La struttura della teoria dell’evoluzione

Stephen Jay Gould
Codice
2003
ISBN: 
9788875780005

Parlare di questa grande e ultima opera di Steven Jay Gould non è impresa facile, tanti e tali sono i temi e i riferimenti storici che vi campeggiano. Importa soprattutto in questa sede far capire al lettore di che genere di opera si tratta. Non è una mera ricerca storico-erudita su Darwin o sull’evoluzionismo, poiché ha ambizioni teoriche esplicite; non è però nemmeno una sistematizzazione teorica che pretende all’esaustività e alla concatenazione rigorosa di tutti i concetti pertinenti. Non lo è perché spesso l’esposizione teorica è inscindibile dalla ricostruzione degli argomenti dei teorici del passato (Darwin in primis; e poi Weismann, De Vries, Goldschmidt, tra gli altri). E per un altro motivo che Gould ha teorizzato: la teoria dell’evoluzione non può chiudersi in un sistema compiuto, quasi assiomatico, non può diventare “scienza normale”, passibile solo di ripetizione e insegnamento (tantomeno può ridursi a misure e statistiche), poiché la sua razionalità non è scindibile dal ritmo delle argomentazioni di Darwin e dei suoi successori, dalla plausibilità congetturale di “lunghi ragionamenti” costruiti a forza di metafore, analogie suggestive, esempi pregnanti, e corroborati da tracce, frammenti, prove indiziarie. Nella teoria dell’evoluzione c’è un’eccedenza della costruzione del ragionamento sull’oggettività del sapere acquisito, nel senso che la poetica e la retorica della prima condizionano l’amministrazione delle prove alla base del secondo. Il sapere prodotto da Darwin fatica a divenire un corpus indipendente dal gesto fondatore darwiniano. Ciò non significa che esso sia incomunicabile o impossibile da sviluppare e arricchire - al contrario: significa che, per continuare o trasformare la teoria dell’evoluzione occorre in qualche modo ripetere la sua fondazione, riaprire daccapo il “lungo ragionamento” e riorganizzare tutto l’apparato dell’argomentazione e della prova. Fin dalle prime pagine, appare con chiarezza che tale è lo scopo di Gould, in questo libro come in tutta la sua opera: ricostruire la razionalità evoluzionistica come unica possibile fedeltà al suo scopritore.

Gould intende emendare Darwin su tre punti essenziali: 1) l’esclusività della selezione naturale come forza creatrice delle forme viventi; 2) l’omogeneità della selezione a livello di organismi rispetto a quelle a livello di specie, phyla, ecc., ritenute ricavabili per estrapolazione dalla prima; 3) il gradualismo nella formazione delle specie, ritenute prodursi per accumulo di variazioni infime via via selezionate a livello degli organismi. A questi tre punti Gould oppone le sue tesi centrali.

  1. La selezione naturale ha un potere prevalentemente negativo, nel senso che può solo eliminare le forme inadatte - in sé, però, la variazione è già “canalizzata” da leggi interne alle forme viventi: leggi necessarie di composizione dei piani strutturali dei corpi1 e loro accumulo contingente nelle sequenze storiche su cui agiscono variazione e selezione. Queste leggi danno una direzione alla variazione, le concedono un numero finito di alternative, su cui poi si eserciterà il lavoro eliminativo della selezione2.
  2. La selezione è gerarchica, obbedisce a leggi e a ritmi temporali diversi secondo che si considerino gli organismi, le specie, o altre entità, superiori o inferiori all’organismo (tesi già accennata da Darwin nel considerare una selezione collettiva della specie umana la cui logica non coincide con quella della selezione individuale, e anzi talvolta entra in conflitto con essa).
  3. Le specie si formano per “salti” bruschi intervallati da lunghe fasi statiche: dunque, la speciazione non è il risultato di un accumulo graduale, ma di un’“esplosione” di nuove forme che interrompe lunghi periodi “improduttivi”, e una specie non è il frutto di una modificazione graduale dei propri antenati, ma sorge già completa (tesi degli equilibri punteggiati, evidentemente legata alla tesi strutturalista: se gli organismi non sono mere somme di caratteri ma strutture organizzate, allora una specie, in quanto rappresenta una nuova organizzazione, non può sorgere per modificazioni delle singole parti, ma come discontinuità rispetto alle strutture esistenti).

Lo sviluppo e l’argomentazione di queste tre tesi costituisce il nucleo della proposta di Gould e della sua lotta incessante contro l’adattazionismo, cioè contro la tesi per cui tutte le forme viventi e le loro imprevedibili storie evolutive dipendono, via selezione naturale, dall’adattamento all’ambiente, e dalla competizione degli organismi (o dei geni concepiti come individui dotati di scopi e desideri) per adattarsi nel modo migliore. Gould si è opposto a questo finalismo ipocrita degli ultradarwiniani (tra cui Richard Dawkins) ponendo a fondamento dell’evoluzione un pluralismo di fattori e di processi, da ultimo riconducibili a interazioni imprevedibili tra la necessità delle strutture e la contingenza delle storie (rigorosamente al plurale). In tal modo, egli ha ripreso la mossa (materialistica) di Darwin: sostituire a un discorso sull’Evoluzione in quanto logica onnicomprensiva e “cosa in sé” soggiacente ai fenomeni, uno studio di questi ultimi, cioé di singole linee evolutive da ricostruire nella loro contingenza.

Andrea Cavazzini
febbraio 2006

Note

  1. Lo studio di queste leggi di correlazione risale a Goethe e a Geoffroy Saint Hilaire, sebbene presupponga la dimostrazione da parte di Cuvier dell’esistenza di una pluralità discontinua di piani anatomici reciprocamente irriducibili, e la concezione, sempre cuivieriana, dell’organismo come un tutto integrato.
  2. L’esistenza di tali leggi non era sconosciuta a Darwin, il quale sapeva bene che la modificazione di un carattere comporta spesso il cambiamento di tutta la struttura dell’organismo, ma egli riteneva queste “correlazioni della crescita” secondarie rispetto al potere della selezione - Gould attribuisce loro maggior peso, insistendo sul fatto che ogni elemento di un organismo subisce i vincoli della struttura complessiva, e elaborando una prospettiva “olistica” o strutturalista condivisa da genetisti (Richard Lewontin), psicologi (Leon Kamin) e biochimici (Steven Rose).