Darwin. Ma siamo scimmie da parte di padre o di madre?

Dario Fo
Chiarelettere
2016
ISBN: 
9788861908567

E se n’è andato anche Dario Fo: attore, drammaturgo, regista, scrittore, pittore, premio Nobel per la letteratura e — ciò che me lo rende particolarmente caro — giullare irriverente e militante fuori dal coro. «Se hai campato bene, la morte è la giusta conclusione della vita. Detto ciò, madama Morte non si scomodi ad affrettarsi, faccia pure con comodo» aveva detto a Giuseppina Manin nel libro-intervista Dario e Dio (Guanda 2016). Madama Morte purtroppo si è scomodata, portandoselo via quando era ancora in piena attività.

Dario e Dio è infatti la sua penultima fatica. L’ultima è un libro di divulgazione scientifica: un libro su Darwin. La cosa potrebbe sorprendere se non sapessimo che Dario Fo è stato un “uom dal multiforme ingegno”. E naturalmente si tratta di una divulgazione tutta a modo suo: mischiando nozioni, informazioni e “sceneggiate” (mi riferisco a una sorta di teatralizzazione in forma di dialogo di idee, scritti ed episodi biografici di Darwin); letture di testi e ricordi personali; teorie e fantasie. Una curiosa (nel doppio senso che è inconsueta e alimentata dalla curiosità) affabulazione che ci restituisce una conoscenza di Darwin — della sua biografia, della sua teoria e del suo modo di pensare — indubbiamente piacevole.

Per più di vent’anni ho esaminato studenti universitari e sono molto allenata a riconoscere in un autore o in un interlocutore se le sue letture sono di prima o di seconda mano. Penso che Dario Fo buon’anima non me ne vorrà e non verrà di notte a tirarmi i piedi se mi permetto di “esaminarlo” in questo senso: credo che abbia solo orecchiato o leggiucchiato L’origine delle specie, ma in compenso ha sicuramente letto con grande attenzione e sensibilità L’origine dell’uomo, cogliendo alcuni passaggi importantissimi che sono stati a lungo trascurati se non decisamente osteggiati nella storia della ricezione di quest’opera.

In primo luogo, la sensibilità estetica degli animali, in particolare degli uccelli. «Gli uccelli tutti dimostrano di continuo, specie nel periodo del corteggiamento, un senso della bellezza ineguagliabile» fa dire Fo a Darwin in un immaginario dialogo con un impagliatore di origini africane (p. 55). E Darwin effettivamente scrive, in L’origine dell’uomo: «È evidente che i colori brillanti, i ciuffi, le belle piume, i canti melodiosi, ecc. di molti uccelli maschi non possono essere stati acquistati per scopo di protezione [dai predatori]; invero alle volte accrescono il pericolo». Si tratta di un passaggio cruciale in cui Darwin propone — accanto e in qualche modo in contraddizione rispetto alla nozione di selezione naturale, portante in L’origine delle specie — l’idea della selezione sessuale, a lungo (almeno fino agli anni ’70 del secolo scorso) trascurata e addirittura contrastata. Come scrive Andrea Pilastro in un libro dedicato all’argomento (Sesso ed evoluzione, Bompiani 2007), «l’idea che le femmine animali possiedano un senso estetico, in un’epoca nella quale le donne non potevano neppure votare, non era una teoria che potesse avere vita facile. E infatti venne accolta con freddezza, quando non respinta con sprezzante sarcasmo».

L’altra idea innovativa contenuta in L’origine dell’uomo, che Fo coglie con precisione, è l’importanza dei comportamenti cooperativi accanto, e anche in questo caso in qualche modo in contraddizione, a quelli competitivi. Fo dedica un paragrafo all’argomento (pp. 85-89) portando l’esempio dello spulciamento delle scimmie.

Ancora, Dario Fo coglie con esattezza una posta in gioco politica sottesa all’opera di Darwin: la polemica contro lo schiavismo. Si trattava, scrive Fo, di «debellare la convinzione, diffusa anche presso i mercanti e i conquistatori di fede cristiana, che vendere e comprare neri non fosse un obbrobrio, giacché ognuno era convinto che i nativi delle tribù africane non facessero parte della razza umana ma in verità costituissero una categoria di pseudoanimali […]. Ecco allora che Darwin decise di rovesciare una simile ipocrisia, dimostrando che non solo gli schiavi sono esseri umani, ma che tutte le specie viventi hanno un’origine comune» (p. 24). In effetti, in tempi in cui era ancora intensa la discussione sull’abolizione della schiavitù, sia Darwin che Alfred Russel Wallace, che Darwin considerava coautore della teoria della selezione naturale, si espressero contro il poligenetismo, ossia l’idea dell’origine plurima delle razze umane, che non apparterrebbero dunque alla medesima specie — idea che come ben si comprende faceva assai comodo ai fautori dello schiavismo. E proprio in L’origine dell’uomo Darwin porta argomenti che mettono in discussione il significato stesso dell’idea di “razza”.

Lettore davvero attento, Dario Fo coglie anche gli aspetti discutibili dell’opera di Darwin: la misoginia, in primo luogo: il «disprezzo a proposito delle femmine di alcune comunità selvagge», il fatto che «in un altro capitolo l’autore de L’origine dell’uomo dichiari che i maschi, in conseguenza della responsabilità di procurare cibo, di difendere il gruppo e di lottare […], avrebbero sviluppato, rispetto alle donne, maggiori capacità mentali e creative» (p. 61). Verissimo, ed è altrettanto vero che oggi il ruolo della donna nelle prime comunità umane è molto rivalutato, come Fo ci racconta ripescando dal libro di Elaine Morgan, L’origine della donna (Castelvecchi, 2012) la teoria della “donna acquatica” che rimanendo lungamente a mollo «divenne interamente glabra e con una pelle delicata e lucida, insomma uno splendore di femmina» (p. 63).

Bravo, caro vecchio Dario: trenta e lode per questa lettura così attenta de L’origine dell’uomo. E non ho un voto abbastanza alto per premiare l’invenzione di questa forma di divulgazione, bizzarra, divertente e giocosa e che tuttavia ha un forte intento educativo. Educazione a pensare, soprattutto. Scrive Fo nell’ultima pagina, attribuendo a Darwin la frase: «Non ho paura della morte. Mi dispiace solo di smettere di campare. Il piacere di usare il mio cervello non ha eguali. Scopro sempre con una certa voluttà questa macchina che porto in capo, e che mi offre idee e fantasticherie».

Maria Turchetto
da L’Ateo n. 110