differenziata dando a essa un equilibrato e adeguato riconoscimento. In altre parole, lasciando più ampi spazi di libertà all’organizzazione della vita in comune.
In questo ambito non si tratta, né potrebbe essere, di contrapporre la «famiglia legittima» fondata sul matrimonio e la «famiglia di fatto» per come si è andata diffondendo nel corso del tempo, nella presunzione che solo la prima, in quanto formazione sociale istituzionalizzata, possa avere ragion d’essere ed essere costituzionalmente tutelata, lasciando la seconda in una condizione di completa marginalità ed esclusione sociale e giuridica; o al contrario di delegittimare o svalutare il valore fondante della prima con il presupposto di affermare la sostanziale identità della seconda.
Si tratta semmai, anche sulla base di una comparazione dei vari modelli esistenti in Europa, di trovare un punto di equilibrio tra autonomia delle parti interessate e intervento pubblico - come si è peraltro sottolineato in dottrina - nel concetto di «famiglia legale», concetto presumibilmente più idoneo a rappresentare entrambe le identità e le esigenze delle relazioni familiari e della realizzazione della personalità di donne e di uomini nella società, che si realizzano compiutamente al variare della realtà sociale nel volgere degli anni.
Si è detto che non vi può essere famiglia se non esiste l’atto formale del matrimonio, poiché solo quest’ultimo - inteso come atto giuridico da cui discendono ben precisi diritti e doveri per i coniugi (coabitazione, fedeltà, assistenza morale e materiale, collaborazione e contribuzione) - assicura, più di ogni altra forma, l’adempimento di determinate funzioni.
Tuttavia il citato articolo 29, primo comma, della Costituzione, non nega né implica di per sé l’esistenza o l’irrilevanza della «famiglia di fatto» o naturale, quella che nasce appunto dalla convivenza stabile e continuativa tra due persone sulla base di un vincolo affettivo, poiché una diversa forma di società naturale, indipendentemente dall’istituto del matrimonio, può in ogni caso esistere anche sotto un diverso profilo giuridico, appunto perché fondato - in questo caso - sulla libertà di scelta dei conviventi, prescindendo dalla celebrazione del matrimonio sia esso civile che concordatario.
E anche in questo caso non vengono certo meno i vincoli affettivi e la messa in comune dei beni materiali per il soddisfacimento dei bisogni del nucleo familiare come avviene, in parallelo, nel caso della famiglia legittima.
Che nell’articolo 29 della Costituzione non vi sia ostacolo alla individuazione di altre forme di convivenza o di modelli familiari anche alternativi alla famiglia legittima lo si evince dalla configurazione stessa degli articoli 30 e 31, in cui si ribadisce il ruolo fondamentale della famiglia, della sua tutela e degli obblighi dei genitori nei confronti dei figli indipendentemente dall’esistenza del matrimonio; così come negli stessi articoli 36, primo comma, e 37, primo comma, circa le condizioni del lavoratore e della lavoratrice in funzione dell’adempimento delle funzioni familiari.
L’assenza di questi ostacoli trova peraltro conferma nelle scelte di libertà individuali di cui all’articolo 2 della Costituzione, laddove si afferma che «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità» richiedendo i doveri inderogabili di solidarietà; sia, infine, all’articolo 18 dove si afferma il principio della libertà associativa. La famiglia di fatto rientrerebbe pertanto proprio tra quelle «formazioni sociali» previste dall’articolo 2 della Costituzione, e conseguentemente meritevole di tutela al pari della famiglia legittima, dunque con un indubbio quadro di rilevanza costituzionale per la funzione che svolge sul terreno della crescita della persona.
Sullo stesso diritto di «costituire una famiglia» (articolo 9) separato da quello del matrimonio interviene infine la stessa Unione europea con la Carta dei diritti fondamentali.
Da quest’insieme di riferimenti emerge una chiara rilevanza costituzionale dell’interesse della singola persona a «realizzarsi» nella famiglia, fondata o meno sul matrimonio.
Del resto la stessa Corte di cassazione, in una sentenza (si veda Cassazione penale sezione IV, sentenza n. 33305) ha stabilito che sono meritevoli di tutela, oltre a coloro i quali sono legati dall’istituto matrimoniale, tutte quelle persone che vivono insieme, conviventi anche dello stesso sesso, se la convivenza «sia dotata di un minimo di stabilità, tale da non farla definire episodica, ma idoneo e ragionevole presupposto per un’attesa di apporto economico futuro e costante».
Il richiamo alla famiglia di fatto è stato peraltro oggetto di intervento del Consiglio di Stato il quale, in occasione di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ha avuto modo di sottolineare come (adunanza della sezione III del 9 gennaio 2001 - n. 1915 del 2000) «nel sistema di diritto positivo è la famiglia legittima fondata sul matrimonio ad assumere le prerogative proprie della «società naturale». Ma ciò non significa la irrilevanza del fenomeno sociale, spesso ricorrente, della convivenza senza matrimonio, allorché si stabiliscono aspettative e vincoli di fedeltà, assistenza, reciproca contribuzione agli oneri patrimoniali, in tutto analoghi a quelli che nella famiglia legittima sono imposti dalla legge oltre che dalla solidarietà familiare. (…) L’ordinamento «tende» quindi a riconoscere rilevanza alle situazioni di fatto che abbiano la stessa consistenza di stabilità e serietà di quelle giuridiche, soprattutto in presenza di lesioni a beni della vita di rilievo costituzionale; la famiglia di fatto diviene così in qualche misura equiparabile a quella legittima».
A conferma di questo orientamento la stessa Corte costituzionale, con sentenza n. 404 del 24 marzo-7 aprile 1988, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6, primo comma, della legge n. 392 del 1978 per la parte in cui non prevedeva la titolarità - per la persona convivente stabile - del contratto di locazione in caso di decesso del conduttore e, con sentenza n. 166 del 13 maggio 1988 è intervenuta in materia di figli, accordando al genitore affidatario il diritto ad essere preferito nell’assegnazione dell’abitazione, a tutela dei figli naturali, indipendentemente dalla proprietà relativa all’alloggio adibito ad abitazione familiare.
Riferimenti specifici e puntuali si ritrovano poi - circa la questione della famiglia di fatto o naturale, o in ogni caso della convivenza tra due persone - in numerose disposizioni legislative o regolamentari.
Si pensi al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, che, ai fini prettamente anagrafici, qualifica come famiglia non soltanto quella legittima ma anche quella basata su vincoli affettivi e di coabitazione, al di là di ogni intento di equiparazione; alla legge n. 405 del 1975 sull’istituzione dei consultori familiari che ammette a fruire del servizio erogato non soltanto le famiglie riconosciute dalla legge ma anche le coppie di fatto; all’articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, che, con riferimento all’affido di minori, ammette anche la famiglia di fatto ad espletare le funzioni di nucleo provvisorio di accoglienza; e anche l’adozione, sia pure in casi particolari (articolo 44 della citata legge n. 184 del 1983), è consentita, oltre ai coniugi, anche a chi non è coniugato.
E ancora si pensi all’articolo 30 della legge 26 luglio 1975, n. 354, relativa all’ordinamento penitenziario, che consente al detenuto di accedere a permessi di uscita per visitare il coniuge o il convivente in pericolo di vita; all’articolo 2 della legge 4 aprile 2001, n. 154, recante misure contro la violenza nelle relazioni familiari, che introduce il titolo IX-bis del libro I del codice civile, che prevede, su ordine del giudice, l’allontanamento del coniuge o del convivente dalla casa familiare quando la condotta di quest’ultimo è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro; nonché, all’articolo 199 del codice di procedura penale che prevede, in caso di testimonianza, la facoltà di astensione anche per il convivente dell’imputato.
La presente proposta di legge non intende dunque intaccare, sminuire e tantomeno modificare o interferire con l’ordinamento vigente in materia di matrimonio, bensì riconoscere, prevedere e disciplinare l’esistenza in seno all’ordinamento vigente - e fermo restando il pieno rispetto della libertà e dell’autonomia delle parti - del pluralismo dei rapporti affettivi tra le persone che, per propria scelta o impossibilità, non intendono avvalersi dell’istituto matrimoniale civile o concordatario e che sono soggette, conseguentemente, ad una condizione di ineguale e discriminante trattamento giuridico.
In tutto ciò vi è il duplice aspetto, perseguito con l’introduzione e il riconoscimento giuridico, rispettivamente, dell’istituto del «patto civile di solidarietà» e delle «famiglie di fatto», di dare concreta attuazione ai richiamati princìpi costituzionali, ivi compreso l’articolo 3 della Costituzione in tema di uguaglianza sostanziale, «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» e dunque estendendo tali istituti anche alle persone dello stesso sesso sulla base del principio della non discriminazione.
Del resto, a conferma di tali princìpi, non sembra ininfluente richiamare l’articolo 13 del Trattato istitutivo della Comunità europea, e successive modificazioni, che reca norme antidiscriminatorie su orientamento sessuale, razza, origine etnica o religiosa, opinioni, o handicap fisici o età; princìpi riconfermati in seguito con l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea laddove si esplicita il divieto di «qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali».
La presente proposta di legge intende riconoscere il pluralismo culturale delle relazioni familiari, dando rilevanza giuridica a quelle unioni e a quelle famiglie di fatto, unite da vincoli affettivi e di comunità di vita che derivano da una convivenza stabile e non occasionale diversa dalle unioni fondate sul matrimonio, ma non per questo meno profonde, senza con ciò operare una indebita ingerenza nella sfera dei rapporti interpersonali che di per sé si pone in alternativa alla famiglia legittima fondata sul vincolo matrimoniale e che preferisce semmai ricorrere a forme di convivenza e unioni di fatto rimesse all’autoregolamentazione spontanea degli interessati.
Ciò non toglie, evidentemente, che anche in questo ambito non vi sia in ogni caso la necessità di un intervento regolatorio a difesa di interessi rilevanti, in particolare allorquando subentra la cessazione della convivenza e le conseguenze sul piano economico sono rilevanti, o a difesa della tutela del soggetto economicamente più debole e dei minori.
Al riguardo va sottolineato come il fenomeno delle famiglie di fatto abbia ormai assunto, anche nel nostro Paese, grandezze assai rilevanti: le convivenze di fatto, secondo i dati ISTAT, crescono in maniera esponenziale, facendo aumentare ogni anno il numero delle unioni di fatto, delle «unioni ricostruite» dove uno dei due conviventi è divorziato, separato o vedovo o non coniugato, e delle famiglie «ricostruite» a seguito di matrimonio. Oltre un quarto delle famiglie del Paese sono, infine, «monoparentali».
La proposta di legge in esame si muove, altresì, in linea e conformemente a quanto già attuato in numerosi altri Paesi dell’Unione europea al fine di garantire alle coppie di fatto pari dignità sociale e uguaglianza di trattamento sul principio di non discriminazione, rispetto alle coppie legittime, in particolare riguardo ai figli.
La legislazione francese, cui si ispira in particolare modo la proposta di legge, prevede una forma di unione tra le persone dello stesso sesso o di sesso differente, che comporta precisi doveri e diritti. La legge n. 99-944 del 15 novembre 1999, introduce infatti nell’ordinamento francese il «pacte civil de solidarieté et du concubinage», contratto concluso «tra due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, per organizzazione la vita in comune». Il patto per essere valido deve essere oggetto di una dichiarazione congiunta, presentata alla cancelleria del tribunale competente. In base all’articolo 1, il patto comporta precisi obblighi, tra cui l’aiuto reciproco e materiale. Con l’articolo 3 si disciplina inoltre l’unione di fatto («du concubinage») «caratterizzata per una vita in comune, stabile e continuativa, tra due persone, di sesso differente o del medesimo sesso, che vivono in coppia».
Le coppie, in questo modo, possono scegliere liberamente se contrarre matrimonio, concludere un patto civile o, più semplicemente, convivere come unione di fatto.
In Germania è stato introdotto l’istituto della «convivenza registrata» che assicura tutela giuridica alle unioni di egual sesso (Gesetz zur Beendigung der Diskriminierung gleichgeschlechtlicher Gemeinschaften: Lebenspartnerschaften, vom 16 februar 2001 - Legge per la cessazione della discriminazione nei confronti delle coppie o dei conviventi di uguale sesso).
La legge segue la risoluzione adottata dal Parlamento europeo l’8 febbraio 1994 sulla parità dei diritti per le persone omosessuali, e interviene sulla base dei princìpi costituzionali della Legge fondamentale tedesca secondo cui «ognuno ha diritto al libero sviluppo della propria personalità in quanto non violi i diritti degli altri e non trasgredisca l’ordinamento costituzionale o la legge morale» (articolo 2).
L’unione deve essere registrata secondo le modalità definite dai diversi Land e i conviventi possono darsi un cognome comune. La legge obbliga i conviventi al sostegno e alla cura reciproci, riconoscendo ai contraenti dell’unione un diritto ereditario; all’atto della cessazione della convivenza, con sentenza, la parte economicamente più debole può avvalersi del diritto di richiedere gli alimenti.
Nel Regno Unito si è proceduto al riconoscimento e alla disciplina delle «unioni civili» tra persone eterosessuali e degli accordi di convivenza delle coppie omosessuali, prevedendo i requisiti e la procedura per ottenere la «convivenza registrata», i diritti e i doveri che ne derivano, tra cui la successione ereditaria e nella locazione, prestazioni previdenziali e pensionistiche, nonché una serie di disposizioni in caso di cessazione della «partnership» e delle conseguenze di carattere patrimoniale. Ai contraenti è rilasciata una «license» dall’ufficiale di stato civile a fronte di una dichiarazione congiunta sottoscritta dagli interessati.
In Spagna, infine, il Parlamento autonomo della Catalogna, con la legge del 15 luglio 1998 (Lej 1998, de 15 de julio, de uniones estables de pareva) ha istituito e disciplinato le «unioni stabili» sia tra eterosessuali che omosessuali. Per unione stabile l’articolo 1 della legge in esame intende quella convivenza tra un uomo e una donna, o tra persone del medesimo sesso, «che convivono come minimo da un periodo ininterrotto di due anni o hanno sottoscritto una scrittura pubblica» con la quale manifestano la volontà di unirsi nella forma stabilita. Le coppie eterosessuali possono ricorrere all’adozione in forma congiunta e, nell’insieme, si prevedono una serie di diritti e di doveri di carattere patrimoniale e assistenziale. I partner possono regolare (articolo 3) personalmente, in forma verbale, con scrittura privata o con atto pubblico, i rapporti patrimoniali derivanti dalla convivenza, così come i rispettivi diritti e doveri. Essi sono tenuti a contribuire al mantenimento della casa e della vita in comune con il lavoro domestico, con la collaborazione personale o professionale in proporzione alle proprie possibilità.

PROPOSTA DI LEGGE

Capo I

PATTO CIVILE DI SOLIDARIETÀ

Art. 1.

(Oggetto).

1. La presente legge reca disposizioni in materia di patto civile di solidarietà e di famiglia di fatto.

Art. 2.

(Patto civile di solidarietà).

1. Il patto civile di solidarietà, di seguito denominato «patto civile», è l’accordo concluso tra due persone fisiche maggiorenni, di sesso differente o del medesimo sesso, di seguito denominate «contraenti», per organizzare la loro vita in comune.
2. I contraenti del patto civile si prestano, per i bisogni della vita in comune, reciproco aiuto morale e materiale. Le modalità di tale aiuto sono fissate dal patto civile.

Art. 3.

(Registro dei patti civili).

1. Presso l’ufficio di stato civile di ogni comune è istituito il registro dei patti civili.
2. Il sindaco, o un suo delegato, provvede alla regolare tenuta delle registrazioni, delle variazioni e delle cessazioni dei patti civili nel registro di cui al comma 1.

Art. 4.

(Procedura e certificazione del patto civile).

1. Le persone che contraggono il patto civile presentano una dichiarazione congiunta presso l’ufficio di stato civile del comune in cui hanno o intendono stabilire il domicilio o la residenza.
2. Il patto civile è certificato dall’ufficiale di stato civile, il quale accerta l’assenza delle cause di impedimento di cui all’articolo 5 e il rispetto delle norme relative ai cittadini stranieri previste dall’articolo 9.
3. Su richiesta degli interessati l’ufficiale di stato civile dà atto delle iscrizioni nel registro dei patti civili.
4. Il patto civile è certificato dal relativo documento attestante lo stato di unione tra i contraenti. Il documento deve contenere:

a) i dati anagrafici nonché la residenza o il domicilio dei contraenti;

b) i dati anagrafici degli eventuali figli;

c) l’indicazione del regime patrimoniale.

Art. 5.

(Cause di impedimento della certificazione del patto civile).

1. A pena di nullità il patto civile non può essere sottoscritto:

a) se uno o entrambi i contraenti è vincolato da un precedente matrimonio, salvo che sia intervenuta la cessazione degli effetti civili, o da un altro patto civile;

b) se sussistono i vincoli di parentela di cui all’articolo 87 del codice civile;

c) se sussistono le cause di cui agli articoli 85 e 88 del codice civile.

Art. 6.

(Cessazione e scioglimento del patto civile).

1. Il patto civile cessa i suoi effetti per le seguenti cause:

a) per comune accordo dei contraenti, mediante una dichiarazione consensuale di separazione resa all’ufficiale di stato civile;

b) per volontà unilaterale, mediante domanda di separazione presentata da uno dei contraenti all’ufficiale di stato civile il quale, nei cinque giorni successivi alla data del deposito, la notifica nel luogo di domicilio o di residenza dell’altro contraente. Nel caso di separazione gli effetti del patto civile sono transitoriamente protratti per un anno dalla data della domanda. La richiesta di separazione, entro il medesimo anno, può essere ritirata e, in tale caso, il patto civile è ricostituito;

c) per decesso di uno dei contraenti;

d) per matrimonio di uno o di entrambi i contraenti.

2. A seguito della cessazione del patto civile uno dei contraenti può fare richiesta al giudice competente per chiedere la determinazione di un assegno di mantenimento quando non ha mezzi adeguati o non è in grado di procurarseli per ragioni obiettive. Il giudice, tenuto conto delle condizioni e del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei contraenti, del reddito di entrambi, delle circostanze e dell’entità del bisogno, può disporre l’obbligo di corrispondere periodicamente a favore dell’altro contraente tale assegno. La sentenza stabilisce altresì un criterio di adeguamento automatico dell’assegno con riferimento agli indicatori di svalutazione monetaria. Su accordo dei contraenti la corresponsione dell’assegno può avvenire in una unica soluzione.
3. Su istanza di uno dei contraenti, o consensualmente, può essere richiesta, se mutano le condizioni del beneficiario o della parte obbligata, la modifica del provvedimento di cui al comma 2 adottato dal giudice.
4. Il diritto all’assegno di cui al comma 2 cessa se la parte beneficiaria ripristina il patto civile, ai sensi del comma 1, lettera b), contrae matrimonio o un nuovo patto civile.
5. In caso di cessazione del patto civile, i contraenti procedono consensualmente alla divisione dei beni di proprietà comune che risultano dal loro patto civile. In mancanza di accordo il giudice determina le conseguenze patrimoniali della cessazione della convivenza, senza pregiudizio del risarcimento del danno eventualmente subìto da uno dei contraenti.

Art. 7.

(Regime patrimoniale).

1. I contraenti del patto civile regolano, con convenzione stipulata all’atto della registrazione ai sensi dell’articolo 3, i loro rapporti patrimoniali. A tale fine, in assenza di espressa volontà contraria, essi conservano la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante l’unione di patto civile.
2. I contraenti possono convenire in qualsiasi momento, mediante diversa convenzione, la contitolarità dei beni acquistati insieme o separatamente durante l’unione di patto civile, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali.

Art. 8.

(Doveri verso i figli).

1. I figli dei contraenti del patto civile nati durante la convivenza hanno gli stessi diritti spettanti ai figli nati durante il matrimonio.
2. Nel caso di separazione, riguardo ai figli, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dall’articolo 155 del codice civile.

Art. 9.

(Disposizioni relative ai cittadini stranieri).

1. Possono contrarre il patto civile con cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione europea o con cittadini stranieri residenti in Italia, gli stranieri titolari di carta di soggiorno e gli stranieri regolarmente soggiornanti in possesso di permesso di soggiorno almeno biennale.
2. Il cittadino straniero contraente il patto civile acquista la residenza in Italia.

Art. 10.

(Adozione e affidamento).

1. Ai contraenti del patto civile di sesso differente, conviventi da almeno tre anni, sono consentiti l’adozione e l’affidamento di minori, con le procedure e le modalità stabilite dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni.

Art. 11.

(Posizione anagrafica).

1. La posizione relativa di contraente del patto civile è equiparata a quella di membro di famiglia iscritto all’anagrafe della popolazione residente di cui all’articolo 1 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, e successive modificazioni.

Art. 12.

(Disposizioni in materia fiscale, assicurativa, previdenziale, assistenziale e di diritti di successione).

1. Ai contraenti del patto civile sono riconosciuti i diritti, le facoltà, i benefìci e le conseguenze derivanti dall’applicazione di leggi e di regolamenti a favore del nucleo familiare, dei coniugi o del coniuge relativi a disposizioni fiscali, previdenziali e assistenziali, compresi il riconoscimento della pensione di reversibilità e l’accesso alle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale e socio-sanitaria.
2. Ogni riferimento al coniuge o ai coniugi in materia di successione legittima è esteso ai contraenti del patto civile.
3. In caso di decesso di uno dei contraenti del patto civile derivante da fatto illecito, per il risarcimento del danno al contraente superstite si applicano i medesimi criteri individuati per il coniuge superstite ai sensi della legislazione vigente in materia.

Art. 13.

(Disposizioni in materia di lavoro).

1. Ai contraenti del patto civile sono riconosciuti i medesimi diritti, facoltà e benefìci in materia di occupazione e di lavoro, sia dipendente che autonomo, previsti per i coniugi o il coniuge del lavoratore, stabiliti da leggi, regolamenti, accordi o contratti collettivi e individuali di lavoro, nonché le disposizioni in materia di permessi o di congedi parentali, familiari e formativi, di maternità e di paternità.

Capo II

FAMIGLIA DI FATTO

Art. 14.

(Famiglia di fatto).

1. La famiglia di fatto è una convivenza caratterizzata da una unione che presenta caratteri di continuità e di stabilità tra due persone maggiorenni, di sesso differente o dello stesso sesso, che vivono in coppia.

Art. 15.

(Iscrizione anagrafica).

1. A seguito di dichiarazione dei conviventi davanti all’ufficiale di stato civile del comune di residenza, rilasciata da entrambi, il comune provvede, su richiesta delle parti, all’iscrizione anagrafica della convivenza perdurante da almeno un anno.
2. Nel caso di dichiarazione di una delle parti della cessazione della convivenza, l’ufficiale di stato civile notifica, entro dieci giorni, copia della predetta dichiarazione all’altro convivente e provvede all’aggiornamento della posizione anagrafica.

Art. 16.

(Rilevanza della convivenza).

1. Entrambi i conviventi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia di fatto.

Art. 17.

(Rapporti patrimoniali).

1. Con accordi stipulati tra i conviventi sono regolamentati i rapporti patrimoniali, le modalità e i tempi della contribuzione reciproca alle spese comuni della convivenza e dell’abitazione familiare, ivi comprese le conseguenze sul piano economico della cessazione della convivenza.
2. In assenza di espressa pattuizione tra le parti trova applicazione l’articolo 2034 del codice civile in materia di obbligazione naturale.

Art. 18.

(Provvedimenti relativi ai figli).

1. In caso di cessazione della convivenza o di volontà unilaterale di una delle parti di far venire meno il rapporto di convivenza, le parti possono rivolgersi al giudice al fine di ottenere l’affidamento dei figli minori e la determinazione di un assegno quale contributo per il loro mantenimento a carico del genitore non affidatario.
2. L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al convivente a cui vengono affidati i figli o con il quale i figli maggiorenni convivono.

Capo III

DISPOSIZIONI FINALI

Art. 19.

(Modifica all’articolo 3 della legge

1o dicembre 1970, n. 898).

1. Alla lettera b) del numero 2) del comma 1 dell’articolo 3 della legge 1o dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, le parole: «due anni» sono sostituite dalle seguenti: «un anno».

Art. 20.

(Modifica all’articolo 191 del codice civile).

1. All’articolo 191 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Nel caso di separazione personale, la comunione dei coniugi si scioglie nel momento in cui, in sede di udienza presidenziale, il presidente autorizza i coniugi a vivere separati».

Art. 21.

(Successione nel contratto di locazione),

1. Il primo comma dell’articolo 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392, è sostituito dal seguente:

«In caso di morte del conduttore gli succedono nel contratto il coniuge, il contraente del patto civile di solidarietà o il convivente al momento del decesso, gli eredi ed i parenti e gli affini con lui abitualmente conviventi».

Art. 22.

(Impresa familiare).

1. Il terzo comma dell’articolo 230-bis del codice civile è sostituito dal seguente:

«Ai fini della disposizione di cui al primo comma si intende come familiare il coniuge, il contraente del patto civile di solidarietà o il convivente, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo; per impresa familiare quella cui collaborano il coniuge, il contraente del patto civile di solidarietà o il convivente, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo grado».

Art. 23.

(Maltrattamenti in famiglia

o verso fanciulli).

1. Il primo comma dell’articolo 572 del codice penale è sostituito dal seguente:

«Chiunque, fuori dai casi indicati nell’articolo 571, maltratta una persona della famiglia, ivi compreso il contraente del patto civile di solidarietà o il convivente, o un minore di anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o un’arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni».

Art. 24.

(Estensione della definizione di prossimi congiunti).

1. Il quarto comma dell’articolo 307 del codice penale è sostituito dal seguente:

«Agli effetti della legge penale, si intendono per prossimi congiunti gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, il contraente del patto civile di solidarietà o il convivente, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti. Tuttavia, nella denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole».

Art. 25.

(Risarcimento del danno).

1. In caso di decesso del contraente del patto civile o del convivente, derivante da fatto illecito, il giudice, su richiesta dell’altro contraente o convivente, può porre a carico degli eredi, cui è stato liquidato il risarcimento del danno, un assegno periodico o in una unica soluzione a favore del richiedente, in relazione all’entità del risarcimento, alla durata della convivenza e ai bisogni del beneficiario.

Art. 26.

(Estensione dei casi di non punibilità).

1. Dopo il numero 1) del primo comma dell’articolo 649 del codice penale, è inserito il seguente:

«1-bis) del contraente del patto civile di solidarietà o del convivente;».

Art. 27.

(Obbligazione alimentare).

1. Dopo il numero 2) dell’articolo 433 del codice civile, è inserito il seguente:

«2-bis) il contraente del patto civile di solidarietà o il convivente;».

Art. 28.

(Violazione degli obblighi di assistenza

familiare).

1. Il primo comma dell’articolo 570 del codice penale è sostituito dal seguente:

«Chiunque, abbandonando il domicilio domestico o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale della famiglia, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori, o alla qualità di coniuge, di contraente del patto civile di solidarietà o di convivente, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa da euro centotre a euro milletrentadue».

2. Il numero 2) del secondo comma dell’articolo 570 del codice penale è sostituito dal seguente:

«2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti, al coniuge il quale non sia legalmente separato per sua colpa, al contraente del patto civile di solidarietà o al convivente».

Art. 29.

(Disposizioni fiscali).

1. Tutti gli atti, i documenti e i provvedimenti derivanti dall’attuazione della presente legge sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni altra tassa e imposta, nonché dai diritti di notifica, di cancelleria e di copia.

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