Nel nome della croce

La distruzione cristiana del mondo classico
Catherine Nixey
Bollati Boringhieri
2018
ISBN: 
9788833929699

Si tratta di un libro coraggioso e, per molti aspetti, provocatorio nella misura in cui critica e rovescia l’idea, largamente diffusa, secondo cui la Chiesa ha illuminato l’Europa nei secoli bui, mantenendo in vita il greco e il latino, conservando i testi antichi grazie al lavoro dei monaci copisti, scavalcando in tal modo l’ignoranza del Medioevo fino a quando il Rinascimento riscoprì quella cultura. Senz’altro vero, dice l’autrice, «tuttavia si tratta di una verità parziale. In realtà, questo racconto accattivante ha oscurato quasi interamente una storia precedente e assai meno gloriosa. Prima di preservare, la Chiesa aveva distrutto».

A raccontare e documentare tale distruzione è appunto dedicato il libro. Opere d’arte date alle fiamme, sculture profanate e sfigurate, templi rasi al suolo; e i libri non ebbero una sorte migliore. La biblioteca di Alessandria, che custodiva forse settecentomila volumi, fu distrutta dai cristiani. I lavori dei filosofi furono censurati, i libri considerati fuori legge divennero materiale da ardere. I monaci riuscirono silenziosamente a copiare molto, ma ancora di più fu quello che persero: «in un tempo in cui la pergamena era scarsa, i lavori di molti autori antichi venivano raschiati via, cancellati dalle pagine per fare spazio a temi maggiormente elevati». Lo studio dei “palinsesti”, (dal greco palin psaomai, “raschiato di nuovo”), lo testimonia. «Un’ultima copia del De re publica di Cicerone dovette far posto […] a una trascrizione medievale dei Salmi commentati da Agostino. Un lavoro biografico di Seneca scomparve dietro l’ennesimo Antico Testamento. Un codice delle Storie di Sallustio fu raschiato per far spazio a san Girolamo. Altri testi furono persi a causa dell’ignoranza […], finirono semplicemente nel dimenticatoio, disfacendosi fino alla polvere, diventando cibo per vermi e negandosi per sempre allo sviluppo del pensiero umano […]. Solo l’uno per cento della letteratura latina è riuscita a varcare indenne i secoli».

Catherine Nixey ricostruisce molte delle terribili devastazioni avvenute nei secoli cruciali della tarda antichità ad opera di fanatici incitati da personaggi che non di rado in seguito saranno chiamati santi: la distruzione del tempio di Palmira, della biblioteca di Alessandria e del Serapeo, «il più bell’edificio del mondo antico»; il linciaggio della filosofa neoplatonica Ipazia; la chiusura definitiva della millenaria Accademia ateniese.

Se questo trionfo di crudeltà, violenze e fanatismo, narrate in modo serrato e incalzante, rappresenta il cuore e l’indicazione più provocatoria e spiazzante del libro, anche altri aspetti risultano stimolanti e apprezzabili. Personalmente ho trovato particolarmente interessante la ricostruzione della cultura latina ed ellenistica che fronteggia l’impatto del primo cristianesimo. Anche in questo caso l’autrice rovescia la narrazione tradizionale veicolata dalla Chiesa, l’idea di un impero decadente e dedito al vizio. Nel libro della Nixey incontriamo invece un mondo permeato di spirito scientifico, di raffinata cultura, certamente anche di edonismo e di scetticismo nei confronti del soprannaturale, ma sulla scia di una tradizione di tolleranza. Se questa era la cultura dei privilegiati, certamente anche il popolo ancora religioso (o superstizioso) manteneva tale tradizione tollerante e pluralista: «nel pantheon c’era posto per tutti gli dei». La reazione a una nuova religione che si palesa invece dogmatica e intollerante è per questo improntata, da un lato, a uno snobismo intellettuale che arriva spesso all’aperto disprezzo per i cristiani; dall’altro a un forte senso di allarme.

L’autrice ci fa conoscere queste posizioni attraverso gli autori più ferocemente critici nei confronti del cristianesimo: Galeno, medico empirista e sperimentatore che non sopporta le affermazioni dei cristiani sostenute «senza prova alcuna», a botte di «dio ha comandato, dio ha parlato»; Celso, filosofo di cui abbiamo una rappresentazione mutila perché lo conosciamo solo attraverso il contrattacco che gli riservò Origene, scandalizzato da un proselitismo affidato al saccheggio di templi e che mira a premiare la stupidità e l’ignoranza; il retore Luciano di Samostata, autore di un’opera satirica su un predicatore cristiano; il filosofo Porfirio secondo cui il cristianesimo «incita all’illegalità e toglie efficacia alla legge e alla giustizia stessa». E infine Damascio, personaggio con cui si apre e si chiude il libro, filosofo perseguitato in fuga da Alessandria e da Palmira, approdato all’accademia di Atene, strabiliato perché non si era «mai sentito che la filosofia potesse essere tanto disprezzata ad Atene», città ormai inospitale — come il resto dell’impero — nei confronti dei non cristiani, poi nuovamente esiliato.

Catherine Nixey elegge Damascio a sua guida nel percorso attraverso le distruzioni cristiane. Nell’introduzione, scrive: «avevo originariamente immaginato questo libro come un diario di viaggio. Pensavo che sarebbe stato interessante seguire Damascio nel suo girovagare per il Mediterraneo […]. Purtroppo, nel tempo trascorso dall’abbozzo dell’idea di partenza alla realizzazione del progetto, questo viaggio è diventato del tutto impossibile. Dalla progettazione iniziale al momento in cui sto scrivendo queste righe, la guerra civile in Siria ha lasciato parti intere del paese sotto il controllo del nuovo califfato […]. Nel 2015 i militanti dello Stato Islamico hanno iniziato a radere al suolo l’antica città assira di Mosul, in Iraq, perché considerata “idolatra”. Le immagini dei fondamentalisti islamici che abbattevano dai loro piedistalli le statue vecchie di millenni hanno fatto il giro del mondo […]. A Palmira, i resti della grande statua di Atena riparata con cura dagli archeologi, sono stati nuovamente attaccati. Ancora una volta, Atena è stata decapitata».

Maria Turchetto
da L’Ateo n. 122