Senato della Repubblica Disegno di legge n. 1017 del 26/9/2006

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa del senatore CALVI

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 26 SETTEMBRE 2006

Norme per la depenalizzazione dell’eutanasia

Onorevoli Senatori.

Nel rispondere a una lettera inviata il 21 settembre 2006 dal signor Piergiorgio Welby, copresidente dell’Associazione «Luca Coscioni», il Presidente della Repubblica, immediatamente, con profonda umanità, ma anche con grande senso delle istituzioni, ha chiesto che si aprisse il dibattito in Parlamento per discutere e risolvere il problema dell’eutanasia.

Questo disegno di legge (già presentato nella XIV legislatura con i senatori Battisti ed altri – A.S. 2758) vuole essere un forte segno di attenzione alle autorevoli parole del Presidente della Repubblica ed una proposta al Senato affinché sia data rapida soluzione ad un tema così drammatico.
Le aspettative dei cittadini italiani per una rapida introduzione anche nel nostro Paese della possibilità – ovviamente circoscritta a circostanze e situazioni ben delimitate – di porre termine alla propria vita, giudicata ormai insostenibile, tramite il ricorso all’eutanasia, sono attualmente assai ampie e in continua crescita.
Come ha mostrato un’indagine di un primario istituto di ricerca, quasi il 60 per cento degli italiani si dichiara favorevole alla depenalizzazione dell’eutanasia, mentre solo il 27 per cento si dichiara contrario. Ma i dati dei favorevoli salgono ulteriormente quando si domanda se a giudizio dell’intervistato dovrebbe essere possibile chiedere l’eutanasia per i malati terminali: a tale quesito ha risposto «sì» quasi il 70 per cento degli intervistati. Un dato molto significativo è rappresentato, peraltro, dalla forte crescita nel tempo dei favorevoli, che nel 1987 erano solo il 24,5 per cento, a fronte di un 40 per cento dei contrari. Queste percentuali si sono dunque letteralmente ribaltate nell’arco degli ultimi quindici anni, come conseguenza – osservano i sociologi – della maturazione dell’opinione pubblica, anche a seguito di casi umani eclatanti che hanno scosso alcune certezze del nostro sentire collettivo.
Altrettanto importante in questa maturazione dell’opinione pubblica è il fatto che Paesi molto vicini al nostro, e come il nostro parte del nucleo originario della Comunità europea – e precisamente l’Olanda e il Belgio – si siano dotati, negli ultimi anni, di una legislazione ispirata a consentire, sempre in ben delimitati casi, il ricorso legale all’eutanasia.
Come è noto, questi due Paesi sono il primo a maggioranza protestante – l’Olanda – il secondo a maggioranza cattolica – il Belgio – e questo ci conferma che l’eutanasia non costituisce un problema religioso ma un problema sociale e politico, e che come tale va affrontato. Lo ribadisce anche il fatto che a fronte di gerarchie religiose tuttora contrarie a una riforma che preveda la depenalizzazione di questo istituto vi sono importanti confessioni cristiane, come quella valdese, che si sono invece dichiarate favorevoli, come pure favorevoli si sono dichiarate eminenti personalità dello stesso mondo cattolico, come il teologo tedesco Hans Kung e, in Italia, don Giovanni Franzoni, noto esponente religioso a suo tempo contestato dalle gerarchie (cosa peraltro avvenuta spesso anche nei confronti di personaggi poi santificati) ma con un notevole seguito nelle comunità di base del mondo cattolico.
Un’eventuale opposizione delle gerarchie religiose non dovrebbe pertanto distogliere il nostro Parlamento dal farsi carico di dare una risposta positiva alle aspettative dell’opinione pubblica, così come è avvenuto in relazione ad altri importanti iniziative legislative che il Parlamento ha saputo adottare, ad esempio in materia di divorzio e di aborto.
Del resto, il presente disegno di legge contiene in sé tutte le garanzie per evitare che la depenalizzazione dell’eutanasia possa prestarsi ad abusi di qualunque tipo, il cui rischio viene spesso messo in campo da chi si oppone in modo pregiudiziale a questa riforma.
Infatti l’eutanasia può essere chiesta solo da una persona che si trovi in «uno stato di malattia terminale, patologico o accidentale gravemente invalidante e irreversibile, causa di sofferenze fisiche o psichiche insopportabili e senza prospettive di miglioramento» (articolo 1, comma 1 lettera a)). Queste condizioni rigorose escludono quindi che il ricorso all’eutanasia possa essere richiesto o praticato per motivi futili.
Inoltre il disegno di legge prevede come ulteriore obbligo, alle successive lettere b) e c) dello stesso comma 1, che la richiesta sia valida solo se viene effettuata «in piena autonomia e libertà… in modo ponderato e reiterato» e se la persona che la presenta è «pienamente capace di intendere e di volere».
Infine, sempre affinché la richiesta sia valida, è previsto che la sussistenza delle predette condizioni sia vagliata da una commissione composta da tre medici, di cui uno specialista della patologia, uno designato dal paziente e uno dall’ordine dei medici.
L’insieme di queste condizioni, forse anche troppo restrittive, da un lato attesta la prudenza degli estensori della proposta nel momento di introdurre una riforma che tocca aspetti molto delicati e profondi della nostra vita e della nostra società, dall’altra esclude – come a volte viene paventato – che l’eutanasia possa essere un sentimento perverso per coprire coloro che eventualmente desiderino liberarsi di congiunti impossibilitati a difendersi o – come spesso viene evocato da catastrofici oppositori – addirittura uno strumento per ripetere «pulizie etniche» di nazista memoria.
Nel presente disegno di legge è in primo piano, infatti, la presenza – strettamente controllata e verificata – della precisa volontà di una persona di porre fine ad una esistenza che la stessa persona giudica ormai insostenibile. Una dolorosa e sofferta richiesta di fronte alla quale la società, qualora sussistano le precise condizioni determinate per legge, ha il dovere di inchinarsi e non ha il diritto di opporsi, condannando così una persona a protrarre a tutti i costi una vita che per lei è peggiore della morte.
Nel seguito del disegno di legge sono previsti:

– all’articolo 2, il riconoscimento del testamento biologico, e cioè delle direttive per il ricorso all’eutanasia date anticipatamente per iscritto da una persona per l’ipotesi in cui nel futuro la stessa venga a trovarsi «in uno stato di malattia che comporta la perdita delle facoltà intellettive e della integrità fisica» (e, quindi, l’impossibilità di formulare al momento la proposta prevista dall’articolo 1);

– all’articolo 3, la necessità della maggiore età per la richiesta di eutanasia, la possibilità che la stessa venga presentata in forma orale o scritta, e l’obbligo della sottoscrizione di due testimoni per il testamento biologico che la richiede;
– all’articolo 4, il diritto all’obiezione di coscienza per il medico a cui viene richiesto di praticare l’eutanasia;
– all’articolo 5, l’assimilazione ai fini civilistici della morte per eutanasia alla morte per eventi naturali.

Il presente disegno di legge, supportato da tante e rigorose condizioni, non ha – se si ragiona con la mente sgombra da pregiudiziali opposizioni di ordine ideologico o religioso – alcuna reale controindicazione, mentre è in grado di risolvere situazioni delicate sul piano sociale e morale, sicuramente in crescita dal punto di vista numerico, considerando i progressi parziali, ma purtroppo sempre limitati e contraddittori, della scienza medica e il continuo ma spesso sofferto prolungamento della durata della vita umana.

DISEGNO DI LEGGE

Articolo 1

(Non punibilità)

1. In deroga agli articoli 579, 580 e 593 del codice penale, non è punibile il medico che provoca o agevola la morte di una persona che lo ha richiesto, a condizione che:

a) la persona si trovi in uno stato di malattia terminale, patologico o accidentale gravemente invalidante e irreversibile, causa di sofferenze fisiche o psichiche insopportabili e senza prospettive di miglioramento;

b) la persona, in piena autonomia e libertà, abbia chiesto espressamente, in modo ponderato e reiterato, di morire;
c) la persona, al momento della richiesta, sia pienamente capace di intendere e di volere.

2. Le condizioni di cui al comma 1 devono essere attestate da una commissione composta da tre medici, di cui uno specialista della patologia, uno indicato dal paziente e uno designato dall’ordine dei medici tra coloro che non hanno sollevato obiezione di coscienza ai sensi dell’articolo 4.

3. La non punibilità di cui al comma 1 si estende alle altre persone che hanno fornito i mezzi per l’eutanasia o il suicidio assistito e a chiunque abbia collaborato all’intervento sotto la direzione del medico.

Articolo 2

(Testamento biologico)

1. Non è punibile il medico che provoca o agevola la morte di una persona che si trovi in uno stato di malattia che comporta la perdita delle facoltà intellettive e della integrità psichica, se la richiesta è stata formulata per iscritto quando la persona era pienamente capace di intendere e di volere.

Articolo 3

(Requisiti e forma della richiesta)

1. L’età minima per presentare la richiesta di cui all’articolo 1 è stabilita nella maggiore età.

2. La richiesta può essere orale o scritta.
3. Nel caso la richiesta sia stata formulata anticipatamente, in relazione a possibili eventi futuri tali da comportare la perdita irreversibile delle facoltà psichiche, deve essere inserita in un documento sottoscritto davanti a due testimoni.


Articolo 4

(Obiezione di coscienza)

1. Il medico che non intenda partecipare alle procedure previste dalla presente legge deve manifestare all’ordine dei medici la propria obiezione di coscienza, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, ovvero dall’avvio del servizio presso un ente in cui sono praticate le procedure previste dalla presente legge. Il medico è tenuto anche a rendere nota la propria obiezione all’eutanasia al paziente che lo interpella ai fini previsti dalla presente legge.


Articolo 5

(Effetti giuridici)

1. Quando una persona muore a seguito di un atto contemplato all’articolo 1, ai fini civilistici tale evento è assimilato alla morte per cause naturali e non può essere in nessun caso considerato rottura di rapporti contrattuali o produttivo di conseguenze contrattuali sfavorevoli per la persona interessata o per i suoi familiari e aventi causa.

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