Grandi dei. Come la religione ha trasformato la nostra vita di gruppo

Ara Norenzayan
Raffaello Cortina
2014
ISBN: 
9788860307002

L’effetto del controllo sugli esseri umani è tale che chi frequenta una chiesa, benché consumi settimanalmente la stessa quantità di pornografia degli altri, se ne astiene la domenica. E ha effetti sociali rilevanti: l’instabilità elettorale immediatamente precedente le elezioni nazionali determina un aumento della fede in Dio. Gli automobilisti rallentano quando vedono una macchina della polizia nello specchietto retrovisore, ma un maggior numero di vigili urbani diffonde l’ateismo.

No, non è uno scherzo. Informazioni come quelle appena date sono contenute in questo libro. Che, a mio avviso, è il più importante libro sulla religione dal 2001, quando uscì E l’uomo creò gli dei di Pascal Boyer.

Grandi Dei presente una messe di dati raccolti nel corso di migliaia di inchieste e li inserisce in un quadro assolutamente coerente di come sia nata e come si sia evoluta la religione. Un quadro realistico che, per soprammercato, è anche leggibile e talvolta persino divertente. Non avete alcuna scusa per non leggerlo.

Partiamo dall’inizio: “Le credenze religiose e i rituali sono emersi come effetto collaterale evolutivo di funzioni cognitive ordinarie che hanno preceduto la religione”. È una teoria condivisa ormai da molti, nel mondo accademico. In particolare, è ritenuta di particolare importanza la cosiddetta “mentalizzazione”, ovvero la capacità di rappresentarsi gli stati mentali degli altri. E a quanto risulta da un’enorme mole di ricerche, “i credenti spontaneamente pensano a Dio come se fosse provvisto di stati mentali di tipo umano […] Le persone “vedono umano” in ogni tipo di cosa e di essere, dalle formazioni naturali agli oggetti artificiali, fino agli animali da compagnia e agli dei”. Con queste premesse, concepire l’esistenza di entità sovrannaturali non è particolarmente difficile. Non lo è nemmeno inventare divinità che osservano il comportamento umano.

Da qui discende una conseguenza estremamente importante per la storia del genere umano: “chi è sorvegliato si comporta bene”. E coopera ancora meglio: inizia a collaborare con estranei, e una volta inventate le auto rallenterà se seguito dalla polizia. Ci sono anche altre caratteristiche che favoriscono il controllo sociale: la credenza nell’inferno, per esempio, ben più che nel paradiso. Inoltre, “nella religione le azioni contano più delle parole”: ecco perché prosperano “l’ostentazione della devozione e l’assolvimento di compiti difficili da eludere come digiuni, tabù alimentari e rituali stravaganti”. Svolgono una funzione simile alla sfarzosa coda del pavone. Con risultati analoghi sia a riguardo della pericolosità, sia al successo sociale.

Un elemento distintivo dei credenti è anche di avere “più fiducia in chi ha fede nei loro stessi dei”, Comportamenti costosi in termini di tempo, denaro e sopravvivenza aumentano tale fiducia. Agli albori della civiltà umana, ciò potrebbe aver permesso la nascita e lo sviluppo di gruppi sociali sempre più estesi. Il concepimento di Grandi Dei (osservatori universali, onniscienti e onnipotenti) avrebbe garantito un’ancora maggiore efficacia al controllo sociale.

La tesi che lo sviluppo di grandi civiltà sia andata di pari passo con la creazione di divinità sempre più potenti non è nuovissima, ma è senz’altro persuasiva. In questo Norenzayan tende un po’ a strafare, individuando “osservatori sovrannaturali” anche nell’antica Cina e interpretando un po’ arbitrariamente la scoperta archeologica  fatta a Göbekli Tepe, in Turchia – del più antico tempio in pietra del mondo. Risale a dodici millenni fa e, scrive l’autore, “suggerisce l’idea che i primi impulsi devozionali verso i Grandi Dei abbiano motivato la gente a sviluppare le prime forme di agricoltura, e non il contrario”. Vi si trovano però raffigurazioni di animali, non di divinità, per cui lo sviluppo storico può più probabilmente essere stato diverso: dal culto (forse sciamanico) al tempio, a una città circostante, all’agricoltura necessaria per la popolazione residente. E quindi alle divinità necessarie per controllarla.

“Grandi Dei per Grandi Gruppi”, dunque. Tutto bene? No. E non solo per gli individui che si trovano a disagio nel farne parte. Perché “i gruppi religiosi cooperano per competere” con altri gruppi religiosi. E l’autore, libanese, lo sa benissimo. Non puoi fidarti di chi non crede nel tuo stesso dio. Ma c’è l’inevitabile corollario: avere fede nel fatto che “la gente si comporta meglio se pensa che Dio stia guardando” rappresenterebbe la causa fondamentale della diffidenza dei credenti nei confronti di chi non crede in alcun dio. Che – dicono tanti leader religiosi – minerebbe le fondamenta della società.

Grandi Dei è forse il libro sulla religione che dedica maggior spazio all’ateismo. Anzi: un enorme spazio, a ben vedere. È vero che il numero di chi non crede cresce continuamente e ne va tenuto conto, ma si fa anche strada la convinzione che, per studiare scientificamente la religione e comprenderla, sia indispensabile studiare e comprendere pure chi non ne fa parte. Anche dal punto di vista prosociale. Non c’è da sorprendersi se “nei paesi religiosi privi di libertà civili gli atei vengono perseguitati”. Non si fidano di Dio, e i fedeli non si fidano di chi non si fida di Dio, di chi addirittura lo nega.

Ed è per questo motivo che gli atei sono stati e sono spesso ancora oggetto di enormi pregiudizi. Capita anche ad altre minoranze, ma lo stigma che li colpisce è peculiare. L’attivismo ateo prende spesso a esempio le battaglie e i successi del mondo gay, ma è importante capire che alla base della discriminazione c’è un atteggiamento diverso da parte dei fedeli: “il pregiudizio contro gli atei deriva da una reazione di sfiducia, mentre il pregiudizio contro gli omosessuali deriva da una reazione di disgusto”. Tuttavia, poiché “la religione è più nel contesto che nelle singole persone”, e poiché la diffidenza nei confronti degli atei “è estremamente specifica del contesto”, la possibilità di cambiare il contesto stesso c’è. Secondo Norenzayan, “con una maggiore secolarizzazione e una più spinta accettazione degli atei, l’ateismo si diffonde e, via via che gli atei diventano più numerosi e visibili, la sfiducia verso di loro si riduce, contribuendo a sua volta a incrementare il processo di secolarizzazione”.

Un fenomeno spontaneo, se ben avviato. Da parte nostra occorre lavorare per favorirlo: per esempio, cominciando a divulgare come vi siano ormai tonnellate di evidenze scientifiche che smontano il pregiudizio dei fedeli nei loro confronti. Eccone una: risulta che, poiché i non credenti non confidano nella sorveglianza sovrannaturale, agiscono in modo prosociale seguendo un sentimento di compassione. Non tutti, beninteso: quelli che hanno attitudini prosociali. In compenso, sono i credenti con attitudini prosociali che non appaiono spinti da sentimenti di compassione: “sembra, dunque, che la mancanza credenza in una sorveglianza soprannaturale sia compensata, nei non credenti, da una compassione più intensa”. Un altro studio ha mostrato che “in situazioni in cui i soggetti non avevano l’opportunità di lasciare una buona impressione sugli altri gli individui religiosi e quelli non religiosi non si differenziano per i livelli di altruismo”.

Non solo: “i credenti diffidano dei non credenti, ma non il contrario”. Sorpresi? Non dovreste: “un’asimmetria è proprio ciò che ci si dovrebbe attendere quando non ci si trova di fronte a un antagonismo ingroup-outgroup come, per esempio, nelle separazioni etniche o negli scontri tra diverse confessioni religiose”. Non ci sentiamo parte di un gruppo, quindi non andiamo ad attaccare in gruppo altri gruppi. Per l’autore il mondo della non credenza è tutt’altro che monolitico, e individua quattro tipologie che cercano di ricostruirne la genesi: ci sono coloro che sono costitutivamente alieni alla mentalizzazione; quelli che ricorrono molto più all’uso della ragione che dell’intuito (al sistema 2 anziché al sistema 1, seguendo la sistematizzazione che sta sempre più entrando nell’uso); gli apateisti, gli indifferenti per cui la religione è solo una gruccia di cui non si ha più bisogno; e infine coloro che rifiutano l’ostentazione religiosa, spesso ipocrita, di chi li circonda.

L’ultimo capitolo si intitola “Cooperare senza Dio”. Mostra l’esistenza di “un fattore laico che induce a comportarsi bene: istituzioni efficaci [i vigili!] che incoraggiano la cooperazione e livelli alti di fiducia”. La prova, la pistola fumante è rappresentata dalle società scandinave studiate da Phil Zuckerman: esse sono “alcune fra le più cooperative, pacifiche e prospere al mondo”, eppure “non hanno ormai più bisogno di una religione per sostenere la cooperazione su vasta scala”. Per essere più precisi: “hanno adoperato la religione per scalare il successo, e poi hanno buttato via la scala”. Con buona pace di chi sostiene che senza religione non ci può essere coesione. Immaginabili le polemiche provocate da osservazioni di questo tipo, soprattutto negli Usa: anche se, come ha ricordato anche Telmo Pievani nella prefazione, lo scopo dell’autore era soprattutto di mostrare il ruolo della “sorveglianza sovrannaturale” nella nascita di società di dimensioni ragguardevoli.

Riassumendo. Secondo Norenzayan, alla base delle convinzioni religiose c’è una componente genetica (la propensione a mentalizzare) e una componente politico-culturale. Implica che religione e ateismo esisteranno sempre. Poiché però la componente politico-culturale è ampia, la partita è tutta da giocare. La religione parte avvantaggiata, grazie ai meccanismi del cervello umano, della tradizione e della demografia. Ma l’ateismo ha numerose carte da mettere sul tavolo: in fondo, anche l’alfabetizzazione e la scienza partono svantaggiate, ma (più la prima che la seconda) stanno vincendo.

Norenzayan è uno psicologo sociale. Il suo approccio è però multidisciplinare, e gli ha permesso di unificare le due teorie della religione che vanno per la maggiore: quella sociale e quella cognitiva. Ne è scaturito un testo che vola vertiginosamente più alto del 99% delle pubblicazioni sull’argomento. Un libro consigliato soprattutto a chi scrive di ateismo e religione basandosi su pregiudizi datati e su una letteratura arcaica. Grandi Dei è però anche un libro che interpella tutti, credenti e no. Dovrebbe essere studiato a scuola al posto del catechismo.

Raffaele Carcano

gennaio 2015