Lettura laica della Bibbia

Mario Alighiero Manacorda
Editori Riuniti
1989
ISBN: 
9788864731100

Già docente di Storia della pedagogia nelle Università di Firenze e di Roma, l’Autore - di estrazione ideologica marxista - affronta le scritture testamentarie in modo originale: egli vuole anzitutto liberarsi dei sedimenti culturali occidentali e quindi prova a rispondere ai quesiti posti da una intellettuale giapponese all’amico italiano. Le variabili di un simile approccio sono così fotografate dalla presentazione editoriale: «Quasi impossibile, certamente difficile, per un occidentale moderno, leggere la Bibbia con occhio sgombro da suggestioni e richiami culturali, laici o religiosi: il libro, i “libri per eccellenza” - pur spogliati dal mito della rivelazione - continuano a grondare di significati, stratificatisi al punto da diventare illeggibili. Ma proprio il confronto con una persona estranea alle nostre mentalità permette il dissacrante miracolo di una lettura in chiave davvero moderna e laica della Bibbia». Mimmo Franzinelli, Ateismo laicismo anticlericalismo.

  • Il mistero dell’anima occidentale. Caro Mario, […] voi europei mi sembrate insieme scientifici, logici e mistici, scettici e superstiziosi. Come si può essere le due cose insieme? Avete elaborato tutte le scienze moderne, ma avete in testa anche strani miti antichi. Come si possono pensare le due cose insieme? È questo che io non riesco a capire della vostra anima (13).
  • Come vedi, cara Yùkiko, ci sono tutte le premesse per lo scontro non dirò tra i due popoli, ma tra le due concezioni della vita: i magici e mistici giudei da una parte, i laici e terreni romani dall’altra (25).
  • Peccato vero. E del resto, ogni persona religiosa, quand’anche non ti mandi di fatto all’inferno, non può non parlarti se non pensando di parlarti in nome di dio. E questo è il segno del più profondo disprezzo che l’uomo possa nutrire verso l’altro uomo: è il vero peccato contro lo spirito: dell’uomo - intendo - ché altro spirito proprio non conosco (46).
  • Basta che ciascuno le interpreti a suo modo - talmudico o ellenistico-cristiano - e faccia loro dire quello che proprio non dicono: naturalmente, purché sia convinto a priori che quelle sono parole di dio. Questo impegna ancor più nell’intepretazione, e questo impegno è un magnifico esercizio intellettuale, anche se fatto con un attrezzo, per così dire, artificiale, com’è l’ipotesi Bibbia = parola di dio (67).
  • Nel pessimismo ebraico-cristiano il diritto alla conoscenza si paga con la morte e la dannazione: ma è un diritto che l’uomo si è storicamente acquisito, e che nessuno può togliergli: parola di dio (86).
  • Nemesi di colpe. Per educare a poco a poco gli uomini, come direbbero i pii esegeti, dio instilla intanto in loro l’idea della vendetta che ricade sulle generazioni. I figli pagheranno le colpe dei padri. […] Come questo si concilii con la tanto conclamata idea neocristiana della cosiddetta «persona umana», lo lascio spiegare ai pii esegeti (105).
  • Trinità. Da questo i pii esegeti hanno poi letto, ancora una volta, un preannuncio nientemeno che della trinità divina dei cristiani. Vedi su quali certezze si fondano le certezze della teologia! (127)
  • Sottosensi. Non hai pezze d’appoggio sufficienti per aiutarmi in questa lettura? Invece dei sovrasensi teologici, non sarebbe ora di cercare meglio i «sottosensi» terreni? (132).
  • Non sto scrivendo un serio trattato sul Male del mondo, ma, su tua richiesta, sto leggendo la Bibbia per arrivare a chiarirti come è diventata il libro per eccellenza della nostra dubbia religiosità e moralità. Vedendo da quali comportamenti parte, e a quali comportamenti arriva, mi viene insieme da piangere e da ridere (174).
  • Tavole. Ma perché le tavole della legge di dio? Non è forse questo un sacrilegio, nel senso etimologico del termine? […] Misteri dell’anima di Mosè, misteri della Bibbia o, diciamo, dell’anima dei suoi distratti redattori (200).
  • E ne nasce il sacerdozio! […] Si può pensare cosa più infame? Un concentrato più rozzo di presunzione («dio è con me») e di ferocia? Una dimostrazione più lampante di come la religione possa davvero porsi come il male del mondo? (214)
  • […] Ai sacerdoti toccherà poi anche il privilegio di condannare a morte nel nome di dio, anche se poi ne lasceranno ad altri l’esecuzione materiale (215).
  • Storia sacra e profana. Mi hai fatto venire in mente la favola del re nudo […] Così è con questa Bibbia e le sue storie sacre: tutti la prendono o fingono di prenderla per sacra, finché arriva una ingenua e laica giapponese e dice: ma è storia profana! (219)
  • Popolo eletto. Ecco che il popolo eletto ha in realtà eletto il suo dio: la vera storia del «popolo eletto da dio» ci si è rivelata come la storia del dio eletto da un popolo. […] Lasciamo discutere storici e antropologi culturali per decidere se l’iniziativa reale tocca all’uno dall’alto dei cieli, o agli altri coi piedi per terra (233).
  • Esdra e nascita del giudaismo. Solo questa ripudio delle mogli e dei figli considerati stranieri è ferocia nuova ed esclusiva: assurda, disumana […] per questa sua pia violenza, esercitata sui propri affetti in nome di dio. Tale è la religione, male del mondo (253).
  • Gli editti …ecco l’editto che farà del culto cristiano il culto esclusivo e obbligatorio per tutti. Costantino come Ciro, e Teodosio come Artaserse. La storia si ripete (con molte differenze, certo) e ci ripropone l’eterno problema: si deve o no tollerare l’intolleranza? (254)
  • Incubi. Se a molti la religione parrà il bene del mondo, a me pare davvero il male. Sì, il male del mondo è quando gli uomini presentano i propri sogni come idee di dio, e così negano i sogni e le idee degli altri uomini: e con le idee, la vita stessa degli altri uomini. Quando ce ne libereremo? (255)
  • Morale presunta. La religione non ha mutato in niente i costumi dell’uomo: li ha resi, semmai, più contraddittori con le idealità proclamate, aggiungendovi così la sua ipocrisia. […] È il male del mondo, soprattutto quando, propagandosi nel mondo non in forza propria, ma in forza della civiltà evoluta di cui è parte, induce i «meno evoluti» a credere che in essa e solo in essa risieda una più alta morale […]; è questo il caso delle odierne «evangelizzazioni» (273).
  • La forza di Roma come strumento storico per il trionfo dell’ideologia di Jahvé: quale paradosso! O, se vuoi, quale mistero della nostra anima occidentale! (282)
  • Ogni dio, per quanto amorevole e universale, è stato finora l’emblema di questa divisione fra gli uomini. Anche quando l’umanissimo Gandhi tenta di placare indù e musulmani ferocemente in lotta gridando loro «Siete tutti figli dello stesso dio!» […] Avrebbe detto meglio: «Siete figli della stessa terra!». Il rimandare a dio impoverisce l’uomo, è il peccato contro lo spirito dell’uomo (283).
  • Valgono infine le parole di Plinio: dio è che l’uomo aiuti l’uomo.

L’Autore

Mario Alighiero Manacorda, scrittore toscano, già professore di Storia della pedagogia nelle università di Firenze e di Roma, è studioso del marxismo e di scienze dell’educazione. Tra le sue opere ricordiamo ancora La Paideia di Achille, Marx e la pedagogia moderna, Storia dell’educazione dall’antichità ad oggi.

Luciano Franceschetti
Giugno 2000