La legislazione sulla base di intese

I test delle religioni "altre" e degli ateismi
Alicino Francesco
Cacucci Editore S.a.s.
2013
ISBN: 
9788866113270

Uno studio dettagliato e quantomai attuale quello condensato in questo interessante volume da Francesco Alicino alla luce della recente sentenza del 3 luglio 2014 con la quale il Tar del Lazio ha respinto il ricorso dell’UAAR contro la delibera del Consiglio dei Ministri e la nota della Presidenza del Consiglio con le quali si negava all’unica associazione rappresentante gli ateo-agnostici in Italia, la possibilità un’Intesa con lo Stato similmente con quanto avviene con i rappresentanti delle religioni, in nome della libertà di religione e di coscienza prevista dalla Costituzione. Il contributo di Alicino in effetti si ferma sulla soglia della decisione del Tar (peraltro impugnata dall’UAAR al Consiglio di Stato) ma chiarisce in modo esauriente i prodromi e l’humus entro cui si snoda tutta la legislazione riguardante il regime pattizio, il concordato (che privilegia come noto una sola confessione), i rapporti tra Stato e religione(i) e, quanto all’UAAR, coglie perfettamente il senso puramente strumentale e rivendicativo di una simile richiesta affinché si colga il carattere ambiguo del sistema delle Intese che rappresentano comunque un restringimento del “supremo principio di laicità” sancito con la sentenza n. 203 del 12 aprile 1989 dalla Corte Costituzionale. Sarà anche opportuno aggiungere che la scelta dell’UAAR non appare neanche troppo temeraria se si considera che la Costituzione Europea mette sullo stesso piano le confessioni religiose con le associazioni filosofiche non confessionali.

Alicino chiarisce fin dalle prime battute che il vulnus è rappresentato dal dilemma della coesistenza fra l’universalità dei diritti umani e il diritti relativi alla differenza. Nel primo ambito ci stanno estensivamente credenti, diversamente credenti e non credenti mentre nel secondo si riconosce una specificità cultural-religiosa ad una data comunità. Non v’è dubbio che uno Stato autenticamente laico (anche se ci sono tanti modelli di laicità non sempre compatibili tra loro) debba sacrificare i secondi in ragione dei primi ancorché, come ricorda l’autore, “i diritti fondamentali non fanno parte della democrazia ma servono alla democrazia” e ne sono preambolo. Il comunitarismo di stampo religioso la cui esperienza si è rivelata deleteria, per esempio, in Gran Bretagna (con l’avvento di veri e propri sharia’s Council, veri e proprie macchine processuali, che nei limiti dell’arbitrato producono comunque effetti sulle persone di un dato gruppo), sostanzialmente fa prevalere la dimensione collettiva e nega i diritti del singolo. In ambito islamico, una vera costellazione di sigle almeno in Italia che ha reso difficile trovare un interlocutore valido al fine di arrivare ad una Intesa, la questione del rispetto dei diritti umani (e delle donne in special modo) è dirimente. La cd Carta araba dei diritti dell’uomo (dove la specificazione di genere appare un clamoroso lapsus) del 2004 apre delle brecce interessanti nel riconoscimento del singolo quale soggetto destinatario di salvaguardia. Addirittura la Carta dei Musulmani d’Europa del 2008 si spinge a raccomandare la obbligatoria laicità delle istituzioni pubbliche! Aldilà dei buoni propositi, Alicino con esempi lampanti in ordine, per esempio, a matrimonio islamico e ricezione nell’ordinamento pubblico italiano evidenzia la difficile convivenza tra i due sistemi oggi affidata al singolo operatore giuridico (giudice o poteri pubblici locali) dando vita ad una giurisprudenza discontinua, pur sempre preferibile ai tribunali islamici, va detto senza remore.

Test senz’altro positivi sono invece le Intese con la Tavola Valdese ed altre sigle del protestantesimo italiano o con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI) o con l’Unione Buddhista Italiana (UBI), che se non altro rappresentano un superamento del regime (di stampo fascista) dei culti ammessi ma che non scalfiscono minimamente i privilegi (anch’essi figli del fascismo) in capo alla Chiesa Cattolica che la disciplina concordataria siglata a Villa Madama nel 1984 ha rilanciato.

Il tradizionale favor principis riguardo alla confessione cattolica è stato determinante nel ritardo con cui si è arrivati alla discussione con i culti altri ma soprattutto con al riconoscimento del peso giuridico degli atei entro i confini dell’ordinamento alla luce della nascita in Italia (grazie all’UAAR continuamente citata da Alicino) dell’ateismo militante. L’ultimo capitolo del volume è interamente dedicato a questa problematica. Il diritto comunitario, come già ricordato, si mostra ben più avanti rispetto a quello italiano (che pure riconosce lo status di rifugiato politico a quanti sono perseguitati a causa delle proprie convinzioni teistiche, non teistiche e ateistiche, come sancito dal D.lgs. 19 novembre 2007, n. 251) laddove nella Direttiva CE/83 del Consiglio del 29 aprile 2004 nella quale si afferma che oltre alle credenza “teistiche e non teistiche, il termine religione include le convinzioni ateistiche”. Un passo epocale a fronte di una connotazione tradizionalmente peggiorativa del termine ateismo bel illustrata da Alicino nella nota sentenza del Tribunale di Ferrara che decideva di affidare la prole alla madre anziché al padre in ragione della “professione di ateismo” di questi che non dava adeguate “garanzia di essere un perfetto educatore” (la sentenza fu poi ribaltata dalla Corte di Appello di Bologna il 13 aprile 1950 che affermava l’assoluta irrilevanza delle credenze religiose dei genitori ai fini dell’educazione data ai figli). Ulteriore equivoco è stato da parte di dottrina e giurisprudenza quello di equiparare l’ateismo militante ad irreligiosità se non a proselitismo blasfemo che minerebbe la tutela costituzionale alla credenza religiosa; e francamente non si capisce come si possa bypassare un principio ben più pregnante come quello della libertà di pensiero (e sicuramente la libertà religiosa non esaurisce tutte le manifestazioni della libertà di pensiero).

La nascita e l’impegno dell’UAAR, sotto questo profilo, rappresentano uno sdoganamento della figura pubblica del cittadino ateo e l’ingresso nel dibattito giuridico di nuovi soggetti meritevoli di tutela. In tale direzione il riconoscimento dell’UAAR come associazione di promozione sociale e il coronamento di battaglie epocali come il diritto all’Ora Alternativa o lo sbattezzo.

Il pronunciamento del Consiglio di Stato potrebbe spianare la strada ad ulteriori aperture.

Stefano Marullo
novembre 2014