Poesie

Indice

Cossa voleu che diga
Giorgio Baffo, 1789

Cossa voleu che diga, caro fio,
de niovo de sti frati buzzaroni?1
Se non ve zollerè2 ben i bragoni3,
spesso ghe n’avrè qualcun da drio4.

Cossa voleu che diga, poffardio5?
Che per la potta e ’l cul sti porconi
impegnaria la tonaca e i cogioni,
e i manderia la religion a Lio6?

Ve dirò che i va sempre volentiera
in compagnia de qualche buzzaron,
e che i è de tutti i lumi la lumiera;
e, se volè chiappar7 frati a boccon8,
basta che vù, che sè una bella ciera9,
tegnisse el cul fora dal balcon.

(1: Mascalzoni; 2: Allaccerete; 3: Calzoni; 4: Dietro; 5: Perdio; 6: Lido; 7: Prendere; 8: In abbondanza; 9: Viso)

Il rinnegamento di San Pietro
Charles Baudelaire, 1852, da I fiori del Male

Che se ne fa Dio di quel fiotto d’anatemi
che sale ogni giorno verso i suoi diletti Serafini?
Come un tiranno satollo di carne e di vini,
s’addormenta al dolce brusio delle nostre orrende bestemmie.

I singhiozzi dei martiri e dei supplizziati
sono certamente una sinfonia inebriante,
se, malgrado il sangue che costa la loro voluttà,
i cieli non ne sono ancora sazi.

- Ah! Gesù, ricordati dell’Orto degli Ulivi!
Nella tua ingenuità pregavi in ginocchio
colui che nel suo cielo rideva al rumore dei chiodi
che ignobili carnefici piantavano nella tue carni vive.

E quando vedesti sputare sulla tua divinità
la feccia del corpo di guardia e delle cucine,
e sentisti penetrare le spine
nel tuo cranio in cui viveva l’immensa Umanità;

quando il tremendo peso del tuo corpo stremato
stirava le tue braccia distese, e il tuo sangue
e il tuo sudore colavano dalla tua fronte impallidita,
e fosti posto davanti a tutti come un bersaglio,

ripensavi a quei giorni così radiosi e belli
in cui venisti per compiere l’eterna promessa,
in cui percorrevi, in groppa ad un asinello paziente,
strade cosparse di fiori e di ramoscelli,

in cui, col cuore gonfio di speranza e di coraggio,
fustigavi con forza quei vili mercanti,
quando, infine, fosti maestro? Il rimorso
non penetrò nel tuo fianco più in fondo della lancia?

- Quanto a me, uscirò certo volentieri
da un mondo in cui l’azione non è sorella del sogno;
possa io usare la spada e di spada perire!
San Pietro ha rinnegato Gesù… Ha fatto bene!

Il ribelle
Charles Baudelaire, 1861, da I fiori del Male

Un Angelo furibondo piomba dal cielo come un’aquila,
afferra a pugno pieno i capelli del miscredente
e gli dice, scuotendolo: «Tu devi conoscere la regola!
(io sono il tuo buon Angelo, capisci?) lo esigo!

Sappi che si deve amare, senza tante smorfie,
il povero, il cattivo, lo storpio, l’ebete:
così tu potrai fare a Gesù, quand’egli passa,
un tappeto trionfale con la tua carità.

Così è l’Amore. Prima che il tuo cuore diventi indifferente,
riaccendi la tua estasi alla gloria di Dio:
è questa la vera, duratura Voluttà!».

E l’Angelo, castigando nella misura che ama,
tortura con le sue mani di gigante il maledetto.
Ma il dannato risponde sempre: «No, non voglio!»

La creazzione der Monno
Giuseppe Gioacchino Belli, 4 ottobre 1831, da I sonetti

L’anno che Ggesucristo impastò er monno,
ché pe impastallo ggià cc’era la pasta,
verde lo vorze1 fà, ggrosso e rritonno2
all’uso d’un cocommero de tasta.

Fesce un zole, una luna, e un mappamonno,
ma de le stelle poi, di’ una catasta:
sù uscelli, bbestie immezzo, e ppessci in fonno:
piantò le piante, e ddoppo disse: Abbasta.

Me scordavo de dì che ccreò ll’omo,
e ccoll’omo la donna, Adamo e Eva;
e jje proibbì de nun toccajje un pomo.

Ma appena che a mmaggnà ll’ebbe viduti,
strillò per Dio con cuanta vosce aveva:
«Ommini da vienì3, ssete futtuti».

(1: Volle; 2. Rotondo; 3. Uomini a venire)

Er confessore
Giuseppe Gioacchino Belli, 17 dicembre 1832, da I sonetti

«Padre…». «Dite il confiteor». «L’ho ddetto».
«L’atto di contrizione?» «Ggià l’ho ffatto».
«Avanti dunque». «Ho ddetto cazzo-matto
a mmi’ marito, e jj’ho arzato1 un grossetto2».

«Poi?» «Pe una pila che mme róppe3 er gatto
je disse for de mé: “Ssi’ mmaledetto”;
e è ccratura de Ddio!». «C’è altro?» «Tratto
un giuvenotto e cce sò ita a lletto».

«E llí ccosa è ssucesso?» «Un po’ de tutto».
«Cioè? Sempre, m’immagino, pel dritto».
«Puro a rriverzo…». «Oh che peccato brutto!

Dunque, in causa di questo giovanotto,
tornate, figlia, cor cuore trafitto,
domani, a casa mia, verso le otto».

(1: Rubato; 2: Mezzo paolo d’argento; 3: Ruppe)

Le cose pretine
Giuseppe Gioacchino Belli, 21 dicembre 1832, da I sonetti

Tu ssempre arrivi tardi e ttardi alloggi,
e nnun zai lègge manco er frondispizzio!1
Cuer che ttiè addosso un prete ar giorno d’oggi
tutto scià er zu’ perché, ttutto er zu’ innizzio2.

Me dirai: «Ma l’anelli nun zò sfoggi?»
No, ssò sseggni der zanto sposalizzio
de la cchiesa e dder prete. «E qquel’orloggi?»
Pe ssapé ll’ora de cantà ll’uffizzio.

«E le saccocce piene de piselli3
nun vònno dí rricchezza?» Nun è vvero:
vònno dí ppane pe li poverelli.

«E cche vvò ddí ssott’ar zucchetto nero
cuer tonno vòto immezz’a li capelli?»
Vò ddí: cqua cc’è zzero via zzero zzero.

(1: Sei tardo a intendere; 2: Indizio; 3: Danari)

Le Campane
Giuseppe Gioacchino Belli, 21 aprile 1834, da I sonetti

Le campàn de le cchiese, sor Grigorio,
1 dde metall’infuso2 e bbattezzate,
e vve fanno bbellissime sonate
a cchi ha cquadrini3 da pagà er mortorio.

Nun c’è ddiasilla, o pprego, o rrisponzorio4
che, ar modo che le cose sò aggiustate,
pozzi mejjo d’un par de scampanate
delibberà cchi ppena in purgatorio.

Da la condanna ch’er bon Dio je diede
je se ne scala un anno pe’ oggni tocco,
e ggiacubbino sia chi nnun ce crede.

E ppe cquesto quassú, cchi nnun è ssciocco,
ner morí llassa l’obbrigo a l’erede
che jje ne facci dà ttanti a bbajocco.

(1: Sono; 2: Metallo fuso; 3: Quattrini; 4: La diessilla, il devoto prego e il responsorio sono la merce che vendono i ciechi alle porte delle chiese, in suffragio delle anime sante del purgatorio)

La Messa de San Lorenzo
Giuseppe Gioacchino Belli, 26 aprile 1834, da I sonetti

Un giorno, a Ssan Lorenzo1, entrò un ziggnore
e aggnéde2 in zagristia co un colonnato3,
acciò un prete sciavessi4 scelebbrato
una messa d’un scudo de valore.

Er prete in ner momento fu ttrovato:
la messa se5 cantò a l’artar-maggiore;
e un’anima purgante ebbe l’onore
de volà in paradiso a bbommercato.

Ma appena er prete se cacciò la vesta,
accortose la piastra ch’era farza6,
attaccò un Cristo7, e ffesce una protesta.

E ll’anima sarvata ebbe er martorio,
stante la messa che nnun j’era varza8,
de tornassene9 addietro in purgatorio.

(1: La basilica di S. Lorenzo fuori delle mura, la chiesa di S. Gregorio al Monte Celio, e quella di S. Maria Liberatrice al Foro Romano, hanno il privilegio di liberare “illico et immediate” un’anima dal purgatorio per ogni messa di uno scudo di elemosina. Alcuni altari però di altre chiese sono privilegiati “ad instar”; 2: Andò. 3: Moneta spagnola, detta «colonnato» o «pezzoduro»; 4: Ci avesse; 5: Si; 6: Costruzione: Accortosi che la piastra era falsa. 7: Cioè «una bestemmia»; 8: Che la messa non gli era valsa; 9: Tornarsene)

Er frutto de la predica
Giuseppe Gioacchino Belli, 29 novembre 1834, da I sonetti

Letto ch’ebbe er Vangelo, in piede in piede
quer bon Padre Curato tanto dotto
se1 piantò cco le chiappe sul paliotto
a spiegà li misteri de la fede.

Ce li vortò de sopra e ppoi de sotto:
ciariccontò2 la cosa come aggnede3;
e de bbone raggione sce ne diede
piú assai de sei via otto quarantotto.

Riccontò ’na carretta de parabbole,
e cce ne fesce poi la spiegazzione,
come fa er Casamia doppo le gabbole4.

Inzomma, da la predica de jjeri,
ggira che tt’ariggira, in concrusione
venissimo5 a ccapí cche ssò6 mmisteri.

(1: Si; 2: Ci raccontò; 3: Andò; 4: Cabale dell’astronomo Casamia per il gioco del lotto; 5: Venimmo; 6: Sono)

Sonetto a Papa Chimente (malato)
Francesco Berni, 1497-1535, da Rime

Fate a modo de un vostro servidore,
el qual vi dà consigli sani e veri:
non vi lassate metter più cristieri1,
che, per Dio, vi faranno poco onore.

Padre santo, io vel dico mo’ de cuore:
costor son macellari e mulattieri
e vi tengon nel letto volentieri,
perché si dica: «Il papa ha male, e’ more»;

e che son forte dotti in Galieno,
per avervi tenuto all’ospitale,
senza esser morto, un mese e mezzo almeno.

E fanno mercanzia del vostro male:
han sempre il petto di polizze pieno,
scritte a questo e a quell’altro cardinale.

Pigliate un orinale
e date lor con esso nel mostaccio:
levate noi di noia e voi d’impaccio.

(1: Clisteri)

Il Giardino dell’Amore
William Blake, 1794

Sono andato al Giardino dell’Amore
e ho visto quello che non avevo visto mai:
una Cappella era costruita lì in mezzo,
dove io giocavo sul prato.

E le porte di questa Cappella erano chiuse,
e «Tu non devi» scritto sulla porta;
così mi volsi verso il Giardino dell’Amore,
che tanti dolci fiori portava;

e vidi che era pieno di tombe,
e pietre tombali dove dovevano essere i fiori;
e Preti in nere vesti andavano attorno,
e circondavano con rovi le mie gioie & piaceri.

Contro la seduzione
Bertolt Brecht, 1918

Non vi fate sedurre;
non esiste ritorno.
Il giorno sta alle porte,
già è qui vento di notte.
Altro mattino non verrà.

Non vi lasciate illudere
che è poco, la vita.
Bevetela a grandi sorsi,
non vi sarà bastata
quando dovrete perderla.

Non vi date conforto;
vi resta poco tempo.
Chi è disfatto, marcisca.
La vita è la più grande:
nulla sarà più vostro.

Non vi fate sedurre
da schiavitù e da piaghe.
Che cosa vi può ancora spaventare?
Morite con tutte le bestie
e non c’è niente, dopo.

Ragazza in minigonna che legge la bibbia davanti alla mia finestra
Charles Bukowski, 1972, da Mockingbird Wish Me Luck

domenica. sto mangiando
un pompelmo. a ovest
nella chiesa russa ortodossa
è finita la funzione.
lei è bruna
d’origine orientale,
i grandi occhi castani si alzano e si abbassano
sulla bibbia, una piccola bibbia rossa
e nera, e mentre legge
le si muovono le gambe senza posa,
fa un lento ballo ritmico
leggendo la sua bibbla…
lunghi orecchini d’oro;
2 braccialetti d’oro su ogni polso,
ed è, immagino, un minivestito,
la stoffa le fascia il corpo,
quella stoffa è la più lieve delle abbronzature,
si torce di qua e di là,
giovani gambe lunghe calde al sole…

impossibile sfuggire alla sua esistenza
impossibile desiderare…

la mia radio suona musica sinfonica
che lei non può sentire
mai suoi movimenti coincidono esattamente
con i ritmi
della sinfonia…

è bruna, è bruna
e legge la parola di Dio.

io sono Dio.

L’uomo del Signore
Charles Bukowski, 1997, da Quando eravamo giovani

eravamo sui 10-11 anni
quando andammo
dal prete.
bussammo.
aprì
una cicciona sciatta.
«sì» domandò.
«vogliamo vedere
il prete», disse uno di noi.
penso fosse Frank
che lo
disse.
«Padre», la donna
girò la testa,
«dei ragazzi vogliono
vederla».
«falli venir
dentro», disse
il prete.
«seguitemi», disse
la cicciona sciatta.
la seguimmo.
il prete era
nello studio.
seduto alla scrivania.
mise via delle carte.
«si, ragazzi?»
la cicciona
se la filò.
«ebbene», dissi io.
«ebbene», disse Frank.
«si, ragazzi, proseguite…»
«ebbene», disse Frank, «ci
chiedevamo se c’è davvero
Iddio».
il Padre sorrise.
«ma certo
che c’è».
«e dov’è?»
domandai io.
«voi ragazzi non avete
studiato catechismo?
Dio è ovunque».
«oh», fece Frank.
«grazie, Padre,
volevamo solo
esser certi», dissi io.
«non c’è problema,
ragazzi, mi fa piacere
che abbiate chiesto».
«grazie, Padre»,
disse Frank.
facemmo entrambi una specie di
inchino, poi
girammo
e uscimmo
dalla stanza.
la cicciona sciatta
ci aspettava.
ci guidò lungo il
corridoio sino alla
porta.
passeggiammo su e giù
per la via.
«mi domando se
la chiava?» chiese
Frank.
guardai intorno in cerca di Dio,
poi risposi:
«certo che no».
«ma cosa fa
quando è
eccitato?»
chiese Frank.
«probabilmente prega»,
dissi.
«non è la stessa
cosa», disse Frank.
«lui ha Dio», dissi,
«non ha bisogno
di quello».
«secondo me
la chiava», disse Frank.
«ah si?»
«già
perché non andiamo
a chiederglielo?»
«vacci tu a chiedere»,
dissi, «sei tu
il curioso».
«ho paura»,
disse Frank.
«hai paura di Dio»,
dissi.
«be’, tu non ce l’hai?»
domandò.
«sicuro».
poi ci fermammo a un
semaforo rosso, aspettando il
turno.
nessuno di noi era stato
a messa da
mesi.
era noioso.
era più divertente
parlare col prete.
venne il verde e
attraversammo.

Lo stravolto
Giorgio Caproni, 1975, da Il muro della terra

«Piaccia o non piaccia!»
disse. «Ma se Dio fa tanto»,
disse, «di non esistere, io,
quant’è vero Iddio, a Dio
io Gli spacco la Faccia».

Preghiera d’esortazione o di incoraggiamento
Giorgio Caproni, 1975, da Il muro della terra

Dio di volontà,
Dio onnipotente, cerca
(sforzati), a furia d’insistere
- almeno - d’esistere.

Pensiero pio
Giorgio Caproni, 1975, da Il muro della terra

Sta forse nel non essere
l’immensità di Dio?

A Satana
Giosuè Carducci, 1863

A te, de l’essere
Principio immenso,
Materia e spirito,
Ragione e senso;

Mentre ne’ calici
Il vin scintilla
Sì come l’anima
Ne la pupilla;

Mentre sorridono
La terra e il sole
E si ricambiano
D’amor parole,

E corre un fremito
D’imene arcano
Da’ monti e palpita
Fecondo il piano;

A te disfrenasi
Il verso ardito,
Te invoco, o Satana,
Re del convito.

Via l’aspersorio,
Prete, e il tuo metro!
No, prete! Satana
Non torna indietro!

Vedi: la ruggine
Rode a Michele
Il brando mistico,
Ed il fedele

Spennato arcangelo
Cade nel vano.
Ghiacciato è il fulmine
A Geova in mano.

Meteore pallide,
Pianeti spenti,
Piovono gli angeli
Da i firmamenti.

Ne la materia
Che mai non dorme,
Re de i fenomeni,
Re de le forme,

Sol vive Satana.
Ei tien l’impero
Nel lampo tremulo
D’un occhio nero,

O ver che languido
Sfugga e resista,
Od acre ed umido
Pròvochi, insista.

Brilla de’ grappoli
Nel lieto sangue,
Per cui la rapida
Gioia non langue,

Che la fuggevole
Vita ristora,
Che il dolor proroga,
Che amor ne incora.

Tu spiri, o Satana,
Nel verso mio,
Se dal sen rompemi
Sfidando il dio

De’ rei pontefici,
De’ re cruenti;
E come fulmine
Scuoti le menti.

A te, Agramainio,
Adone, Astarte,
E marmi vissero
E tele e carte,

Quando le ioniche
Aure serene
Beò la Venere
Anadiomene.

A te del Libano
Fremean le piante!
De l’alma Cipride
Risorto amante

A te ferveano
Le danze e i cori,
A te i virginei
Candidi amori,

Tra le odorifere
Palme d’Idume,
Dove biancheggiano
Le ciprie spume.

Che val se barbaro
Il nazareno
Furor de l’agapi
Dal rito osceno

Con sacra fiaccola
I templi t’arse
E i segni argolici
A terra sparse?

Te accolse profugo
Tra gli dèi lari
La plebe memore
Ne i casolari.

Quindi un femineo
Sen palpitante
Empiendo, fervido
Nurne ed amante,

La strega pallida
D’eterna cura
Volgi a soccorrere
L’egra natura.

Tu a l’occhio immobile
De l’alchimista,
Tu de l’indocile
Mago a la vista,

Del chiostro torpido
Oltre i cancelli,
Riveli i fulgidi
Cieli novelli.

A la Tebaide
Te ne le cose
Fuggendo, il monaco
Triste s’ascose.

Dal tuo tramite
Alma divisa,
Benigno è Satana;
Ecco Eloisa.

In van ti maceri
Ne l’aspro sacco:
Il verso ei mormora
Di Maro e Flacco

Tra la davidica
Nenia ed il pianto;
E, forme delfiche,
A te da canto,

Rosee ne l’orrida
Compagnia nera
Mena Licoride,
Mena Glicera.

Ma d’altre imagini
D’età più bella
Talor si popola
L’insonne cella.

Ei, da le pagine
Di Livio, ardenti
Tribuni, consoli,
Turbe frementi

Sveglia; e fantastico
D’italo orgoglio
Te spinge, o monaco,
Su ’l Campidoglio.

E voi, che il rabido
Rogo non strusse,
Voci fatidiche,
Wicleff ed Husse,

A l’aura il vigile
Grido mandate:
S’innova il secolo,
Piena è l’etate.

E già già tremano
Mitre e corone:
Dal chiostro brontola
La ribellione,

E pugna e prèdica
Sotto la stola
Di fra’ Girolamo
Savonarola.

Gittò la tonaca
Martin Lutero;
Gitta i tuoi vincoli,
Uman pensiero,

E splendi e folgora
Di fiamme cinto;
Materia, inalzati;
Satana ha vinto.

Un bello e orribile
Mostro si sferra,
Corre gli oceani,
Corre la terra:

Corusco e fumido
Come i vulcani,
I monti supera,
Divora i piani;

Sorvola i baratri;
Poi si nasconde
Per antri incogniti,
Per vie profonde;

Ed esce; e indomito
Di lido in lido
Come di turbine
Manda il suo grido,

Come di turbine
L’alito spande:
Ei passa, o popoli,
Satana il grande.

Passa benefico
Di loco in loco
Su l’infrenabile
Carro del foco.

Salute, o Satana
O ribellione
O forza vindice
De la ragione!

Sacri a te salgano
Gl’incensi e i voti!
Hai vinto il Geova
De i sacerdoti.

Dei
Langston James Hughes

I dei d’avorio,
e i dei d’ebano,
e i dei di giada e diamante,
siedono silenziosamente sulle mensole del tempio
mentre la gente
è impaurita.

Tuttavia i dei d’avorio
e i dei d’ebano
e i dei di giada-diamante
sono soltanto stupidi fantocci
che la gente stessa
ha fatto.

La cremazione
Antonio Ghislanzoni, 1878, da Libro proibito

Contro il sistema della cremazione
Protestano con ira i collitorti
I gesuiti ed i preti retrivi;
Noi non cremiam che i morti,
La Santa Inquisizione
Preferì sempre di cremare i vivi.

Miracoli
Antonio Ghislanzoni, 1878, da Libro proibito

Allor che al mondo annunziasi
Qualche molesto evento:
«Oh! il dito dell’Altissimo!»
Sclamar dai preti io sento.

D’un prete la Perpetua
Ier l’altro ha partorito…
A compier tai miracoli
Di Dio bastar può il dito?

Ad Arimane1
Giacomo Leopardi, 1833, abbozzo di inno

Re delle cose,
autor del mondo,
arcana malvagità,
sommo potere e somma
Intelligenza, eterno
dator de’ mali e reggitor del moto,
io non so se questo ti faccia felice, ma mira e godi ec. contemplando eternam. ec.
produzione e distruzione ec. per uccider partorisce ec. sistema del mondo, tutto patimen. Natura è come un
bambino che disfa subito il fatto. Vecchiezza. Noia o passioni piene di dolore e disperazioni: amore.
I selvaggi e le tribù primitive, sotto diverse forme, non riconoscono che te. Ma i popoli civili ec. te con diversi
nomi il volgo appella Fato, natura e Dio. Ma tu sei Arimane, tu quello che ec.
E il mondo civile t’invoca.
Taccio le tempeste, le pesti ec. tuoi doni, che altro non sai donare. Tu dai gli ardori e i ghiacci.
E il mondo delira cercando nuovi ordini e leggi e spera perfezione. Ma l’opra tua rimane immutabile, perché p.
natura dell’uomo sempre regneranno L’ardimento e l’inganno, e la sincerità e la modestia resteranno indietro, e
la fortuna sarà nemica al valore, e il merito non sarà buono a farsi largo, e il giusto e il debole sarà oppresso ec.
Vivi, Arimane e trionfi, e sempre trionferai.
Invidia degli antichi attribuita agli dei verso gli uomini.
Animali destinati in cibo. Serpente Boa. Nume pietoso ec.
Perché, dio del male, hai tu posto nella vita qualche apparenza di piacere? l’amore?… Per travagliarci col
desiderio, col confronto degli altri e del tempo nostro passato?
Io non so se tu ami le lodi o le bestemmie. Tua lode sarà il pianto, testimonio del nostro patire. Pianto da me
per certo Tu non avrai: ben mille volte dal mio labbro il tuo nome maledetto sarà.
Ma io non mi rassegnerò.
Se mai grazia fu chiesta ad Arimane, concedimi ch’io non passi il 7° lustro. Io sono stato, vivendo, il tuo maggior
predicatore, l’apostolo della tua religione. Ricompensami. Non ti chiedo nessuno di quelli che il mondo chiama
beni: ti chiedo quello che è creduto il massimo de’ mali, la morte (non ti chiedo ricchezze, non amore, sola
causa degna di vivere). Non posso, non posso più della vita.

(1: Divinità del Male nello Zoroastrismo)

Wendell P. Bloyd
Edgar Lee Masters, 1916, da Antologia di Spoon River

Prima mi accusarono di condotta molesta,
non essendoci leggi contro la bestemmia.
Poi mi rinchiusero in manicomio
e fui ammazzato di botte da un sorvegliante cattolico.
Il mio torto fu questo:
dissi che Dio mentì ad Adamo e lo destinò
a vivere una vita da sciocco,
ignaro del male come del bene del mondo.

E quando Adamo gabbò Dio mangiando la mela
e scoprì la menzogna,
Dio lo cacciò dall’Eden per impedirgli di cogliere
il frutto della vita immortale.

Ma, Cristo! voi gente di buon senso,
ecco cosa dice Dio stesso nel libro del Genesi:
«E il Signore Iddio disse, ecco che l’uomo
è diventato come uno di noi»
(un po’ d’invidia, vedete),
«a conoscere il bene e il male» (smascherata la balla che tutto è bene);
«e allora, per paura che allungasse la mano a prendere
anche dall’albero della vita e ne mangiasse, e vivesse in eterno,
il Signore Iddio lo cacciò dal giardino dell’Eden»

(La ragione per cui credo che Dio crocifisse il proprio Figlio
per uscire da quello squallido impiccio è che ciò è proprio da par suo).

La Terra Santa
Alda Merini, 1984, da La Terra Santa

Ho conosciuto Gerico,
ho avuto anch’io la mia Palestina,
le mura del manicomio
erano le mura di Gerico
e una pozza di acqua infettata
ci ha battezzati tutti.
Li dentro eravamo ebrei
e i Farisei erano in alto
e c’era anche il Messia
confuso dentro la folla:
un pazzo che urlava al Cielo
tutto il suo amore in Dio.

Noi tutti, branco di asceti
eravamo come gli uccelli
e ogni tanto una rete
oscura ci imprigionava
ma andavamo verso le messe,
le messe di nostro Signore
e Cristo Salvatore.

Fummo lavati e sepolti,
odoravamo di incenso.
E dopo, quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno.

Ma un giorno da dentro l’avello
anch’io mi sono ridestata
e anch’io come Gesù
ho avuto la mia ressurezione,
ma non sono salita ai cieli
sono discesa all’inferno
da dove riguardo stupita
le mura di Gerico antica.

La morte di Dio
Eugenio Montale, 1971, da Satura

Tutte le religioni del Dio unico
sono una sola: variano i cuochi e le cotture.
Così rimuginavo; e m’interruppi quando
tu scivolasti vertiginosamente
dentro la scala a chiocciola della Périgourdine
e di laggiù ridesti a crepapelle.
Fu una buona serata con un attimo appena
di spavento. Anche il papa
in Israele disse la stessa cosa
ma se ne pentì quando fu informato
che il sommo Emarginato, se mai fu,
era perento.

La preghiera dell’ignorante
Multatuli (Eduard Douwes Dekker), 1861

Non so se siamo stati creati con uno scopo
o se siamo qui solo per caso. E neppure so se un Dio
o degli Dei si divertano per il nostro dolore e scherniscano
l’imperfezione della nostra esistenza. Se fosse così,
sarebbe terribile! Ma di chi è la colpa
se i deboli sono deboli, i malati sono malati e gli stupidi
sono stupidi?

Se siamo stati creati intenzionalmente, con uno scopo,
e per la nostra imperfezione non lo raggiungiamo,
l’onta di tutte le storture non ricade su di noi,
non sulla creatura, ma sul Creatore! Chiamatelo Zeus
o Giove, Geova, Baal, Jahweh, non importa:
Egli non c’e, o deve essere buono, e perdonarci
che non lo comprendiamo. Toccava a lui
manifestarsi ed Egli non lo fece! Se l’avesse fatto,
l’avrebbe fatto in modo che nessuno potesse dubitare;
che ciascuno dicesse: lo conosco, lo sento e lo capisco.

Ciò che gli altri ora pretendono di sapere di quel Dio
a me non serve. Io non lo capisco! Domando: perché
si è manifestato ad altri e non a me?
Un figlio è più vicino al padre dell’altro figlio?
Finché un solo figlio d’uomo non conosce quel Dio,
fino allora è calunnia credere in quel Dio!
Il figlio che inutilmente lascia chiamare il figlio, agisce
in modo crudele!
Ed è più bello credere che non ci sia nessun padre
anzichè credere che egli sia sordo con suo figlio!

Forse un giorno ne sapremo di più! Forse un giorno
comprenderemo che Egli c’è, ch’Egli ci osservava
e che il suo silenzio aveva una causa, un fondamento. Ebbene,
appena lo sapremo sarà allora tempo di lode,
ma non prima, non ora! Dio proverebbe dispiacere
nello scoprire che lo adoriamo senza fondamento.
Ed è una stoltezza voler illuminare la buia ignoranza di oggi
con una luce che ancora non brilla.

Servirlo? Stoltezza! Se avesse voluto il servizio,
avrebbe manifestato in quale modo.
Ed è assurdo che egli attenda dall’uomo
adorazione, servizio e lode, mentre egli
sul modo in cui farlo ci lascia nell’incertezza.
Se noi non serviamo Dio come gli piace, è colpa sua, non colpa nostra!
Intanto - finché non ne sapremo più - il bene e il male
sono una cosa sola?

Non comprendo a che cosa ci serva un Dio, nel separare
il bene dal male. Chi opera il bene
perché un Dio lo ricompensi, proprio per questo fa che il bene
diventi qualcosa di male, un mercato. E chi fugge la cattiveria
per timore della disgrazia di quel Dio, è un vile!

Non ti conosco, o Dio! Ti ho chiamato, cercato,
supplicato per una risposta e tu taci! Vorrei tanto fare
la tua volontà, non per timore, di castigo o speranza
di ricompensa,
ma come un figlio fa la volontà del padre, per amore!
Tu taci, sempre Tu taci!
Ed io vado errando e anelo
l’ora in cui saprò che tu esisti.
Allora chiederò: «Padre, perché ora per la prima volta
mostri a Tuo figlio che egli aveva un padre
e che non era solo nella battaglia,
la dura battaglia per l’umanità e il diritto?
o eri certo che avrei fatto la sua volontà
anche senza conoscerla? Che, inconsapevole
della tua esistenza, Ti avrei servito come Tu vuoi esserlo?
È vero questo?
Rispondi, Padre, se sei là rispondi,
non far disperare Tuo figlio! Padre non restare muto
al lama sabachtani strappato col sangue!»
.

Così geme l’ignorante sulla croce che ha scelto volontariamente
e si contorce dal dolore e si lamenta che ha sete.

Il sapiente - lui che sa, lui che conosce Dio - beffeggia lo stolto
e gli offre fiele ed esulta: «Sentite, chiama suo padre!»
e borbotta: «Ti ringrazio, Signore, che non sono come lui!»
e canta un salmo: «Beato colui che non siede nel consesso dei malvagî
e che non calca l’immondo sentiero del peccatore»
.

Il sapiente striscia in Borsa e mercanteggia titoli di credito.
Il padre tace, O Dio, non c’e nessun Dio!

Il cielo è vuoto
Sandro Penna, 1927-55, da: Poesie inedite

Il cielo è vuoto. Ma negli occhi neri
di quel fanciullo io pregherò il mio dio.
Ma il mio dio se ne va in bicicletta
o bagna il muro con disinvoltura.

Gli dèi sono felici.
Fernando Pessoa, 1888-1935

Vivono la vita calma delle radici.
I loro desideri non li opprime il Fato,
o, se li opprime, li redime
con la vita immortale.
Non hanno ombre o altri che li attristino.
E, inoltre, non esistono…

Pater noster
Jacques Prévert, 1946, da Parole

Padre nostro che sei cieli
Restaci pure
Quanto a noi resteremo sulla terra
Che a volte è cosi bella
Con tutti i suoi misteri di New York
Seguiti dai misteri di Parigi
Che valgon bene quello della Santa Trinità
Con il suo piccolo canale dell’Ourcq
E la sua grande muraglia Cinese
Il suo fiume di Morlaix
E le sue caramelle di Cambrai
Con il suo oceano Pacifico
E le sue vasche delle Tuileries
Con i suoi buoni bambini e i suoi cattivi soggetti
Con tutte le meravigliose meraviglie del mondo
Che se stanno sulla terra
Offerte a tutti quanti
Sparpagliate
Meravigliate anch’esse d’essere delle tali meraviglie
Tanto che non ardiscono confessarlo a se stesse
Come una bella ragazza nuda che mostrarsi non osa
E con tutte le orribili sofferenze del mondo
Che son legione
Con i loro legionari
Con i loro reziari
Con i signori e padroni del mondo
Ciascun padrone con i suoi predicatori i suoi traditori
i suoi predatori
Con le stagioni
Con gli anni
Con le belle ragazze e i poveri coglioni
Con la paglia della miseria che marcisce nell’acciaio
dei cannoni

Perché non ci dà una mano
Samuel Porter Putnam, 1890, traduzione di Oscar Cavagnini

Dici che c’è un Dio
Sopra l’immenso cielo,
Divinità saggia e mirabile
Nessuno può sfidare la sua potenza.
Dici che è seduto
Su un grandissimo trono,
Milioni di angeli ai suoi ordini -
Perché non ci dà una mano?

Vedi come la terra geme,
Quante infinite lacrime sono versate,
Vedi come la peste avanza furtiva
E i prodi e i miti morti giacciono.
Le case bruciano e i cuori sono spezzati,
l’orrenda strage macchia la terra;
Dici che è onnipotente -
Perché non ci dà una mano?

Ecco, l’ingiustizia vince;
Ogni ora maledice il dolore;
Il buono, il vero e il bello
Come il fiore sono calpestati.
Dici che è nostro padre,
che ciò che vuole è;
Se può davvero tutto
Perché non ci dà una mano?

Che cosa fa questo sovrano
Sul suo trono d’oro,
Per raddrizzare un torto enorme,
Dar gioia invece che lamenti?
Con la sua irresistibile maestà,
Ogni forza in suo dominio,
Ogni legge sua creazione -
Perché non ci d`a una mano?

Ahimé! Temo che stia dormendo,
O sia egli stesso un sogno,
Una bolla nell’oceano del pensiero,
Sogno della nostra fantasia che svanisce.
Guardiamo invano per trovarlo
Sul suo trono così grande,
Poi abbassiamo lo sguardo verso la terra -
Siamo noi che dobbiamo dare una mano.

Noi dobbiamo afferrare il fulmine,
E arare il duro suolo;
Noi dobbiamo cacciare la sofferenza,
E sventare la peste e la strage;
noi dobbiamo costruire il paradiso
e con coraggio raddrizzare il torto;
Il dio sopra di noi fallisce,
Il dio in noi è forte.

I poveri in chiesa
Arthur Rimbaud, 1871, da Poesie

Recintati tra i banchi di quercia, agli angoli della chiesa,
che il loro fetido respiro intiepidisce, tutti i loro occhi
verso lo sfarzoso coro e la cantoria
di venti bocche sbraitanti cantiche pie;

annusando come un profumo di pane l’odore di cera,
gioiosi, umiliati come cani battuti,
i poveri al buon Dio, padrone e signore,
offrono i loro oremus ridicoli e testardi.

Alle donne piace allisciare i banchi
dopo il sesto nero giorno in cui Dio le fa soffrire!
E cullano, avvolti in strane pellicce,
una specie di bimbi che piangono da morire.

I loro seni sporchi di fuori, queste mangiazuppe,
con una preghiera negli occhi, ma mai pregando,
guardano malvagiamente sfilare un gruppo
di birichine con i loro cappelli deformati.

Di fuori il freddo, la fame, l’uomo che gozzoviglia:
gli piace. Ancora un’ora; dopo, mali senza nome!
- Intanto tutt’intorno geme, grugnisce, borbotta
una collezione di vecchie pappagorge:

ci sono i rimbambiti epilettici ai
quali ieri ci si voltava lungo il cammino;
e, col famelico naso in vecchi messali,
i ciechi che un cane guida per il viale.

E tutti, sbavando sciocca e mendica fede
recitano l’infinito compianto a Gesù,
che in alto sogna, ingiallito attraverso pallidi vetri,
lontano dai magri malvagi e dai cattivi panciuti,

lontano dai sentori di carne e di stoffe ammuffite,
farsa prostrata e oscura dai gesti ripugnanti;
- e la preghiera fiorisce d’espressioni ricercate
e le misticità prendono toni pressanti,

quando, da navate dove perisce il sole, pieghe di seta
banali, verdi sorrisi, le Dame del quartiere
distinto, - o Gesù - le malate di fegato,
baciano le acquasantiere con le loro lunghe dita gialle.

La terra
Anne Sexton, 1928-74

Senza immagine Dio vaga in paradiso
ma preferirebbe fumarsi un sigaro
o mangiarsi le unghie, e così via.

Dio è il proprietario del paradiso
ma agogna la terra, le grotticelle
assonnate della terra, l’uccellino
alla finestra di cucina, perfino
gli assassini in fila come sedie scassate,
perfino gli scrittori che si scavano
l’anima col martello pneumatico,
o gli ambulanti che vendono i loro
animaletti per soldi, anche i loro
bambini che annusano la musica
e la fattoria bianca come un osso,
seduta in braccio al suo granturco e anche
la statua che ostenta la sua vedovanza,
e perfino la scolaresca in riva all’oceano.
Ma soprattutto invidia i corpi, Lui che non l’ha.

Gli occhi apri-e-chiudi come una serratura
che registrano migliaia di ricordi,
e il cranio che include l’anguilla cervello
- tavoletta cerata del mondo -
le ossa e le giunture che si giungono
e si disgiungono - e c’è il trucco -, i genitali,
zavorra dell’eterno, e il cuore, certo,
che ingoia le maree rendendole monde.

Lui non invidia più di tanto l’anima.
Lui è tutto anima, ma vorrebbe accasarla
in un corpo e scendere quaggiù per farle
fare un bagno ogni tanto.

La campana de la Chiesa
Trilussa, 1908, da Le favole

Che sòno1 a fà? - diceva una Campana -
Da un pò de tempo in quà, c’é tanta gente
che invece d’entrà drento s’allontana.
Anticamente, appena davo un tocco
la Chiesa era già piena;
ma adesso ho voja a fà la canoffiena2
pe’ chiamà li cristiani còr patocco!3
Se l’omo che me sente nun me crede
che diavolo dirà Domineddio?
Dirà ch’er sòno mio
nun é più bono a risvejà4 la fede.
- No, la raggione te la spiego io:
- je disse un Angioletto
che stava in pizzo ar5 tetto -
nun dipenne da te che nun sei bona,
ma dipenne dall’anima cristiana
che nun se fida più de la Campana
perché conosce quello che la sòna.

(1: Suono; 2: Altalena; 3: Battaglio; 4: Risvegliare; 5: Sull’orlo del)

Giordano Bruno
Trilussa, 1909, da I sonetti

Fece la fine de l’abbacchio ar forno
perchè credeva ar libbero pensiero,
perchè si un prete je diceva: - È vero -
lui rispondeva: - Nun è vero un corno! -

Co’ quel’idee, s’intenne, l’abbruciorno1,
pe’ via ch’er Papa, allora, era severo,
mannava le scommuniche davero
e er boja stava all’ordine der giorno.

Adesso so’ antri tempi! Co’ l’affare
ch’er libbero pensiero sta a cavallo
nessuno pò fa’ più quer che je pare.

In oggi co’ lo spirito moderno,
se a un Papa je criccasse2 d’abbruciallo
pijerebbe l’accordi còr Governo.

(1: Lo bruciarono; 2: Gli prendesse la voglia)

Riunione clericale
Trilussa, 1911, da Ommini e bestie

La sala indove fanno la riunione
è un sito senza lusso e senza boria:
nun c’è che un Papa in sedia gestatoria
e un Gesucristo in croce in un cantone.

Don Pietro, er presidente, fa la storia
de come vanno l’organizzazione;
dice: - Co’ li tranvieri va benone,
co’ li scopini è stata una vittoria. -

Poi parla de le cariche sociali,
de l’elettori, de l’affari sui,
e de banche e de sconti e de cambiali…

De tutto parla meno che d’Iddio,
e forse er Cristo penserà fra lui
- Se so’ scordati che ce so’ pur’io!

Er battesimo civile
Trilussa, 1912, da I sonetti

Pè nun faje er battesimo davero,
ho battezzato la pupetta mia
cór vino de Frascati all’osteria,
davanti a ’no stennardo rosso e nero.

Zi’ Pippo, l’oste, come un prete vero,
pijò la pupa, la chiamò Anarchia,
e biastimò1 la Vergine Maria
per un riguardo ar libbero pensiero;

doppo du’ o tre bevute, er comparetto,
a cavallo a ’na botte de Frascati,
ce fece un… verso, e recitò un sonetto;

mentre la pupa, ner vedé ste scene,
pareva che guardasse l’invitati
come pe dije: - Comincíamo bene!

(1: Bestemmiò)

Gli dèi
Paul Verlaine, 1861, da Primi versi

Vinti ma non domati, esiliati ma vivi,
e malgrado gli editti dell’Uomo e le sue minacce,
non hanno certo abdicato, serrate le mani tenaci
su tronconi di scettro, e corrono nei venti.

Le nuvole veloci dai mobili capricci
sono la polvere ai piedi di questi spettri rapaci
e la folgore urlante attraverso gli spazi
è solo un’eco lontana dei loro duri olifanti.

A loro volta suonano la rivolta contro l’Uomo,
il loro vincitore stupefatto e malridotto
dopo una tale lotta con simili nemici.

Dal Corano, dai Veda e dal Deuteronomio,
da ogni dogma, pieni di rabbia, tutti gli dèi
sono usciti in guerra: All’erta! e occhi aperti.

Dèi
Walt Whitman

Divino amante e perfetto Camerata,
Tu che attendi contento, ancora invisibile, ma certo,
Sii tu il mio Dio.

Tu, tu, l’Uomo Ideale,
Leale, abile, bello, soddisfatto e amoroso,
Il corpo integro, lo spirito effuso,
Sii tu il mio Dio.

Morte (poiché la Vita ha compiuto il suo turno),
Tu che apri la porta e introduci nel celeste palazzo,
Sii tu il mio Dio.

Quanto di più possente, quanto di meglio vedo, immagino o conosco,
(Per rompere il nodo stagnante, e te, te liberare, anima mia)
Sii tu il mio Dio.

Tutte le grandi idee, le aspirazioni delle razze,
Ogni eroismo, ogni azione di estatico entusiasmo,
Siate i miei Dèi.

Oppure voi, Tempo e Spazio,
Forma divina e prodigiosa della terra,
Belle forme che vedendo adoro,
Lucente orbe del sole o di notturna stella,
Siate voi i miei Dèi.

Ultimo aggiornamento: 2 gennaio 2006