Il racconto dell’ancella

Margaret Atwood
Ponte Alle Grazie
2017
ISBN: 
9788868337421

Complice una serie televisiva ispirata al libro, trasmessa dall’americano Hulu, questo romanzo della scrittrice canadese Margaret Atwood è tornato come meritava all’attenzione del pubblico. In questi anni diverse opere letterarie degne di nota hanno avuto un rilancio — e nuovi affamati lettori — grazie ai riflettori garantiti dalle trasposizioni sul piccolo e sul grande schermo. In particolare le serie tv, grazie alla capacità di dilatazione narrativa, l’immediatezza del linguaggio e la varietà immaginifica tali da consentire l’elaborazione di vere e proprie epopee postmoderne, sono diventate a loro modo un riferimento culturale per adolescenti e “giovani adulti”. L’editore Ponte Alle Grazie, che aveva pubblicato il libro una decina d’anni fa in Italia, non ha perso l’occasione di sfornare una nuova edizione sulla scia del successo dello show The Handmaid’s Tale.

Margaret Atwood, scrittrice nota nel mondo anglosassone per la poliedricità e le numerose opere, ha utilizzato la narrativa distopica per esplorare in maniera originale temi quali il femminismo e l’ambientalismo. Questo angoscioso quanto illuminante romanzo, pubblicato nel 1985 e insignito due anni dopo del premio Arthur C. Clarke (riconoscimento importante nel mondo letterario della fantascienza e affini), sorprende perché ancora straordinariamente attuale: non può non suscitare inquietudine per le derive che possono colpire proprio le nostre società, ritenute al sicuro da sconvolgimenti e involuzioni.

La storia è ambientata negli odierni Stati Uniti, in cui un movimento fondamentalista cristiano prende il potere con un golpe e in poco tempo toglie ogni diritto e capacità di autonomia alle donne. Viene attuata una sanguinosa repressione contro i dissidenti — colpendo in particolare confessioni di minoranza, omosessuali, categorie come i medici abortisti — e instaurato un regime religioso totalitario fortemente gerarchizzato, che prende il nome di Repubblica di Galaad. In un contesto di generale oppressione, sono particolarmente vessate le donne, suddivise in caste. Tra cui quella delle “ancelle” che, ispirandosi ad alcuni episodi biblici, devono essere ingravidate dai “comandanti” (i gerarchi) cui sono state assegnate, per dare figli sani che saranno poi allevati dalle mogli sterili di questi ultimi. Le ancelle non hanno più neanche un nome: assumono quello del loro padrone, con il prefisso “di”. Come la protagonista del racconto, che viene chiamata Difred (Offred nella versione originale), cioè (proprietà) “di Fred”. Il regime ha l’ossessione del calo della natalità, acuito dall’autodeterminazione femminile, sconvolgimenti bellici con annesse radiazioni e dalla diffusione della sterilità. Coloro che non sono in grado di fare figli vengono etichettate come “Nondonne” ed esiliate nelle colonie per svolgere lavori forzati.

La trentenne Difred, eroina suo malgrado, viene rappresentata nelle sue speranze di emancipazione, nelle contraddizioni e fragilità di donna bisognosa di amore, nel suo rapporto ambiguo con la religione, che legittima la sua condizione di minorità ma cui ha talvolta la tentazione di appigliarsi in assenza di speranze terrene. Una donna in bilico tra la nostalgia di un passato che è stato sconvolto e necessità di adattamento a una realtà senza scampo, ormai radicalmente cambiata. La narrazione tratteggia con estrema sensibilità il punto di vista dell’ancella e alterna in maniera straniante flashback dai quali emerge il passato fatto anche di episodi spensierati, in particolare quelli con la scanzonata amica Moira, l’amore per il compagno Luke e per sua piccola figlia, e la cruda e alienante realtà che Difred vive nel presente, in cui cerca di ritagliarsi uno spazio. Nel mezzo, i piccoli segnali allarmanti che fanno da preludio al crollo di una società in decadenza: il rapporto problematico con la madre femminista, il maschilismo strisciante che cerca rivalsa e cova sotto la cenere, l’affermarsi dei fondamentalisti religiosi che prendono sempre più piede con l’intento di “purificare” una società ormai giudicata corrotta.

Oltre la denuncia per la condizione di oppressione in questo regime da incubo, si percepisce anche la problematicità con cui l’autrice affronta i temi della modernità e dell’emancipazione femminile. Il quadro pre-rivoluzionario è caratterizzato da un diffuso quanto superficiale edonismo e dall’incapacità delle componenti progressiste di fare da argine alla deriva settaria. Inquietante inoltre il consenso che le stesse donne, inquadrate in specifici ruoli, forniscono al regime permettendogli di reiterarsi. Perché non ci sono solo le ancelle: nelle case dei comandanti ci sono anche le “zie”, rigide guardiane della morale pronte a punire ogni minima infrazione come facevano le kapò, e le “Marte”, che nella loro posizione di domestiche non rinunciano a prevaricazioni e meschinità, oltre alle mogli dei comandanti. Un florilegio di donne popola il sottobosco del regime: ci sono quelle infervorate che partecipano attivamente alla propaganda, quelle che relativizzano il concetto di libertà fino a fargli perdere consistenza, quelle docili che si arrendono, quelle più scaltre che non sono fedeli alla linea ma cercano di galleggiare, quelle che ritengono la transizione violenta un male necessario cui le generazioni successive si abitueranno ad maiorem Dei gloriam. Il tutto in un clima di costante sospetto e delazione, sotto la sorveglianza degli “Occhi” (le onnipresenti spie dei servizi segreti), in cui si rischia di essere denunciati per venire giustiziati o deportati nelle colonie. Quello di zie, Marte e ancelle è un piccolo mondo fatto anche di piccole rivalse verso le altre donne, le uniche forme di potere messe a disposizione dal potere.

Il racconto dell’ancella è stato scritto più di 30 anni fa, ha il respiro della critica femminista al puritanesimo e al patriarcato, incarnati dalla componente wasp americana. Riecheggia il clima di un romanzo cardine della letteratura statunitense ottocentesca, La lettera scarlatta, ma proiettato nei secoli successivi: come se Difred fosse una novella Hester Prynne, l’adultera protagonista dell’opera di Nathaniel Hawthorne sottoposta al tribunale della morale nella Boston del Seicento. Dopo la vittoria di Donald Trump alle presidenziali statunitensi e la ribalta di umori anti-establishment, alt-right e fondamentalisti, il libro di Atwood ha attirato un rinnovato interesse, per la capacità di esorcizzare i timori liberal di fronte al revival dell’integralismo, le limitazioni sempre in agguato contro i diritti delle donne specie in materia di riproduzione, aborto e contraccezione, la persistenza di atteggiamenti maschilisti e violenti. Perché il suo monito contro l’oppressione religiosa e di come in particolare si accanisca verso le donne rimane attuale.

Ma sarebbe limitante focalizzare l’attenzione sugli Stati Uniti. Bisogna riconoscere che in diverse aree del mondo le donne vivono tuttora situazioni che si avvicinano in maniera preoccupante all’incubo totalitario di Galaad, nelle quali sono tanto vittime quanto collaborazioniste, in particolare nel mondo islamico. Quando si legge del periodo caotico e del crollo delle certezze di cui Difred è testimone mentre si impone il regime, è difficile non pensare ad episodi storici come la rivoluzione di Khomeini in Iran, che in poco tempo ha fatto regredire lo status femminile e ha visto una schiera di servizievoli “zie” con il compito di rieducare la società e traghettarla verso l’utopia islamista. Quando l’ancella si reca al mercato, in abiti rigorosamente castigati e velata, con gli “Angeli” (i soldati) che pattugliano le strade e trova i cadaveri dei dissidenti appesi come monito, si immagina la banale quotidianità che devono vivere le donne in regimi teocratici come quello saudita o, peggio ancora, dell’autoproclamato “califfato” dell’Isis.

Vivida e disturbante rappresentazione di un ipotetico futuro in cui lo stato di diritto collassa e in cui la piramide di oppressione rovescia il suo peso in particolare sulle donne, l’opera di Margaret Atwood ci obbliga quindi a riflettere in maniera critica (e autocritica) sulla fragilissima condizione femminile, sull’urgenza di affermare diritti che crediamo ormai consolidati senza abbassare la guardia, nonché sui meccanismi di sottomissione religiosa che le stesse donne possono contribuire ad alimentare.

Valentino Salvatore
giugno 2017