Laici in ginocchio

Carlo Augusto Viano
Laterza
2006
ISBN: 
9788842078524

Argomento del libro di Carlo Augusto Viano, storico della filosofia, è la preoccupante «accettazione dei modi di pensare tributari delle credenze religiose, la mancanza di attrezzature mentali adatte a resistere alle pretese delle Chiese; la cagionevolezza di quella che pretende di presentarsi come “cultura laica”». La sua tesi è che «alle fedi religiose si deve garantire la libertà, ma non si deve tributare un rispetto che impedisca la critica e il rifiuto delle imposture».

Un esempio di tale condizione di minorità delle istituzioni italiane è dato dagli incontri tra Benedetto XVI e l’ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi: se in Vaticano il papa fece fare anticamera Ciampi, nella visita che il pontefice fece in Quirinale egli si mostrò «altezzoso, un papa che veniva a fare l’inventario dei beni sottratti ai pontefici romani e che, forte del bene che i cattolici avevano fatto all’Italia, presentava il conto». Non vi è stato alcun equilibrio in questo rapporto, nonostante l’orgogliosa rivendicazione del valore della laicità da parte del Presidente: «Benedetto XVI è arrivato con la calma del generale vincitore, che visita il campo di battaglia il giorno dopo, mentre Ciampi aveva l’orgoglio misurato dei vinti». Come siamo potuti arrivare a questo?

Per ballare il tango bisogna essere due, ed è quindi evidente che la strategia neo-confessionalista portata avanti dalle gerarchie ecclesiastiche negli ultimi anni non ha trovato resistenza da parte del ceto politico. Anzi. La riflessione più interessante del libro si svolge proprio intorno alla pretesa d’Oltretevere di essere i depositarî di un codice morale unico, da imporre a tutti i cittadini, credenti e non, «presentando come certezze oggettive ciò che invece è sostenuto soltanto da credenze arbitrarie». Ovviamente, una simile pretesa costituisce una ferita insanabile al concetto di laicità dello Stato, nonostante i tentativi di cosmesi semantica operati in ambito clericale sui concetti di “laicità” e “laicismo”. Atteggiamento ancora meno tollerabile, a detta dell’autore, se si pensa all’ostinato rifiuto cattolico della modernità, che si traduce in avversione verso la scienza, in una scarsa qualità della scuola privata confessionale, in un pericoloso atteggiamento di superiorità nei confronti delle altre comunità presenti sul territorio, in un’esaltazione fuori luogo del volontariato, spesso usato «per catturare adepti», pretendere finanziamenti e occupare spazî pubblici. La storia, anche recente, della Chiesa non dovrebbe peraltro autorizzare a crearsi troppe illusioni. Come ricorda Viano, giudicando l’opera di Giovanni Paolo II: «richieste di perdono tante, senza nessun impegno a non commettere di nuovo gli stessi errori». E silenzio, ad esempio, e a ogni livello, sul coinvolgimento in Tangentopoli del partito cattolico.

Dall’altra parte, però, cosa troviamo? Che il potere politico abbia spesso avuto la tendenza a utilizzare la religione come instrumentum regni è un dato storico. Lo è anche il fatto che spesso, anziché usarla, ne è rimasto usato. Il ceto politico attuale ne è un ottimo esempio. Anche Viano prende di mira il trasformismo di Pera e certe avventate uscite di Fassino e Bertinotti, aggiungendo di suo una reiterata critica alla teoria e alla prassi di Giuliano Amato. Il quadro dipinto è desolante: «dopo la fine del regime democristiano i preti sono intervenuti direttamente, senza poter o dover nascondersi dietro un partito: anzi, i partiti hanno dovuto andare in cerca dell’appoggio dei preti […] Tutti si sono sentiti obbligati a prendere posizione e hanno dovuto rendersi conto che l’appoggio della Chiesa va pagato. Si è subito capito» – commenta sarcasticamente l’autore – «che c’erano personaggi pronti a pagare, a destra come a sinistra».

Il saggio si chiude con un auspicio: «una cultura che voglia tener viva la prospettiva di una società laica non dovrebbe farsi ingannare da tutto ciò e dovrebbe imparare a diffidare delle esortazioni di filosofi e preti, che cercano di togliere la capacità di vedere le cose inducendo a tener d’occhio i valori». Il doppio uso del condizionale (corsivo mio) è purtroppo d’obbligo.

Raffaele Carcano
Ottobre 2006