Gli effetti del monoteismo nella tarda antichità

Dall'impero al Commonwealth
Garth Fowden
Jouvence
1997
ISBN: 
9788878012288

Capita talvolta di imbattersi in libri poco conosciuti, e già pubblicati da diversi anni, che si rivelano inaspettatamente molto interessanti. È il caso di questo testo, che tratta del rapporto tra potere e monoteismo da un punto di vista rigorosamente storico, senza cioè impelagarsi nelle melmose diatribe della teologia politica. Approccio abbastanza raro, almeno per quanto consta al recensore, a conoscenza soltanto di lontani contributi di Arnaldo Momigliano.

Il tema è stuzzicante: la conversione del mondo antico al monoteismo. Che non fu affatto una conversione di massa. Nel 226 e.v. l’impero persiano cadde sotto la dinastia sasanide, che impose il mazdeismo come religione di Stato. Un secolo dopo toccò all’impero romano fare del cristianesimo la religione predominante. Infine, nel VII secolo, la nascita e l’espansione dell’impero arabo furono un tutt’uno con la diffusione dell’islam. La fede di interi popoli ha poco spazio in queste vicende: furono le scelte dei regnanti e le imprese belliche a provocare, nel giro di mezzo millennio, la scomparsa da larga parte del pianeta di culti con alle spalle una plurimillenaria storia. Una coincidenza?

Probabilmente no. È indubbio che, nei primi secoli del primo millennio, si andarono progressivamente affermando politiche intolleranti e aggressive, ed è altrettanto indubbio che tali politiche furono accompagnate dal favore che i loro autocratici promotori riservarono a religioni che sostenevano l’esistenza di un solo Dio. Ma la difficoltà di trovare connessioni precise inibisce gli studiosi dall’avviare ricerche più approfondite. È questo il motivo per cui un libro come quello di Fowden è così raro, ed è per questo che è consigliabile leggerlo.

Secondo l’autore, durante la tarda antichità si era diffusa «la convinzione che la conoscenza dell’unico Dio giustificasse l’esercizio del potere imperiale e lo rendesse più efficace», mirante «al dominio politico-culturale e in definitiva all’omogeneizzazione di una zona sufficientemente vasta da passare per “il mondo”». Un’ideologia che, dopo i tentativi sasanidi e quelli costantiniani, si sarebbe compiutamente attuata con i primi califfi, caratterizzati dal «prestigio unico che derivava all’unico successore di un profeta del Dio unico». «Ciò che fece dell’impero islamico, anche se per breve tempo, un impero mondiale di successo» – riassume Fowden – «fu la combinazione dell’impulso imperiale con il monoteismo universalista che fu inflessibile riguardo ai cardini dottrinali essenziali e pieno di zelo missionario verso i politeisti, ma flessibile, o comunque disposto a fare concessioni nei suoi rapporti con gli altri monoteismi».

La tesi è intrigante, anche se presentata in maniera un po’ troppo meccanicistica: in fondo, l’espansione dell’impero arabo era stata preceduta da due fallimenti, quello persiano e quello romano. Che il monoteismo possa sembrare ideologicamente più vantaggioso a imperatori dalle ambizioni planetarie è facilmente comprensibile; che questa costruzione si tramuti poi in concrete acquisizioni territoriali resta materia di discussione. Il monoteismo, deve ammettere lo stesso Fowden, porta in sé un virus che lo rende vulnerabile: l’eresia, la valvola di sfogo attraverso cui viene periodicamente alla luce l’opposizione alla struttura religiosa dominante. Se ne rese conto immediatamente lo stesso Costantino, costretto a convocare il concilio di Nicea per cercare (inutilmente) di riappacificare ariani e cattolici.

L’analisi di Fowden è limitata al primo millennio dell’era volgare, ma può facilmente essere estesa anche a secoli più recenti: società governate da un unico re in nome dell’unico dio propugnato dall’unica religione sono esistite fino a non molti decenni fa (si pensi alla Russia zarista). E la suggestione che questo rapporto crea ancora oggi in uomini politici più o meno democratici rafforza l’ipotesi dell’origine geopolitica della persistenza della diffusione mondiale delle religioni monoteiste.

Raffaele Carcano
Marzo 2008