La conquista sociale della Terra

Edward Osborne Wilson
Raffaello Cortina
2013
ISBN: 
9788860305688

L’ottica antropologica con cui si declina la biologia non deve essere scambiata per puro antropocentrismo che invece è ideologia e mito. La narrazione che Edward O. Wilson, uno dei più autorevoli biologi e naturalisti contemporanei, illustra in questo libro è esattamente un felice connubio tra scienze umane e scienze della terra. Il titolo è davvero eloquente: una terra da conquistare non è data ma fa prorompere l’orizzonte del caso rispetto a quello della necessità.

Più che un Disegno Intelligente, sembrerebbe prendere corpo la possibilità che in mezzo ai molti schizzi casualisi possano intravedere figure di senso. Se esistono avvincenti miti cosmogonici della Creazione non meno attraente è il racconto dell’Evoluzione che Wilson srotola con elegante prosa scandendo le tappe di un processo imprevedibile e sempre reversibile. Per spiegare ciò il nostro autore si affida ad un immagine altamente suggestiva. Un gruppo di scienziati extraterrestri che sbarca sulla Terra tre milioni di anni fa. Lo spettacolo che hanno di fronte vede al vertice del loro cammino evolutivo api domestiche, termiti costruttrici di monticelli e formiche mangiafoglie; il mondo degli insetti come sistema sociale più avanzato ed ecologico sul pianeta. I nostri illustri ospiti avranno anche notato una rara specie di bipede di primati con cervelli a misura delle scimmie antropomorfe, le australopitecine africane, il cui potenziale non sarà sembrato loro francamente degno di grande considerazione. Abbandonando la Terra i nostri scienziati nostrani sul loro giornale di bordo avranno annotato che, attesa la stabilizzazione della biosfera, verosimilmente nel mondo terrestre per le migliaia di millenni futuri non succederà niente di significativo se non il consolidamento del dominio degli insetti sociali nel mondo degli invertebrati. Mai avrebbero immaginato che, durante la loro assenza, il cervello delle australopicetine sarebbe cresciuto rapidamente e quattro milioni di anni dopo sarebbe arrivato l’homo sapiens, discendente di quei primati che a stento sono riusciti a non estinguersi. E che questa nuova specie avrebbe raggiunto un livello evolutivo impensabile oltre che messo in serio pericolo la biosfera ancora intatta al tempo della loro visita.

Come è perché questo sia avvenuto è ampiamente affrontato in questo libro, a metà strada tra scienza e filosofia; non è un caso che l’edizione italiana de “La conquista sociale della Terra” sia curata da Telmo Pievani, autore anche della prefazione, e che come tutti ricorderanno insegna filosofia delle scienze biologiche. Dico questo perché apertis verbis Wilson riprende una questione che mesi addietro oppose Stephen Hawking e Umberto Eco circa la presunta “morte della filosofia” con i fisici che, secondo Hawking, avrebbero preso il posto dei vecchi filosofi. Scrive infatti Wilson, che per inciso esordisce con un prologo dedicato alla Condizione umana parlando di Gauguin, al capitolo 1: “Dopo il declino del positivismo logico alla metà del secolo scorso e il tentativo di questo movimento di fondere la scienza e la logica in un sistema unico, i filosofi di professione si sono dispersi in una diaspora intellettuale e si sono rifugiati in discipline più malleabili non ancora colonizzate dalla scienza: la storia delle idee, la semantica, la logica, i fondamenti della matematica, l’etica, la teologia e, più rimunerativi sotto il profilo economico”.

Ce n’è abbastanza per ridare fuoco alle polveri insomma. Per chiudere la questione però, forse andrebbe osservato, che, attesa la ormai consueta preoccupazione epistemologica che contraddistingue gli scienziati nei loro scritti divulgativi (intendiamo stampati nei libri e non in articoli su Nature o Science), in realtà non gli scienziati hanno preso il posto dei vecchi filosofi, ma è la filosofia che per continuare a conservare le sue implicazioni profonde, si è dovuta attrezzare prima di tutto uscendo da una certa autoreferenzialità e innovando il suo linguaggio. Paradossalmente gli scienziati possono fare a meno della filosofia ma la filosofia non può ignorare la scienza e le sue acquisizioni.

Torniamo però al cuore del libro. Per quanto l’accostamento possa risultare scabroso abbiamo in comune con le termiti, le formiche e gli altri insetti molto più di quanto non si pensi. In una parola queste comunità sono cementate da quella che Wilson chiama eusocialità, teoria ancora controversa che basata sui modelli matematici di altri studiosi di Harvard come Martin A. Nowak e Corina Tarnita, confligge con l’altra grande teoria in voga da mezzo secolo, quella chiamata della fitness inclusiva che invoca la selezione di parentela come forza dinamica decisiva dell’evoluzione umana, che Wilson archivia forse troppo frettolosamente. Nossignori. Tra tutte le specie dell’homo, il sapiens è sopravvissuto perché eusociale, altro che gene egoista di dawkinsiniana memoria; e non è un caso che, come ricorda Pievani, Dawkins sia stato uno dei più feroci stroncatori de “La conquista sociale della Terra”.

Ma cos’è esattamente codesta eusocialità? Non sarebbe altro che “la condizione in cui vi sono generazioni multiple organizzate in gruppi grazie ad una divisione altruistica del lavoro”. Wilson la considera una delle maggiori innovazioni della storia della vita sulla Terra e non esita a paragonare il suo impatto alla conquista della terraferma da parte degli animali acquatici con un apparato respiratorio. Un evento raro tra gli imenotteri e ancor più raro tra i vertebrati. E che, per quanto riguarda la specie homo, spiega come è potuto succedere che i “cugini” neandertaliani (che pure avevano un cervello anche più grande dei sapiens) vissuti duecentomila anni non abbiano mostrato alcun salto evoluzionistico (non esiste alcun reperto archeologico che riferisca della loro cultura e tecnologia) mentre i sapiens che ne presero il posto continuano imperterriti nel loro cammino evolutivo.

Sarebbe interessante, permettete la digressione, anche dal punto di vista teologico, capire se tutte le specie ante sapiens avessero o no un’anima, se fossero anche loro destinatari della salvezza. Come spiegare la fine dei neandertaliani e la sopravvivenza dei nostri progenitori? Semplicemente i sapiens erano eusociali, i neandertaliani no. Si badi bene, anche l’eusocialità è (e fu) una strada sempre in salita, continuamente minacciata dall’egoismo e dalla selezione individuale rispetto a quella del gruppo, erosa dalla guerra (che Wilson chiama efficacemente “una maledizione ereditaria”) e, non ultimo, dal delirio di onnipotenza di un sapiens sempre meno saggio che sta mettendo a dura prova la biodiversità di questo pianeta. Ancora una volta, i disastri che procuriamo, c’è da sperare non siano così esiziali da cancellare per sempre l’altruismo che ci consentì di uscire dal labirinto evolutivo.

Davvero questo libro è un vero scrigno di preziose informazioni, un brillante bricolage che affronta con smagliante eziogenesi campi diversi che spaziano dalla genetica alla neurofisiologia, dall’etica all’antropologia, dalla politica alla religione, dall’arte alla filosofia e che invoca nelle pagine finali un nuovo Illuminismo. Rispetto alle termiti e alle formiche, rimarremo sempre meno organizzati e meno efficienti, anche perché meno numerosi. La condizione umana, questo coacervo tra bene e male, è ineludibile, scotto, forse nemesi obbligata per avere violato l’albero della conoscenza. Rispetto a loro però ci resta una consolazione non da poco: la consapevolezza che i nostri plurimillenari competitors nella conquista sociale della Terra in modo assai improbabile raggiungeranno le vette della genialità creativa e non avranno mai i loro Leonardo, Gauguin, Shakespeare, Mozart. Sarebbe anche bello immaginare di sbagliarsi.

Stefano Marullo

marzo 2013