La democrazia di Dio

La religione americana nell'era dell'impero e del terrore
Emilio Gentile
Laterza
2006
ISBN: 
9788842087243

Noto a livello internazionale per i suoi studi sul rapporto tra politica e religione, Emilio Gentile, con questa sua nuova opera, ci propone un’analisi documentata (e per quanto possibile neutrale) sulla patria del fondamentalismo. Un tema che si rivela utile anche per il Belpaese, che a mio modo di vedere rappresenta la nazione europea più simile agli States. Anche qui Teocon e Neocon sono sempre più decisivi – e l’unica differenza, probabilmente, è che un ateo può aspirare a diventare presidente della Repubblica.

La religione non è stata mai assente dal panorama politico di quell’“impero informale” che sono gli USA. Certo, con Bush jr. e il consistente sforzo fatto in suo favore dalla destra religiosa già durante la campagna elettorale del 2000, si è avuto un ulteriore salto di qualità. Ma quello che veramente interessa Gentile non è tanto il cristianesimo d’Oltreoceano e le sue mille e più denominazioni, quanto la “religione civile” statunitense. Questo concetto, formulato per la prima volta da Norbert R. Bellah nel 1967, è stato definito dallo stesso Bellah «non come una forma di auto-adorazione della nazione, ma come subordinazione della nazione a principî etici che la trascendono e di fronte ai quali essa deve essere giudicata». Una religione, dunque, chiosa Gentile, «fondata sulla credenza che gli Stati Uniti sono una nazione benedetta da Dio, sorta per un disegno della provvidenza, con la missione di difendere e diffondere nel mondo la “democrazia di Dio”». Una democrazia che include tutti (tranne gli atei!) perché basata su un nazionalismo che non è rivendicato in nome di un’identità etnica o storica, bensì di un’identità civica e politica.

L’atto di nascita di questa religione civile è fatto risalire al 1789, quando George Washington aggiunse alla formula del giuramento la frase «So help me God», che sarà poi ripetuta da tutti i successori. A detta di Gentile, «i discorsi inaugurali dei presidenti costituiscono la “sacre scritture” della religione civile americana, insieme alla Dichiarazione di indipendenza, alla Costituzione degli Stati Uniti e agli Emendamenti alla Costituzione (Bill of Rights)». La religione civile ha i suoi luoghi di culto (la National Cathedral) e i suoi riti (il giuramento alla bandiera, all’interno del quale Eisenhower fece inserire – sincreticamente – il motto «One Nation Under God»).

Questa religiosità civile si sovrappone e si interseca con la diffusione della fede in Cristo, senz’altro sentita dalla popolazione, ma che viene praticata senza approfondimenti, più come sentimento interiore che come una consapevole scelta basata sull’esame delle dottrine delle singole denominazioni. Un cristianesimo così vissuto è molto simile a una sorta di deismo primitivo: lo stesso George W. Bush ne è un esponente emblematico, in quanto con la sua “teologia elementare” non è in grado di spiegare le differenze tra l’episcopalismo (sua confessione di origine) e il metodismo (sua confessione dopo il matrimonio). In poche parole, non sa dare una spiegazione convincente del perché abbia cambiato confessione religiosa: in realtà, fu perché glielo chiese esplicitamente la moglie. Un bell’esempio di relativismo che non farebbe piacere a papa Ratzinger.

Su questo complesso di elementi si sono violentemente abbattuti i fatti dell’11 settembre 2001. Con un azzeccato parallelo, Gentile paragona l’impatto dello strage con quello che ebbe, nel 1755, il terremoto di Lisbona. Se da quell’evento sortì un clima di sfiducia nei confronti del “migliore dei mondi possibili” e iniziò un concreto processo di secolarizzazione del continente europeo, Ground Zero ha avuto – ma solo temporaneamente – l’effetto inverso, accrescendo la religiosità degli americani, sia pure in forme rozzamente dualistiche.

Bush fu capace di cogliere l’attimo, reinterpretando l’11 settembre «per arrogarsi il monopolio della definizione del bene e del male e l’esclusiva prerogativa di definire i valori e i principî del “vero americano”, promuovendo la rinascita dei miti della religione civile, dal mito del popolo eletto al mito del “destino manifesto” della nazione missionaria». Un destino che, storicamente, era stato reso in due versioni diverse: la “missione come esempio” e la “missione come intervento”. Bush (o chi per lui) ha elaborato una terza visione: quella della “missione come autodifesa preventiva”, assumendo in tal modo, scrive Gentile, la «duplice funzione presidenziale di pontefice massimo della religione americana e di comandante in capo della nazione in guerra, “pontifex et imperator”».

Se ne sono viste le tracce soprattutto nella coniazione della definizione, assolutamente non casuale, di “Asse del male”, che ha fornito alla guerra un carattere misticheggiante, e nell’apparire di tante bandiere sulle chiese, a fianco, e spesso anche al posto, della croce. L’autore dubita che il tentativo repubblicano di trasformare la religione civile in religione politica, intesa come sacralizzazione della politica stessa, possa essere coronato da successo: ciononostante, il fatto stesso che il tentativo sia stato esperito costituisce un esempio anche per altri intraprendenti politici.

La conclusione ha un tono profetico: «La religione non è fatta solo di valori e trascendenza, ma, come la politica, è fatta anche di potere e volontà di potenza. Quando religione e politica congiungono le loro forze nell’esercizio del potere, sacralizzando la politica o politicizzando la religione, per la libertà e la dignità umana, nel campo della politica come nel campo della religione, si annuncia una stagione incerta e insicura». Teniamone conto anche noi.

Raffaele Carcano
4 gennaio 2007