Candido, ovvero, Un sogno fatto in Sicilia

Leonardo Sciascia
Adelphi
2005
ISBN: 
9788845919619

Prendendo come spunto ideale il Candide di Voltaire, Sciascia ha tratteggiato uno scorrevole apologo in salsa sicula, leggermente profondo, ironicamente amaro, con uno stile agile e sornione, che fornisce uno spaccato delle contraddizioni e delle ipocrisie sociali, religiose, familistiche e politiche dell’Italia contemporanea.

Il protagonista è Candido Munafò – un «piccolo mostro» secondo i benevoli giudizi dei suoi familiari e vicini – un personaggio singolare, solitario, radicalmente scettico, ingenuo, curioso e incapace di piegarsi ai compromessi e agli schemi, specialmente religiosi e politici, di coloro che lo circondano, e per questo disprezzato e incompreso. Nasce tra il 9 e il 10 luglio 1943 in una grotta nei dintorni di Serradifalco, mentre gli Alleati bombardano la Sicilia: la sua è una nascita simbolica, vorrebbe per certi versi rappresentare l’Italia che non è riuscita a emergere – schiacciata tra l’ideologia comunista e il cattolicesimo conservatore, che da una parte si contrastano, mentre dall’altra tendono a completarsi. I genitori, per prospettargli un grande futuro nella “nuova” Italia che emerge dalle macerie fasciste, tentano la scalata: il nonno, Arturo Cressi, dopo essere stato generale delle milizie fasciste, si ricicla tranquillamente nella DC vincendo «la ripugnanza che sentiva per i preti ricordando che in Spagna aveva combattuto per la fede di Cristo». I genitori di Candido annullano il matrimonio ricorrendo alla Sacra Rota, per non danneggiare la carriera del nonno ed eventualmente quella del figlio («Bisognava fare le cose per bene: giudiziosamente servendosi del partito dei cattolici, dei preti, della Chiesa»). Dopo un processo farsa abbastanza degradante, specie per la madre, tutto è risolto.

Sfasciata la famiglia e morto il padre, Candido viene affidato al nonno, che gli mette dietro il precettore don Antonio Lepanto per arginarne la «diabolicità», di cui è preoccupata anche Concetta, la governante bigotta. Il problema è che don Lepanto – verrebbe da dire un nomen omen, che rappresenta per certi versi la sconfitta della Chiesa che tenta di aprirsi al mondo attuale – nonostante controlli una certa porzione dei voti democristiani della zona (che permettono proprio di eleggere il nonno di Candido), è un prete “moderno”, interessato alla psicanalisi, con suggestioni catto-comuniste e critico verso certi atteggiamenti della Chiesa. Candido, con la sua ingenua lucidità, non farà altro che metterne in luce le contraddizioni dottrinarie ed esistenziali. Il presule non riesce infatti a instillare nel candido Candido il senso di colpa, e quindi nemmeno la necessità della “cura” religiosa in salsa catto-psichiatrica di cui si fa portatore. Sarà invece il prete, nel confronto con Candido – due solitudini diversissime che si scrutano, incontrano, fraternizzano – a cedere e a dover rivedere le sue certezze. Un viaggio a Lourdes è per Candido «una vaccinazione rispetto al cattolicesimo» appositamente studiata dal prete ormai in crisi per il suo pupillo (di cui in realtà, c’era poco bisogno, visto il precoce scetticismo del nostro), mentre per don Antonio «un congedo, un addio» alla Chiesa, da cui viene scomunicato. La cosa che più di tutte provoca la «ripugnanza» di Candido non è visione della malattia, dei corpi ammalati, ma la «speranza organizzata, convogliata» di questi viaggi religiosi che coinvolgono le masse, specie meridionali e povere.

Entrambi militano nel Partito Comunista: il giovane senza troppi problemi, vivendolo come fatto naturale ma sempre tenendo all’erta la sua criticità scomoda, l’ex sacerdote in maniera combattuta e contraddittoria, tanto che Candido ha l’impressione che egli «stesse passando da una Chiesa ad un’altra». Si rivela qui un altro aspetto della polemica di Sciascia: la critica al PCI. L’autore fu infatti eletto nelle liste del Partito Comunista come indipendente nel 1975, per le comunali di Palermo, ma si dimise due anni dopo. Quest’opera è in parte anche la metabolizzazione di quell’esperienza, dove la critica politica si accompagna a quella religiosa, in nome dell’impostazione illuministica, radicale e laica di Sciascia. Egli dipinge il partito come una Chiesa all’inverso, con le sue gerarchie, le sue rigidità, i suoi moralismi, i suoi interessi da difendere, la sua omertà anche. Tanto che Candido, considerato un provocatore e un rompiscatole, viene “processato” ed espulso dal partito per una sua storia d’amore risaputa nella zona e per il suo essere non allineato.

Candido viene fatto interdire dalla sua famiglia, che lo considera pazzo: lui accetta la cosa senza problemi, con la consueta innocenza, e decide quindi di viaggiare per il mondo, assieme al suo nuovo amore: la cugina Francesca. Questo rapporto genera strascichi e litigi tra i parenti, coalizzatisi momentaneamente per intascare gli averi di Candido ma evidentemente non molto coesi tra loro. La famiglia è un’altra struttura criticata impietosamente dall’autore, corrosa da ipocrisie e moralismi di facciata che contribuiscono alla problematica del familismo – così vivo proprio nel Sud vissuto e descritto da Sciascia. Invece di essere un porto sicuro di fronte a un mondo in subbuglio, è una delle concause dei problemi sociali e politici descritti. Infatti, Candido è sostanzialmente un uomo senza famiglia, sradicato da tutto e tutti. La famiglia ha qualche interesse nei suoi confronti solo perché ha ereditato un patrimonio considerevole: tanto che il nonno, durante un paio di sfuriate contro Candido, lo definì «spia, spione, delatore, traditore dei congiunti, fin dalla nascita spia e delatore» e «lo insultò in nome della lealtà, dell’omertà, dell’amore alla famiglia che lui rappresentava e che Candido non conosceva né, da verme qual era, avrebbe mai conosciuto».

Passano gli anni Sessanta e Settanta, mentre si consuma la grande trasformazione del comunismo italiano, il suo rapporto sempre più organico col cattolicesimo sociale, il loro reciproco mescolarsi: ma tutto per Candido è distante, i turbamenti e le contraddizioni di questo processo gli arrivano come echi lontani e vani dalle lettere del suo ormai vecchio amico ex prete, rimasto nonostante tutto nella sua nuova “Chiesa”. I fili della storia torneranno a intrecciarsi e congiungersi di nuovo in una sera del 1977, a Parigi: alla fine Candido è, a suo modo, felice.

Valentino Salvatore
Circolo UAAR di Roma,
settembre 2008