La politica in confessionale

Norberto Valentini
Bompiani
1974

Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, in un clima di grande fermento del mondo cattolico per il Concilio Vaticano II, uscirono due libri-inchiesta, caratterizzati dalla stessa tecnica di indagine e da tematiche simili, che suscitarono una certa eco, oltre che l’indignazione generale per l’approccio “scandalistico”. Ciò che li caratterizzava era infatti l’utilizzo di centinaia di registrazioni audio di colloqui al confessionale tra finti penitenti e sacerdoti, al fine di documentare effettivamente le opinioni dei confessori rispetto a vari temi etici e politici di scottante attualità. Il primo libro era intitolato Il sesso in confessionale (scritto da Valentini e Clara Di Meglio, del 1973), mentre il secondo La politica in confessionale, scritto dal solo Valentini (dell’anno successivo), ed entrambi si rifacevano alla prima indagine in materia del 1966, svolta in Francia da Témoignage Chrétien. Questi testi, e il relativo metodo di indagine, sono stati ripresi da Giordano Bruno Guerri per il suo Io ti assolvo, agli inizi degli anni Novanta.

L’autore, coadiuvato da un gruppo di sociologi e teologi per scremare le varie casistiche, sulla base di circa 600 colloqui registrati nelle chiese di tutta Italia, traccia un quadro impietoso, preciso e preoccupante, proprio perché fotografa uno dei meccanismi interni del cattolicesimo. In generale, i confessori «navigano in una confusione ideologica arcaica, che in parte trae origine da un’educazione e da una cultura insufficienti e inadeguate, in parte dai contraddittori e sconcertanti atteggiamenti delle gerarchi ecclesiastiche».

Nonostante la Chiesa sia «il più grande e importante complesso amministrativo esistente al mondo» e gestisca un impero economico (o forse proprio per questo – chiosa l’autore), subisce una crisi nelle vocazioni e una progressiva perdita del controllo sulla società: sempre meno gente frequenta la messa, si confessa, riceve i sacramenti e si dichiara cattolica. In un periodo di trasformazioni e inquietudini come gli anni Sessanta e Settanta, essa viene vista inoltre come un potere autoritario, legato agli interessi capitalistici e incapace di dialogare col mondo moderno.

L’inchiesta è suddivisa in cinque parti: 1) a carattere strettamente politico, in cui i penitenti si qualificano come attivisti di estrema sinistra o di estrema destra; 2) su questioni come evasioni fiscali, speculazioni, raccomandazioni, arrivismi, ingiustizie sociali, libertà di espressione; 3) sul divorzio; 4) sull’aborto; 5) sulla figura del demonio.

Per quanto riguarda la politica, la Chiesa si è da sempre espressa contro il socialismo, come dimostrano in ultima analisi i famosi “comitati civici” di Azione Cattolica per le elezioni 1948 e la scomunica per i credenti iscritti a partiti comunisti o che seguivano e diffondevano dottrine “materialiste”. Le timide aperture conciliari vengono presto troncate, ma ciò non impedisce l’incontro tra cattolici e marxisti. I penitenti che affermano di poter conciliare la fede in un Cristo “socialista” con l’attivismo comunista (spesso in chiave anti-ecclesiastica), vengono nella maggior parte dei casi pesantemente redarguiti dai confessori, mentre questi ultimi – in maniera speculare – sostengono tendenzialmente gli attivisti di estrema destra (con remore per quanto riguarda l’uso della violenza). Dal quadro emerge che, nonostante l’apparente disimpegno della Chiesa, questa «continua, nel confessionale, a “far politica”»: la maggior parte dei confessori esprime «con decisione al penitente quello che essi ritengono sia l’orientamento politico da seguire», mentre i rimanenti «accennano inizialmente a una “libertà” del credente di effettuare le sue scelte politiche, ma poi, nel corso del dialogo, finiscono sempre, a volte senza nemmeno rendersene conto, per contraddirsi esprimendo indicazioni precise».

Sui temi della seconda parte, è interessante notare la contraddizione tra la Chiesa che per un verso si è inserita nella società borghese «al fine di preservare la maggior quota possibile dei privilegi acquisiti in passato», mentre dall’altro si è ritirata nell’ambito familiare, evitando l’impatto col sociale. Ciò genera un atteggiamento sostanzialmente anti-sociale della Chiesa, che è attentissima ai peccati sessuali e condanna fermamente la libertà ideologica (che significa in questo caso atteggiamento critico verso i dogmi e il clero da parte di credenti), ma che chiude un occhio su inadempienze sociali e malcostume politico (corruzione, speculazione, evasione fiscale, clientelismo, opportunismo), al limite adagiandosi sul concetto meno impegnativo di “responsabilità”.

Per quanto riguarda il divorzio, l’opera ben coglie la comparsa di un «personaggio nuovo» nel panorama cattolico, pochi anni dopo l’introduzione della legge Baslini-Fortuna (1970): è il divorziato, con le sue problematiche affettive e morali. La maggior parte dei sacerdoti ha un atteggiamento intransigente: il matrimonio è indissolubile, quindi ogni rapporto al di fuori di esso è peccato. Parecchi invitano il penitente a ripiegare sulla Sacra Rota, in modo che il matrimonio venga annullato, come se non fosse mai esistito: Valentini riporta alcune sentenze paradossali e cavillose di coppie cattoliche che hanno utilizzato questo espediente (tra cui quella di un marito che ha ottenuto l’annullamento perché la moglie era atea e socialista). I sacerdoti vengono anche interpellati sul fatto se sia peccato votare a favore del mantenimento del divorzio: circa la metà dice sì, senza mezzi termini, perché essere a favore del divorzio è contro la legge di Dio; altri sono per la libertà di voto, invitando ad appellarsi alla “coscienza”.

Il tema dell’aborto tra i cattolici, già trattato nella precedente opera dell’autore in maniera più dettagliata, viene ripreso anche qui, prima che venisse emanata la legge 194 del 1978. I confessori si segnalano per l’unanime atteggiamento che «non si limita a una condanna, ma esprime chiaramente un senso di orrore e di sdegno», mentre tra i teologi italiani inizia a emergere un dibattito più aperto sulla materia (l’autore in particolare segnala l’antologia cattolica Aborto questione aperta, Torino, Gribaudi, 1973).

La figura del demonio ritorna in auge tra i cattolici in maniera un po’ inattesa: nel novembre 1972 Paolo VI, durante un’udienza, ribadisce con forza l’esistenza e la diretta influenza nella storia del diavolo, che persino «la Chiesa aveva relegato in soffitta». La stessa società, ormai di fatto secolarizzata, “trascura” il demonio: il male, come risulta soprattutto da inchieste sui giovani, non viene individuato in un’entità trascendente, ma fissato nel sociale. Il diavolo appare piuttosto come un modo per «addossare la colpa e il peso a entità fuori del mondo, che finirebbero soltanto per costituire un alibi di comodo per le situazioni di ingiustizia». Nell’inchiesta, una larga maggioranza di confessori usa spesso Satana come «un deterrente dietro il quale riesce a trovare un facile schermo». Infatti «la Chiesa ha sempre dato il volto del demone a tutti i suoi nemici, anche quelli sbagliati. Lutero era il diavolo, Galileo era il diavolo. Darwin era il diavolo. Marx è il diavolo. Eccetera. Usando questa figura, il confessore, alle prese oltre la grata con problemi più grossi di lui ed estranei alla sua cultura, può costruire qualsiasi giustificazione teologica, qualsiasi intimidazione (non necessariamente in malafede) nei confronti del penitente».

Da questa analisi, la figura del confessore non ne esce bene: il confronto col penitente non è «né chiaro né tanto meno dinamico», ma tende a «fossilizzarsi in una incomunicabilità insormontabile o a tentare la via di un pretestuoso compromesso». La rudimentale cultura del sacerdote è tale da porlo «su un piano di prestigio in un mondo analfabeta o semianalfabeta, ma che lo rende patetico in un mondo anche solo parzialmente emancipato». Egli viene inoltre formato in seminari isolati rispetto alla società, con metodi inadeguati e inattuali. Tanto che uno studio cattolico, citato dall’autore, riconosce: «candidati psicologicamente sani soffrono per un senso di colpevolezza nevrotica causato dall’incapacità di adattarsi alla vita anormale dei seminari, mentre candidati psicologicamente anormali si trovano a loro agio proprio perché quella vita anormale si adatta alla loro psiche».

Lo studio si presenta come argomentato, completo, chiaro, utile per riflettere sul rapporto tra Chiesa e politica non solo degli anni Settanta. Gli unici appunti che ci sentiamo di fare a quest’opera riguardano la divisione troppo schematica tra un cristianesimo “originario” descritto come espressione di libertà e un cattolicesimo che ne rappresenterebbe la degenerazione reazionaria, collusa col potere e gli interessi economici. Inoltre, l’attenzione per le voci “critiche” interne alla Chiesa suscita aspettative troppo ottimistiche (ma questo è facile da dire, col senno di poi, passati ormai trent’anni), forse perché l’opera si muove sulla linea del dialogo e della conciliabilità tra visione marxista e cattolica.

Valentino Salvatore
Circolo UAAR di Roma,
settembre 2008