Trattato sugli dei

Henry Louis Mencken
Il Saggiatore
1967

«Nella prima metà del Novecento, Henry L. Mencken, sommo letterato e maestro del pensiero occidentale, diede impulso al movimento di contestazione del moralismo puritano. Che tanta parte aveva (ed occupa ancora oggi, alla fine del secolo XX) nella società statunitense. Qui egli sviluppa l’assunto che la religione non sia uno schema di condotta, quanto piuttosto una teoria delle cause, adducendo numerose argomentazioni contro ogni forma di soddisfatta fiducia nella validità dei dogmi».

(M. Franzinelli, Ateismo laicismo anticlericalismo).

  • La religione fu inventata dall’uomo, così come dall’uomo furono inventate l’agricoltura e la ruota, e in essa non v’è assolutamente nulla che giustifichi la credenza che i suoi inventori avessero l’ausilio di potenze più alte, terrene o d’altra natura. In alcuni suoi aspetti, essa è estremamente geniale, in altri di commovente bellezza, ma in altri ancora è così assurda da rasentare l’imbecillità. […] Non è mia intenzione scuotere i fedeli nelle loro credenze, perché io sono del tutto immune da qualsiasi prurito messianico, né ho simpatia per i convertiti. Coloro che credono, e ne godono, gettino pure questo libro nella spazzatura (Prefazione, p. 11)
  • Si deve certamente ammettere che la religione è una delle più grandi invenzioni che mai si siano avute sulla terra (22).
  • Classe sacerdotale. Se l’operatore di meraviglie non era stato, nel passato, nulla più che un mago, ora era un sacerdote in senso genuino, con divinità che lavoravano per lui. Questo è ora il marchio che contrassegna il sacerdote: ha un Dio che lavora per lui. […] E presto si trova ad essere un legislatore infallibile (46).
  • Dèi potenti. Ogni volta che veniva introdotto un dio realmente potente, questi spazzava via folle di rivali di minor conto […]. Quando l’uomo primitivo cominciò a praticare l’agricoltura, crebbe enormemente il suo bisogni di dèi (74)
  • Naturalmente è l’inferno, non il paradiso, che rende potenti i sacerdoti, perché - dopo migliaia di anni di cosiddetta civiltà - la paura rimane l’unico comune denominatore dell’umanità. […] L’essenza di tutta la moralità sacerdotale è la ricompensa, e senza un inferno di qualsivoglia specie, o un altro genere di ricompensa, essa diviene retorica, senza alcun significato (111).
  • I sacerdoti furono psicologi molto prima di Freud. […] Giustamente, infatti, i teologi paragonano la fede alla fiducia ingenua d’un bambino […] L’unico scettico che non corre rischi è colui che nella sua infanzia non è mai stato esposto alla fede (115).
  • Accattivarsi gli dèi. Quattro idee fondamentali stanno alla base di tutte le religioni organizzate, sia antiche sia moderne, colte o selvagge […] Ma l’idea più essenziale è che gli dèi - chiunque essi siano e qualunque cosa possano fare - sono suscettibili di propiziazione (127).
  • India culla di fedi. La vera patria delle apocalissi e delle escatologie è l’India. Si sono inventati più paradisi e inferni qui, che in tutto il resto del mondo, e la loro influenza è visibile in tutte le teologie moderne (178).
  • La religione nella sua forma cristiana. Non v’è motivo di credere che il fondatore abbia mai sentito parlare di parto virgineo, o del dogma mistico e incomprensibile della Trinità, o persino del peccato originale. […] Nulla Gesù sapeva dei santi, né mai gli venne in mente che gli uomini avrebbero adorato sua madre (195).
  • Martirio. Il valore d’un sacrificio non è provato dalla causa che vi sta dietro. Migliaia di persone hanno rinunciato alla propria vita con altrettanto coraggio di Gesù, per cause infinitamente meno elevate e luminose. Tutti i martiri, in verità, credono di riuscire a scuotere il mondo, anche se nessun altro vi riuscì come lui (237).
  • I riformatori furono uomini di coraggio, ma non molti furono anche intelligenti. La nuova teologia da essi introdotta era altrettanto sciocca e criminale della precedente. […] Non fu quindi la Riforma che liberò l’anima dell’uomo moderno (266).
  • Religione oggi. Nessun uomo o donna realmente civile crede oggi nella cosmogonia della Genesi, né nella realtà dell’inferno, e neppure in qualche altra delle antiche imbecillità che ancora godono considerazione presso il grosso popolo., […] In altre parole, l’uomo civile è divenuto il dio di se stesso. Quando incontra delle difficoltà, non ne dà più la colpa all’inimicizia inscrutabile di potenze lontane e ineffabili; le attribuisce alla propria ignoranza ed incompetenza (275).
  • Aut ratio aut fides. La verità è che la teologia cristiana - come ogni altra teologia - non è soltanto contraria allo spirito scientifico, lo è anche ad ogni altro tentativo di pensiero razionale. […] L’unico vero modo per conciliare scienza e religione è di istituire qualcosa che non sia scienza e qualcosa che non sia religione (282-283).
  • Utilità dell’inferno. Il fatto però che le minacce dell’inferno abbiano la loro utilità sociale non è un argomento a sostegno della verità della religione; è semplicemente un argomento a sfavore della specie umana (291).
  • Disgraziatamente la religione è un’invenzione che frena il tempo e tende pertanto a conservare - dal punto di vista etico - le idee di un’epoca lontana e primitiva. […] Essa non è mai un aiuto per lo stabilirsi di sane idee etiche, ma sempre un impedimento (293).
  • Questi frutti della fede sono tutte illusioni? Non dimentichiamo che anche le illusioni hanno la loro utilità. […] Pochi uomini sono sufficientemente saldi di spirito per affrontare un cosmo ostile, un giorno dopo l’altro […] Ci vuol tempo per strappare alla fede ed educare nello scetticismo; tempo, e non poco sforzo e lavoro. Soltanto lo scettico della terza generazione è veramente sicuro: suo nonno deve aver accettato il denaro del Demonio quand’era ancora celibe (299).
  • La cosa principale è che il cristianesimo, sola fra le religioni del mondo moderno, ha ereditato un opulento contenuto estetico, ed è pertanto esso stesso un’opera d’arte. La forza di umana attrattiva di tutta questa poesia è così potente che promette di sopravvivere alla decadenza del cristianesimo (306).
  • Spauracchio. Che l’uomo moderno abbia ancora bisogno di simili consolazioni prova soltanto che l’emancipazione della sua mente è appena cominciata, che egli è ancora molto più vicino alla scimmia che al cherubino. […] La religione è, per la sua stessa natura, una macchina per spaventare; deve necessariamente fallire e crollare di mano in mano che l’uomo progredisce nella conoscenza, perché la conoscenza non è soltanto potere, è anche coraggio (309).
  • Senso della vita. Mi sembra che l’uomo civile si sia già liberato dell’antica puerile richiesta di un «significato della vita» […] Se non ha provato che la religione non è vera, ha almeno provato che non è necessaria: gli uomini possono vivere decentemente senza di essa, e senza possono morire coraggiosamente. Ma naturalmente non tutti gli uomini. La capacità d’una simile imperturbabilità è ancora rara nella specie, forse rara quanto la capacità d’onore. Per gli altri vi deve essere la fede, come vi deve essere la morale. È il loro destino vivere assurdamente, frustrati dagli imperativi categorici della loro piatta immaginazione, e morire in modo insano, cercando di afferrare mani che non ci sono (310).

L’AUTORE

Henry Louis Mencken (1880-1956 Baltimora, Maryland, USA), storico, pubblicista e critico assai autorevole nella cultura statunitense tra le due guerre, portavoce esemplare di quella che fu chiamata la generazione e l’«età del jazz». Celebri la serie dei suoi Prejudices e i fondamentali studi The American Language. Sul saggio sopra riportato, ormai introvabile in Italia, si veda la recensione riportata a pagina 23 dell’Ateo, n. 4/1998.

Luciano Franceschetti
Giugno 2000