La moglie del monsignore

Dal celibato alla pedofilia nella Chiesa
Antonio Lombatti
Accademia Vis Vitalis
2013
ISBN: 
9788896374368


In tempi di prevalente polemica anticlericale con bene in evidenza il tema della pedofilia, ecco un testo dal taglio prettamente storico, quanto mai documentato e rigorosamente ‘neutrale’ sul tema del celibato sacerdotale e delle sue conseguenze sullo sviluppo della personalità e dei rapporti affettivi. L’esposizione di Lombatti parte da lontano, dal giudaismo e dall’islam, nei quali il celibe era considerato una persona incompleta, e tutti si comportavano (ed erano sostanzialmente tenuti a comportarsi) come i leader religiosi: invariabilmente coniugati o perfino poligami, senza che ciò fosse ritenuto in qualche modo in contrasto con il loro ufficio sacerdotale.

Nel cristianesimo invece prevalse, ma solo dopo alcuni secoli, l’opinione che la spiritualità fosse favorita dallo stato celibe e soprattutto dalla verginità; e che solo l’astensione dal matrimonio rendesse l’uomo libero di dedicarsi totalmente alla causa del regno de cieli, ad imitazione di Gesù. Da allora celibato e verginità sono stati sempre esaltati dalla Chiesa come stati superiori alla condizione matrimoniale. In realtà, come ben analizza Lombatti, sulla base delle ‘sacre scritture’ non è possibile stabilire se Gesù fosse o no sposato; e non solo. In esse non esiste neanche, ad esempio, alcuna affermazione circa la natura (divina o umana) di Gesù; e tutte le dottrine e norme introdotte successivamente sono semplici definizioni votate a maggioranza fra i teologi; esito di dispute dottrinali anche secolari, non solo verbali, ma con un impressionante carico di violenze e corruzione. Fra queste, le opinioni più radicate risultano le decisioni prese in seno alla chiesa cristiana dei primi secoli, una sorta di ‘regole del gioco’, concordate fra i padri fondatori del nuovo culto, ma con deboli legami con la figura di Gesù.

Dato per certo che la rinuncia al legame coniugale e all’esercizio della sessualità sono sempre stati degli ideali esaltati da cristianesimo, ma solo come scelta personale, dal punto di vista pratico il matrimonio e la sessualità esercitata all’interno del matrimonio non sono stati invece per questo demonizzati, per lunghi secoli, dal clero cattolico. Nel primo cristianesimo, fra l’altro, non solo sacerdoti e vescovi erano sposati, ma anche le donne esercitavano il sacerdozio; e le spinte a vietare il matrimonio per il clero andarono di pari passo con quelle per l’esclusione delle donne dal sacerdozio.

Il problema esplose nel quarto secolo, epoca nella quale la maggior parte del clero era coniugata, e fu oggetto di innumerevoli decisioni dottrinali. Più che vietare il matrimonio del clero si giunse a vietare al clero coniugato i rapporti sessuali, anche se ciò era in palese contraddizione con l’eredità dottrinale giudaica che imponeva agli sposi vicendevoli doveri coniugali.

Nei secoli successivi la questione fu costantemente quanto inutilmente portata in discussione; e solo nell’epoca tridentina si giunse ad una formulazione radicale, tutt’ora valevole: divieto del matrimonio per tutti i religiosi e impossibilità per i già coniugati di accedere al sacerdozio. Ma non si trattò di una pura scelta teologica; si volle soprattutto impedire al clero di trasmettere i propri beni alla discendenza, privando la Chiesa di una cospicua fonte di arricchimento. Quella che potrebbe apparire una scelta ispirata a ragioni di ordine puramente spirituale, si tramutò in una sorta di dogma contro natura, che istituzionalizzava ciò che ai primordi del cristianesimo era all’opposto una eresia.

Laddove, per oltre un millennio, era apparso del tutto normale che sacerdoti e vescovi avessero una propria famiglia, ciò veniva ora anatemizzato. E se i dettami tridentini tentavano anche, almeno nelle intenzioni, di porre un argine alla ‘pornocrazia’ vigente nel clero, è indubbio che le sue conseguente si rivelarono nefaste. Da una parte i preti continuarono a praticare il sesso, generalmente nella clandestinità; dall’altra, la repressione delle pulsioni sessuali e del piacere dell’intimità non poteva che agire negativamente sullo sviluppo dei futuri preti, favorendo anche, con la segregazione dei sessi in età infantile e adolescenziale, l’emergere di comportamenti omofili e l’efebofilia.

Sessualità, procreazione, e legame coniugale sono aspetti essenziali della natura umana. Ed i teologi ed il clero si sono sempre trovati in forte difficoltà nel conciliare santità e sessualità. Per molti la sessualità è del tutto legittima, addirittura santificata se esercitata ringraziando Dio e possibilmente procreando. Rifiutarla manifesterebbe, all’opposto, un implicito rifiuto della creazione divina.

Ma basterebbe affidarsi al senso pratico, per dirimere la questione. Senza una sposa, come affermava Lutero, è difficile o impossibile restare senza peccato. E dunque è necessario che anche i preti siano liberi di sposarsi: a tutela della sincerità della loro professione e come misura contro l’immaturità emozionale e sessuale ed i comportamenti sregolati che ne conseguono.


Francesco D’Alpa

gennaio 2014