Scienza, quindi democrazia

Gilberto Corbellini
Einaudi
2011
ISBN: 
9788806188337

Accessoriamente dirò che questo libro non si presenta sotto i migliori auspici. Un titolo a tesi, un linguaggio professorale che incede al tecnico, un’ideologia di fondo che rifugge da ecumenismi di comodo e si inerpica sul politicamente scorretto. Perché Corbellini non le manda certo a dire: alla vera o presunta, pervasiva cultura umanistica in Italia (sarà veramente così? O semplicemente siamo affetti da irreversibile incultura?), all’Italia medesima che è maglia nera tra i paesi occidentali quanto a dimestichezza con i costrutti scientifici e in clamoroso ritardo quanto a valori democratici e libertà di ricerca, ai politici che strumentalizzano l’informazione scientifica (fosse solo quello) a fini elettorali, ai movimenti ecologisti radicali di questi anni, insomma ce n’è per tutti. Ma, in fondo, chi l’ha detto, che un buon libro deve essere necessariamente facile e leggero per interessare il lettore? Ancorché il binomio Scienza-Democrazia, va riconosciuto, non appare affatto scontato nell’immaginario collettivo. Eppure non sarà un caso che Scienza e Democrazia abbiano intrinseche regole ferree per la loro stessa sussistenza. Né ci si deve sorprendere troppo se laddove esiste una qualsiasi censura alla libertà di ricerca scientifica ci si incammina spediti verso forme di oscurantismo e di degenerazione delle democrazie.

Autentici giganti del pensiero liberale, poi, menzionati opportunamente da Corbellini, nomi come Thomas Jefferson o John Stuart Mill, per non dire John Dewey o Karl Popper, disgraziatamente non popolarissimi nel panorama culturale italiano, avevano chiaro che si governa bene se ci si basa non su astruse teorie preconfezionate ma su criteri oggettivi che permettono di far funzionare le cose. Qui Corbellini scomoda Bruce Alberts, direttore di Scienze nonché presidente della National Academy of Scienze, il cui punto di vista è ben riassunto così: “Nel momento in cui i leader politici si trovano ad affrontare problemi molto complessi, siano essi economici, energetico climatici, sanitari o educativi, dovrebbero guardarsi dall’assumere posizioni ideologiche, ammettendo che non conoscono le risposte per questi problemi. Essi dovrebbero capire che l’unico modo per affrontarli è quello di sperimentare per trovare la soluzione, attendendo per imparare dai risultati, proprio come farebbero uno scienziato o un ingegnere”.

Ecco il cuore della questione. Nell’Italia dei comitati etici, dei principi non negoziabili, della longa manus vaticana sui politici compiacenti di tutti gli schieramenti, tutto questo non può che puzzare di eresia. Eppure questo è un dibattito che parte da lontano. Negli Stati Uniti, per esempio, diversi politologi hanno ravvisato elementi newtoniani sia nella Dichiarazione d’Indipendenza che nella Costituzione degli Stati Uniti d’America; non si deve dimenticare che i padri fondatori erano uomini dell’Illuminismo e consideravano la Scienza “l’espressione suprema della ragione umana”. E se la Scienza dimostra in primo luogo che la natura è imperfetta anche la Democrazia lo è, anzi lo è a tal punto che diffida da qualsivoglia sistema politico ispirato a ideali di perfezione. Ricorda efficacemente Corbellini che “solo i regimi totalitari non possono permettersi di dimostrarsi incapaci in qualcosa”. Le scienze naturali, nella nostra epoca, oltre ad avere uno status cognitivo si candidano anche a quello organizzativo, mettendo a disposizione le proprie acquisizioni per un’ottimizzazione del concetto stesso di Democrazia. A pensarlo non sono d’altronde solo i fautori della liberaldemocrazia. Finanche un marxista come Joseph Needham, ancora nel dopoguerra, riconosceva una correlazione tra la mentalità scientifica e quella democratica, declinandola nel sano scetticismo di fondo che muove lo sperimentatore come l’elettore (a dirla tutta, poi, i marxisti vedono nel capitalismo una minaccia mortale sia per la Scienza che per la Democrazia e su questo non la pensano esattamente come Dewey).

In definitiva “Scienza, quindi democrazia” non è affatto (a dispetto del finale altamente filosofico) un libro apologetico come erroneamente potrebbe essere interpretato di primo acchito, ma un viaggio epistemologico dentro la storia della Scienza e i valori civici dell’Occidente, la sociologia e la filosofia della politica. L’interdipendenza continuamente richiamata tra i diversi ambiti, il corposo riferimento alle fonti e le discrete citazioni, non fanno di Corbellini il classico tuttologo tronfio ed inconcludente, ma un colto e attento studioso, pronto a verificare per via induttiva le proprie ragioni. Che la Scienza rappresenti davvero il volano per addivenire ad una società autenticamente democratica più che un assioma è una speranza. Se Scienza vuole dire progresso per tutti e la Scienza medesima sarà capace di ovviare ai danni collaterali che essa stessa produce. Per il resto, meglio crogiolarsi su questo che dare credito a tanti venditori di fumo che, in nome di dottrine trascendentali o soteriologiche a buon mercato, confondono e soggiogano l’umanità fingendo di servirla.

 

Stefano Marullo

Gennaio 2012