Maria Lujan Leiva - Il Venti settembre. L’Unità d’Italia e la storia argentina

Il testo che presentiamo è stato pubblicato nel libro Fratelli d’Italia, curato da María Luján Leiva e pubblicato nel 2011 dalle Ediciones Desde la gente. La traduzione è di Rossella De Bianchi.

A Sandro Pertini

 

Il 20 settembre del 1870 si porta a compimento l’Unità italiana, un passo avanti nell’affermazione del pensiero del Risorgimento, e si stabilisce un nuovo rapporto tra Stato e Chiesa, si apre cioè la speranza di una nuova era libera da oscurantismo.

Le celebrazioni del Venti settembre, in Argentina, presentano caratteristiche particolari rispetto a quelle realizzate nella madre patria italiana, ma anche rispetto ad altri centri di immigrazione. Sul nostro suolo, la festa intrecciava aspetti di celebrazione pubblica e popolare1 con un forte contenuto ideologico segnato sia dalla congiuntura storica italiana sia da quella argentina e si protraeva per un periodo di tempo più lungo rispetto all’Italia.

Il ricordo ricevuto per tradizione di famiglia mi ha incoraggiato a indagare su questo argomento, una festa che esprimeva l’orgoglio delle origini, la decisione di una residenza e progetti di cambiamento in una nuova terra. Ho percepito attraverso diverse voci, durante le interviste e nei documenti consultati, una serie di idee, un desiderio di uscire dall’isolamento (non intenso in Argentina, ma sempre esistente) e la manifestazione di una cultura e di una lingua, che rompendo i limiti ristretti dell’ambito familiare erano prossimi a penetrare e trasformare la nuova società.

Gli emigrati italiani in Argentina consideravano la festa del Venti settembre come la più sentita e popolare, e riuscirono a comunicare questo spirito alla comunità locale. Si chiamava la “Festa d’Italia” o la “Festa di Garibaldi”, facendo sì che la tradizione popolare unificasse i due nomi amati, senza soffermarsi sulla verità storica che non documentava la presenza di Garibaldi a Porta Pia2.

La diffusione e l’entità di questa celebrazione rivela un carattere laico dell’immigrazione italiana nel Plata, così come l’influenza di una leadership liberale nella comunità italiana. Basta osservare l’elenco delle Società di Mutuo Soccorso dai nomi impregnati di tradizione repubblicana, mazziniana e garibaldina: Unione e Benevolenza, Stella d’Italia, Risorgimento, Roma Intangibile, Roma Nostra o persino prendendo i nomi di Garibaldi e Mazzini, o di Anita, o più esplicitamente Venti Settembre, Breccia di Porta Pia, Giordano Bruno, Eppur Si Muove, ecc. La celebrazione doveva iniettare il patriottismo “necessario per una nazione moderna”3, ma il suo significato si ampliava alla difesa della libertà di pensiero nella lotta contro l’oscurantismo, nella diffusione di un concetto ampio di fratellanza dei popoli, di una patria ben più estesa rispetto alle frontiere. Il suo significato libertario è affermato anche in una serie di numeri unici di giornali anarchici pubblicati a Buenos Aires, Montevideo e San Paolo tra il 1870 e il 19014. Nella celebrazione del Venti settembre sarà sempre presente questa tensione tra patriottismo, il culto nazionale e l’internazionalismo.

La popolazione straniera dell’Argentina fino alla prima guerra mondiale era in prevalenza italiana. Il contributo italiano non si limitò a importare forza lavoro a basso prezzo, ma una cultura e una storia di solidarietà e di organizzazione operaia che i governi di allora cercarono di combattere attraverso le leggi di “residenza” e di “difesa sociale”, che includevano l’espulsione di stranieri “sovversivi”, e la limitazione dell’attività politica e sindacale o con la protezione dei circoli cattolici di operai e di ordini religiosi che combattessero le nuove idee straniere dell’internazionalismo operaio5. Non è difficile immaginare la diffidenza e persino la condanna di questi gruppi verso la commemorazione settembrina, distanza critica che fu adottata anche per l’inaugurazione del monumento a Garibaldi in Plaza Italia, tante volte rinviata a causa delle pressioni politiche e religiose. Alla fine l’inaugurazione si tenne il 18 giugno 1904.

Verso Plaza Italia arrivò una folla di 80.000 persone; italiani, argentini, francesi, svizzeri, portoghesi e spagnoli. Erano affollati drappelli con bandiere e striscioni tra i quali si vedevano per la prima volta pubblicamente insegne delle logge massoniche, che sfilavano lungo la Avenida Santa Fe, mentre i fiori cadevano dai balconi. Il palco ufficiale “era quasi vuoto, con la presenza del presidente Julio A. Roca, ma con poca presenza parlamentare e l’assenza di militari”6. Questa freddezza ufficiale ha diverse spiegazioni. Una delle principali ragioni potrebbe essere che nel maggio dello stesso anno, appena un mese addietro, Alfredo Palacios era stato eletto come il primo deputato di estrazione socialista nel parlamento, proprio grazie ai voti dell’italianissimo quartiere della Boca. Per completare il quadro, il suo primo intervento nel Congresso fu fatto per condannare l’applicazione della legge di residenza e la sanguinosa repressione del Primo Maggio, che ebbe vittime operaie.

Le celebrazioni del Venti settembre, in concomitanza con l’inizio della primavera, riunivano sia una vocazione di patriottismo, di celebrazione di concretezza storica dello stato nazionale italiano, sia una parte di divertimento popolare7, di rottura del quotidiano, di rivendicazione del momento di festa. Per la popolazione ancora nascente dell’Argentina e per i quartieri urbani, il Venti Settembre era l’occasione per ridere, cantare, ballare, tra proclami e promesse di costruire sia una grande Italia dove regnassero la ragione e la libertà, sia un’Argentina libera e prospera.

I festeggiamenti consistevano in parate che vagavano per le strade principali della città e dei quartieri con la banda che suonava l’inno di Garibaldi, di Mameli e, talvolta, la Marcia Reale, il tutto seguito da membri delle società italiane che sventolavano le loro belle bandiere di seta con ricami di mani giunte, stelle d’Italia e allori d’oro. Si organizzavano poi gare di bicicletta e di calessi, campionati di scherma, fuochi artificiali, laboratori di fotografia, per culminare sempre con un banchetto ed il ballo. Per quest’ultimo si preparavano squisiti carnet in cui le giovani piene di speranze avrebbero annotato i nomi dei cavalieri per le mazurche ed i valzer nel salone sociale.

Nei primi anni del ventesimo secolo, nella piccola e semirurale città di Merlo, la cui società si chiamava non per caso Venti Settembre, successe un fatto curioso: la celebrazione dell’ingresso a Roma coincideva con una festa religiosa regionale. I rappresentanti della Chiesa espressero il loro disgusto riguardo alla grande sfilata programmata dagli italiani per quel giorno. Poiché nessuna delle due parti voleva rinunciare al proprio programma, dovette intervenire il sindaco per ottenere un “compromesso storico”: gli italiani avrebbero iniziato la manifestazione al lato opposto della città, in modo da raggiungere la piazza quando oramai sarebbe finito l’officio religioso. “La presenza di tensioni è consustanziale alla festa”8; queste frizioni, in questo caso aneddotiche ma non superficiali, saranno sempre presenti e si intensificheranno in situazioni cruciali della vita di questi due popoli.

Una festa senza nessun rumore, senza baraonda, senza luce, non può essere considerata tale. È esplosione di allegria e di idee, è scuotersi. Un pirotecnico italiano che viveva a Buenos Aires, Carlo Fantini, pubblicizzava nel 1901 la sua specialità (“Bombe a tre colori, a salve, girandola alla romana, bengala”) con questo linguaggio pubblicitario non convenzionale: “Sono ormai 31 anni che fra il rimbombar di cannone i maestosi rintocchi della campana della torre capitolina sulla storica Breccia di Porta Pia sorgeva il vessillo tricolore, simbolo di redenzione, di libertà, di progresso Il 20 settembre 1870 segnava il principio di una nuova era [] dell’era dei martiri del pensiero succedeva quella dei trionfi della scienza sull’ignoranza, della luce sulle tenebre, della ragione sulla superstizione”.

Venti settembre, Libero Pensiero e il socialismo

I diversi gruppi politici della comunità italiana cercavano di appropriarsi del Venti settembre come simbolo della patria unita da costruire, progetto che non solo doveva impegnare gli italiani che vivevano nella penisola, ma anche le centinaia di migliaia che la “grande diseredata” aveva sparso per il mondo.

Era anche l’occasione per la propaganda dei partiti operai, per mostrare il loro impegno nella lotta per la libertà di pensiero, per un’istruzione laica e per il miglioramento materiale e spirituale delle classi lavoratrici. Si organizzavano così convegni, banchetti, non solo all’interno dell’ambiente italiano - questo è un dato interessante - con il proposito di raccogliere fondi per la difesa e la diffusione della scuola pubblica laica, la fondazione di biblioteche popolari, con un’attività senza sosta per realizzare una società di uomini liberi da pregiudizi e da ignoranza.

Nel settembre del 1902 visitò Buenos Aires Dino Rondani, deputato socialista italiano, invitato dal Partito Socialista Argentino e dal gruppo italiano “Avanti” per fare proselitismo e collaborare nella risoluzione di conflitti di lavoro. In occasione di un’intervista pubblicata da La Vanguardia, Rondani sottolineò il carattere popolare della celebrazione e invitò ad attribuire un valore democratico anticlericale al Venti settembre, “convincendo la gente che i pregiudizi religiosi sono la conseguenza della povertà materiale e intellettuale, contro cui è necessario combattere non solo il 20 settembre, ma 365 giorni l’anno”9.

Il Primo Congresso del Libero Pensiero si svolse a Roma nel settembre 1904. Due anni dopo, Buenos Aires confermava la sua importanza come centro culturale globale con l’essere scelta per ospitare il Terzo Congresso. Arrivarono a Buenos Aires oltre trecento delegati provenienti dall’estero e dalle province argentine. Evidenziando il valore simbolico della data, il 20 settembre si diede inizio alle sessioni nel Teatro Argentino con il suono dell’Inno dei Lavoratori e La Marsigliese. Gli argomenti messi in discussione andarono più in là della trattazione teorica per convertirsi in una tematica sociale di assoluta realtà, oltrepassando i limiti più stretti che alcuni settori della massoneria, quali organizzatori dell’evento, avevano voluto conferirle. I relatori di tendenza socialista e anarchica colsero l’occasione per parlare dell’istruzione laica, della separazione tra Chiesa e Stato, per condannare il militarismo e la reazionaria legge di residenza che perseguiva gli immigrati, per combattere il latifondismo considerato fattore di ritardo della politica e dello sviluppo economico nella Repubblica Argentina10.

Due importanti presenze femminili contribuirono a dar maggior rilievo alla riunione: l’anarchica spagnola Belén Sárraga e l’argentina Alicia Moreau. Belén richiese dalla tribuna le pari opportunità per le donne e si dichiarò a favore della liberazione della donna, l’amore libero e divorzio11. Alicia Moreau diede inizio, quel 20 settembre, alla sua lunga vita politica all’interno del socialismo. Nel suo discorso, difese l’istruzione basata sulla scienza sperimentale e sulla ragione “già che nulla poteva garantire un futuro libero e democratico, se non si gettavano le basi di un sistema educativo popolare”12. Quella fu una dichiarazione dei principi e una difesa tacita del pedagogista libertario Francisco Ferrer, in quel momento detenuto in Spagna, accusato di attentare contro Alfonso XIII e al quale poi chiusero la scuola moderna da lui fondata. Come ricordò Alicia Moreau, da questo congresso, nel quale conversero tante donne impegnate nella lotta per i diritti femminili, nacque il primo Centro Femminista del paese13.

Il cinquantesimo anniversario dell’Unità italiana si celebrò nel 1911 in Italia con imponenti mostre a Torino, Roma e Firenze, e con l’inaugurazione del monumento a Vittorio Emanuele in Piazza Venezia e del faro sul Gianicolo donati dagli italiani residenti in Argentina, su richiesta di Francesco Filippini. L’illuminazione del faro riproduceva la bandiera italiana con i suoi tre fasci di luce, bianco, rosso e verde. Il momento storico dotava di un senso speciale questa commemorazione: è il culmine del liberalismo italiano e del colonialismo in Africa. Scoppia la guerra di Libia e un nazionalismo guerriero va conquistando molte menti e volontà sino ad allora dedicate ad idee altruiste. In quel mese di settembre gli animi italiani e argentini vennero sensibilizzati dal tema delle quote d’immigrazione, le tensioni politiche interne e la dichiarazione della guerra italo-turca. Il Regno d’Italia aveva sconsigliato l’emigrazione verso l’Argentina, adducendo la protezione dei suoi sudditi, anche se Juan B. Justo lo interpretò come la conservazione di una massa di futuri soldati disponibili per la guerra colonialista. Il governo argentino rispose facendo pressione sulle compagnie di navigazione perché raddoppiassero le tariffe di ritorno verso l’Italia14.

Su iniziativa del quotidiano El Progreso alla Boca si organizzò una gran manifestazione pubblica per commemorare il Venti settembre, in un quartiere impregnato di sentimenti italiani e cultura liberale. La gran manifestazione di 10.000 persone percorse le strade principali, presenti i pompieri volontari, la banda della Società Italiana e la Società Cosmopolita Verdi e le associazioni italiane Ligure, Figli della Sicilia, Loggia Garibaldi, Figli d’Italia, con le loro bandiere sventolanti, e gli alunni della Scuola Laica. All’arrivo alla Plaza Senguel, oggi Benito Pérez Galdós, la manifestazione si fermò per ascoltare Alfredo Palacios e Antonio Zaccagnini15, che dai balconi della Verdi si stavano riferendo al significato storico dell’atto, facendo notare l’assenza delle bandiere socialiste a causa delle leggi repressive. I centri socialisti di Quilmes, Avellaneda e Río Cuarto organizzarono eventi simili. Per non smentire il principio che dice che non vi è festa senza tensioni, senza che avvengano piccole vendette, gli italiani di Coronel Pringles andarono a suonare l’inno di Garibaldi davanti alla chiesa ed alla scuola di suore del paese16. Però non dimenticarono il fatto che allegria significa anche dare e condividere e distribuirono pane e viveri ai poveri. In altre moltissime città, Rosario, Santa Fe, Pigüé, Mar del Plata, Junín, così come nei paesi dell’interno, si commemorò la data con discorsi, sfilate, bande di musica, balli. A Río Cuarto si dichiarò persino festa ufficiale, sospendendo tutte le attività lavorative. Se la festa era italiana o no, poco importava, l’allegria era patrimonio di tutti, nonostante le piccole tensioni o le grandi discordie. Il centro del paese si inondava di contagiosa musica mediterranea; vi erano balli, teatro, con la possibilità di scambiare idee, risa, combattere la solitudine e l’isolamento della vita agreste, allacciare nuove amicizie ed affetti. Quel 1911, Cinquantenario dell’Unità d’Italia, le feste durarono tre o quattro giorni. Per le élites della collettività, nelle sedi sociali; per tutti, nelle strade illuminate dai fuochi artificiali. Si fecero persino corse di cavalli e si offrì arrosto popolare, un interessante esempio di “sincretismo culturale”1718. A Morteros, Córdoba, degustarono questo tipico cibo creolo: “pel quale olocausto furono sacrificate giovenche ed agnelli dei Signori Vaizi [] generosi donatori”. Sempre più il divertimento si dava la mano con l’impegno ideologico. Proprio a Morteros, quello stesso giorno, si pone la prima pietra dell’asilo infantile “Roma Intangibile” e si piantano eucalipti in nome di Dante, Mazzini, Giordano Bruno, Cavour, Garibaldi e Vittorio Emanuele. Nella città di Santa Fe si iniziò una raccolta firme per Cerbo, il connazionale assassinato dalla polizia di San Carlo “per dimostrare almeno in questa forma (poiché giustizia non si è fatta e non si farà giammai) tutto il nostro dolore per il connazionale spento e perché sia di monito ai suoi uccisori”.

In tutte le commemorazioni di cui si ha traccia19, le diverse collettività straniere (spagnola, svizzera, francese) parteciparono nelle sfilate o prestarono i saloni. Persino nel momento in cui venne dichiarata la guerra italo-turca, la società turca di Rufino, Santa Fe, marciò in onore del Risorgimento. Il fatto è che il Venti settembre cercava di superare non solo i regionalismi italiani, ma anche i nazionalismi ed i patriottismi escludenti ed esaltati.

Nel rito della festa confluivano gli obiettivi di una élite politica e sociale che cercava la concretezza di uno stato italiano unitario ed una collocazione sociale in Argentina, e al tempo stesso la manifestazione popolare desiderosa di allegria, di simboliche rivendicazioni, di riconoscimento delle sue tradizioni. Ognuno aveva la propria festa; il banchetto, il ballo, la manifestazione, erano i distinti ambiti in cui ogni gruppo celebrava la propria festa. Alcuni erano coscienti della separazione di obiettivo e di sede, altri si illudevano con la realtà di una festa unitaria, che diluiva conflitti sociali e potere.

L’antifascismo

La colonia italiana in Argentina si distinse per la sua partecipazione politica e per assumere un ruolo attivo nella vita corporativa. Questa caratteristica sarà un fattore determinante per la creazione dell’esteso movimento antifascista che si sviluppò sia a Buenos Aires che in alcune città di provincia e in costante legame con Montevideo. Subito dopo l’arrivo del fascismo in Italia, si produssero manifestazioni contrarie al regime e la ricostruzione dei partiti politici italiani in esilio. L’attività di opposizione al regime mussoliniano coinvolse anche le società italiane mutualistiche e regionali, la massoneria, le “Leghe per i diritti dell’uomo” e i Fronti Antifascisti. Un ampio ventaglio ideologico che comprendeva dai settori più radicali di anarchici, comunisti e socialisti, passando per i gruppi liberali, massoni e riformisti, i repubblicani20.

Il Venti settembre si converte così in una data chiave per programmare atti di protesta, manifestazioni e sensibilizzare le collettività italiane ed argentine riguardo alla situazione politica nella penisola. L’assassinio nel 1924 di Giacomo Matteotti mobilitò i diversi gruppi antifascisti al fine di organizzarsi e riattivare l’opposizione. L’unione delle forze antifasciste italiane, nell’aprile del 1927 a Parigi, fu seguita a Buenos Aires dalla costituzione della Alleanza Antifascista che univa repubblicani, socialisti e comunisti italiani in un’azione politica comune contro il regime. L’atmosfera di libertà di cui godeva l’Argentina in quel momento e la speranza di successo di una lotta unificata contro Mussolini diedero particolare brillantezza ai festeggiamenti del Venti settembre di quell’anno, in un ambiente già sensibilizzato dall’inaugurazione del busto di Matteotti presso la “Casa del pueblo” davanti a 25.000 persone. Il Partito Socialista Argentino offrì la “Casa del pueblo” affinché l’Alleanza Antifascista potesse commemorare quella data.

I discorsi citati da La Vanguardia lasciarono trasparire diverse interpretazioni del fascismo all’interno della sinistra, così come una serie di diverse diagnosi delle cause e delle possibilità di sconfiggerlo.

Mentre Enrico Pierini, direttore de L’Italia del popolo, qualificava il fenomeno fascista “come una conseguenza passeggera dei disagi psicologici causati dalla guerra” e che “questa situazione non può prolungarsi indefinitamente, perché è impossibile resuscitare nel secolo XX metodi, idee ed abitudini che sono cadute per sempre”, il deputato argentino del PS, Enrique Dickman, non si mostrava ottimista: “la famosa breccia di Porta Pia non significò in alcun modo una rivoluzione. Con il 20 di settembre a Roma tutto rimase come prima e invece di un re ce ne furono due.” E aggiunse: “In questo momento l’Italia sta su un vulcano, la prossima rivoluzione che senza dubbio si sta preparando, finirà con la tragica farsa attuale. Così come la rivoluzione russa installò il suo governo al Kremlino, il proletariato italiano sfratterà l’intruso che occupa il Vaticano e si installerà lì”. Da parte sua, Rodolfo Ghioldi, membro del Partito Comunista Argentino, pronosticò che “il proletariato abbandoni le sue lotte bizantine e sterili e si unisca per sconfiggere l’oppressione che gli pesa addosso”. Parlò anche l’ex deputato comunista italiano Giuseppe Tuntar, “abbondando circa i concetti storici relativi alla data che si commemora e condannando, alla fine, la orribile tirannia che pesa sopra la penisola italiana, con parole eloquenti e sentite”. L’atto terminò con “l’offerta di fiori rossi a Matteotti, tra canti rivoluzionari e evviva ai martiri della libertà”2122. Il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (sezione Matteotti) distribuì un volantino rivolto agli argentini liberi, concittadini di Rivadavia e Sarmento, aderendo in questo modo alla linea liberale della storiografia argentina. Nel documento si faceva un appello all’azione congiunta e solidale: “Argentini! Gli italiani liberi rievocano oggi, con amore e con dolore, tutte le menti più elette, tutti i caratteri più nobili della gloriosa stirpe [] Egli geme ora sotto la tirannia, ma freme e anela l’ora della vendetta che la simpatia del Popolo Argentino, quando verrà l’ora tanto attesa, sia con quelli che ancora una volta si daranno in olocausto per rompere le catene della schiavitù che il nome del Geova furono ribadite [] in questo triste Venti Settembre, giuriamo che daremo tutta la vita perché l’onta senza nome non duri più a lungo”.

L’attività antifascista sarebbe stata impossibile se non si fosse potuto contare sul sostegno dei partiti politici argentini, di molti intellettuali e del movimento operaio. È una costante dell’esilio la ricerca del sostegno in settori del paese ospitante per dare sicurezza ai militanti, combattere l’isolamento e, in questo caso, l’attività dell’Ambasciata Italiana. Quest’ultima, unitamente a gruppi simpatizzanti o sostenitori aperti del fascismo, presentavano Benito Mussolini come il rivendicatore dell’onore italiano.

I militanti antifascisti dovettero svolgere un’intensa attività chiarificatrice, nei diversi paesi di immigrazione, per combattere il pregiudizio anti-italiano che si traduceva in un’interpretazione superficiale e aneddotica del fascismo come l’unico rimedio per un popolo “discolo e arretrato” come quello italiano. Con la firma del Trattato del Laterano, nel febbraio del 1929, la commemorazione del Venti settembre fu soppressa dallo stato italiano. Una larga parte della collettività italiana rivestì la celebrazione di un significato ogni volta più di protesta e in qualche caso dichiarandola festa ufficiale dell’entità sociale. La società “Colonia Italiana di Buenos Aires” invita “alla gran festa sociale che in commemorazione della fausta data 20 settembre avrà luogo sabato 21 […] Considerata l’importanza della ricorrenza che per la prima volta celebriamo con carattere di Festa Ufficiale Della Società abbiamo la sicurezza del suo entusiasta intervento”. L’orchestra suonava solo l’inno argentino e l’inno di Mameli, visto che i disturbi che si producevano ogni volta che si suonava la marcia reale sconsigliavano di includerla nel programma, persino nei gruppi più moderati. La divisione tra l’Italia ufficiale e l’Italia emigrante diventava sempre più profonda. Gli italiani in esilio si consideravano gli unici eredi del Risorgimento e accentuavano l’azione all’interno delle mutue società per evitare che le commissioni direttive finissero nelle mani dei fascisti. In questo modo si ampliava il raggio di azione e di propaganda a settori più grandi della collettività ostacolando le direttive di Benito Mussolini di infiltrare funzionari e fiduciari del regime nelle associazioni. La linea storica Risorgimento-Antifascismo si rafforzava ora che il regime fascista aveva rinunciato alla commemorazione della festa. Risultando quasi profetiche le parole di Giuseppe Coppola, del Partito Socialista Italiano, il 20 di settembre del 1927 durante l’atto della “Casa Svizzera”: “in questo V anno dell’era fascista (come loro dicono) la commemorazione del 20 settembre è andata diventando sempre più un rito caro ai cosiddetti rinnegati [] No, mercanti e rigattieri furono loro. Da Mazzini a Matteotti la più genuina espressione di Roma saremo noi, in un prossimo futuro, i rivendicatori del 20 settembre, dell’Italia, di tutti gli italiani!”23. La situazione democratica argentina era in pericolo. Il “modello Mussolini” entusiasmava l’oligarchia dei proprietari terrieri desiderosa di mettere “ordine” così come alcuni intellettuali sedotti dalla mistica dell’uomo forte, carismatico, che cancellasse ciò che loro consideravano la mediocrità e l’inconsistenza della vita democratica24. Il colpo di stato di Uriburu ruppe in modo traumatico il processo di democratizzazione dell’Argentina. Le forze politiche dell’opposizione, fino a quel momento combattive, però già lacerate da dissensi interni, non furono capaci di costruire un movimento contrario al governo di fatto e alla sospensione delle garanzie costituzionali. Nemmeno il movimento operaio argentino fu in grado di rispondere con una mobilizzazione massiva ed incisiva25. Ci fu però un’eccezione: il Raggruppamento Libertario di Operai e Studenti fece un tentativo di ribellione contro il golpe e diede a conoscere un suo documento suggestivamente datato 20 settembre 1920 nella località di La Plata. Era un testo lungo e analitico col quale, dopo aver descritto il governo di Uriburu “non solo come conservatore ma decisamente reazionario, che in altri luoghi si conosce con il nome di fascista invoca la necessità di reagire [] perché i sistemi di rigore sono pericolosi per tutti e conviene reagire prima che sia tardi.” Lo scatenarsi della persecuzione da parte della polizia, più l’atteggiamento apolitico di alcuni sindacalisti, impedirono l’azione in difesa delle libertà. Le organizzazioni colpite selettivamente dalla reazione nazionalista militare furono ovviamente quelle anarchiche, comuniste e socialiste, così come i gruppi italiani con quella tendenza. Centinaia di dirigenti e militanti furono incarcerati, torturati ed esiliati. I casi più dolorosi si produssero con l’applicazione della legge 4144 di residenza, e la conseguente consegna dei militanti con processi aperti in Italia alle carceri di Mussolini26. Lino Barbetti, Giacomo Barca, Salvatore Cortese e molti altri conosceranno il confino nelle isole italiane; altri riuscirono a rifugiarsi a Montevideo come ad esempio Ermacora Cressati, Aldo Aguzzi, Antonio Destro e lo stesso Hugo Treni che fu poi in seguito espulso dall’Uruguay e dividerà la prigionia nell’isola di Ponza con Sandro Pertini e Paolo Schicchi. Il golpe del ’30 segna una restrizione dell’attività politica per gli argentini e gli stranieri, con un rischio particolare per gli italiani e gli spagnoli nel caso di applicazione della legge di residenza. Però le elezioni fraudolente del novembre del 1931, con il trionfo di Agustín P. Justo come presidente, permisero un aggiustamento della lotta e una riconquista di spazi mutui nei partiti politici e nei sindacati. L’anno 1934 fu importante per la ripresa dell’attività anti-fascista. Durante l’estate europea si era concluso il patto tra socialisti e comunisti che portò alla formazione del Fronte Popolare Anti-fascista, che portò ad una relativa diminuzione della repressione. Di nuovo si approfittò del 20 di settembre per iniziare una propaganda contro “le dittature” e la prossimità del Congresso Eucaristico rafforza così il suo contenuto di critica dell’istituzione cattolica, dato che l’opposizione interpretò l’arrivo del Cardinale Eugenio Pacelli come un supporto da parte della Chiesa ai governi illegittimi nati dal colpo di stato militare. La Unione e Benevolenza ricevette nei suoi saloni il socialista Nicola Repetto e insieme alla Colonia Italiana e alla Casa del Popolo riunirono più di 2.000 persone: “la R. Ambasciata di Buenos Aires ha comunicato quanto segue: anche quest’anno le frazioni estremiste e di gruppi demosocialmassoni italiani, spalleggiati da entità affini argentine, hanno commemorato la ricorrenza del 20 settembre con conferenze e comizi ai quali è stato dato uno spiccato carattere anticlericale antifascista [] nessuna figura degna di rilievo: popolo minuto ed ignorante”27. Intanto a Bahía Blanca l’intendente socialista della città, Agustín De Arrieta, aveva protetto le manifestazioni, aveva fatto propaganda per radio e nel Circolo Liberale aveva parlato lo scrittore Mario Mariani. Già nel 1934 l’ambasciata italiana interpretò questo rinverdire anti-fascista come qualcosa sorto “dai segreti delle logge alimentate da dinero giudaico”28.

Come già si è detto, l’anno 1934 segnò un cambiamento positivo rispetto all’attività antifascista dopo un periodo di stasi dovuto all’acuirsi della crisi economica, la conseguente cessazione dell’attività politica e l’ascesa del fascismo in Europa. L’anno 1935 fu caratterizzato da una profonda disillusione generale tra i militanti progressisti. Il regime aveva proclamato l’Impero e la conquista dell’Etiopia, facendo uso di un ampolloso discorso nazionalista e patriottico che arrivò anche a troppe orecchie, non solo in Italia ma anche tra gli emigrati. La rivendicazione dell’Italia proletaria, l’eterna defraudata, si mescolava con la sempre attesa rivendicazione della terra e del lavoro per tutti. Ancora una volta molti confusero l’onore della patria con la conquista. Probabilmente fu uno dei momenti più tristi dell’esilio, la defezione da parte di molti, l’avanzare ineluttabile del fascismo a livello mondiale e le sempre crescenti difficoltà per combattere il discorso nazionalista del regime. Però presto la guerra di Spagna riaccese le speranze29, attraverso l’urgenza della solidarietà verso la Repubblica, la formazione di milizie e brigate ed i preparativi per la posteriore lotta liberatrice in Italia30.

Tramite le pressioni dell’Ambasciata d’Italia, il regime continuava a cercare di infiltrarsi nelle società italiane per creare un consenso all’interno della collettività all’estero o, almeno, fomentare dissenso all’interno dei gruppi irriducibili. Le società mutualistiche che mantenevano la loro fede democratica scelsero il 20 di settembre del 1938 per costituire la Federazione di Società Democratiche della Repubblica Argentina, estensibile ad altri paesi americani, prendendo in questo modo le distanze e facendo forza comune per contrastare la Federazione di Società Italiane a Plata, di tendenza fascista. Gli obiettivi di questa federazione democratica si staccano dal suo statuto, il quale prevede il consolidamento delle società ispirate ai grandi principi di libertà e democrazia dettati dalla Costituzione Argentina. Nell’articolo terzo si propone di rappresentare la collettività italiana, di diffondere i suoi diritti e di rafforzare i vincoli di fratellanza tra gli italiani e gli argentini. Dal punto di vista ideologico, insiste nel ravvivare il fervore democratico della collettività e le sue festività sarebbero state “il 25 maggio, celebrazione argentina, e il 2 giugno ed il 20 settembre”.

Ancora una volta il 20 di settembre era designato come simbolo di unità, di difesa della libertà e della democrazia, come modo per chiedere agli uomini liberi di compiere una missione storica. Nell’agosto del 1939 quando la reazione si espandeva a livello internazionale (vennero denunciate gravi attività pro-nazi e fasciste nel seno delle istituzioni argentine), il Consiglio Deliberante di Buenos Aires, dietro proposta dei consiglieri socialisti, votò unanimemente per fare un omaggio alla colonia italiana ed al suo paese d’origine, dando il nome di 20 Settembre ad una strada della Boca, a cento metri da dove culminò la manifestazione del 1911. Diceva Iñigo Carrera al momento dell’approvazione : “[] il 20 di Settembre vive nel sentimento italiano ed in quello di tutti gli uomini liberi della terra. Nega il pazzo tentativo di cancellare la storia e coincide con il pensiero libero che illumina la nostra stessa storia nazionale in tutta la sua traiettoria”31.

Durante i lungi e tristi anni del fascismo, gli esiliati italiani, spagnoli e tedeschi si associavano in manifestazioni contro le dittature, sperando in una rinascita della democrazia nel mondo. Il 20 Settembre 1939, nel salone di Unione e Benevolenza, vi erano tutti, però non poteva esserci un ambiente festivo. Il trionfo del franchismo, che metteva tragicamente fine alla repubblica spagnola ed era un’ulteriore sconfitta che si aggiungeva a quella inflitta da nazi-fascismo, aveva causato profondi danni tra le schiere antifasciste composte da anarchici, socialisti e comunisti. L’arretramento del movimento antifascista fu generale. La delusione, la paura, l’angoscia di esiliati e argentini, aumentavano non solo a causa della situazione bellica internazionale, ma anche perché la malattia del Presidente Ortiz ampliava i poteri del vicepresidente Ramón S. Castello, rappresentante conservatore e simpatizzante dell’Asse.

“La Federazione delle Società democratiche italiane ha voluto anche quest’anno, per non venire meno alle sue tradizioni, commemorare la ricorrenza del 20 Settembre, ove si erano riunite circa 300 persone in maggioranza italiani. Avevano dato la loro adesione le seguenti associazioni regionali e mutualistiche: Mutualità ed Istruzione, Colonia Italiana, La Nuova Dante, Liber Piemonte, Unione Marchigiana, Unione Operai Italiani di Villa Devoto, Società Italiana Toscana di Aiuto Mutuo, Alleanza Sarda, Loggia I Figli d’Italia, Circolo Gioiosa Jonica, Venezia Giulia, Società Giuseppe Garibaldi di Ciudadela, ecc.”32.

La riunione che finì a mezzanotte fu controllata da “esperti”: il servizio informativo dell’Ambasciata Italiana e la sezione Ordine Sociale della polizia argentina33. Lo stesso controllo si mise in pratica nel 1940, ma in questo caso il servizio informativo ebbe più lavoro poiché quella volta, nei saloni della colonia italiana, vi furono un banchetto, uno spettacolo della Compagnia Filo-drammatica Antifascista e successivo ballo fino a notte fonda. Però, oltre al divertimento, i discorsi si incentrarono sul fatto che il popolo italiano potesse liberarsi dalla tirannia e l’ex deputato italiano Fernando Marosi disse ancora una volta che la celebrazione del Venti Settembre apparteneva agli italiani liberi e non ai fascisti. Ernani Mandolini invitò gli italiani a superare rancori e dissensi, ed a unirsi nella Federazione Democratica34.

La richiesta da parte dei comunisti di entrar a far parte dell’Italia Libera, nel giugno del 1941, produsse dissensi interni che si constatarono anche all’interno della Federazione di Società Democratiche Italiane. Ancora una volta si scelse il 20 di Settembre per fare un appello all’unità ed alla fraternità ideologica, così come documentato nella rivista Risorgimento, organo della federazione. La nota editoriale firmata da Giuseppe Parpagnoli fu una dichiarazione di principi unitari ed un deciso appello per l’azione comune contro il nazi-fascismo: “I forti, i buoni e gli onesti che intendono militare nell’esercito dell’azione, debbono rassegnarsi ad abbandonare, fino a vittoria raggiunta i particolarismi dottrinari. Senza odiosi esclusivismi per la lotta inesorabile contro il nemico comune e per la Rivoluzione redentrice”35.

In seno alla Federazione avevano guadagnato spazio i comunisti ed i gruppi di sinistra favorevoli all’unità nell’azione. Lo si capisce dagli articoli di “quella Russia che fa stupire col suo tragico eroismo un mondo basato sulla coltura dei tecnici e dei mercanti”36, così come dall’articolo di Albano Corneli col quale sostiene la tesi che le repubbliche nate dalla prima guerra mondiale erano state liquidate dalle nazioni vincitrici, che per di più non vedevano l’ora di armare il nazi-fascismo per liquidare la Russia37. La posizione della Federazione Democratica era andata oltre l’assoggettarsi alla costituzione liberale argentina del 1853: si pronunciava appellandosi all’unità antifascista per lanciarsi in un’azione di profondo cambiamento sociale ed economico.

La Costituzione Repubblicana e il Venti Settembre

La Resistenza italiana aveva finalmente alleato tutti nella lotta per la libertà, con la formazione di un Comitato Nazionale per la Liberazione che comprendeva dalla democrazia cristiana, ai socialisti e repubblicani, fino ai comunisti. Però, una volta ristabilita la pace, in un’Italia devastata dalla guerra e ancora pericolosamente divisa tra antifascisti e filofascisti, l’unione non poté durare: il primo episodio di rottura fu la caduta del Governo Parri nel novembre del 1945. Nonostante l’asprezza del dibattito politico, la povertà e l’inquietudine sociale estesa per tutta la penisola e lo stretto trionfo della formula repubblicana, l’Assemblea Costituente continuò a funzionare per dare compimento all’obiettivo del Risorgimento: l’unità nazionale in forma di repubblica. E fu precisamente sul delicato tema dei rapporti tra Stato e Chiesa che sorsero nuovi conflitti, arrivando così al compromesso, caratteristico della vita politica italiana del dopo guerra, tra la Democrazia cristiana ed il Partito comunista. Si scrisse l’articolo settimo della Costituzione, riconoscendo al cattolicesimo la categoria di religione di Stato e la vigenza dei Patti Lateranensi per la regolazione dei rapporti tra Stato e Chiesa.

I Patti Lateranensi non riconoscevano al Venti Settembre il ruolo di festa nazionale; ovviamente ciò fu interpretato come un duro colpo da parte di chi voleva un totale rinnovamento della politica italiana, nonostante la società andasse verso soluzioni di centro, così come dimostrarono le elezioni per la Costituente e quelle del 18 aprile del 1948 per il primo Parlamento Repubblicano.

La sezione Buenos Aires dell’Associazione Italia Libera emanò una severa dichiarazione su questo particolare: “Con profondo dolore abbiamo appreso che il Parlamento Italiano ha soppressa la festa nazionale del 20 Settembre [] come ricorrenza della compiuta unità morale d’Italia, mediante la occupazione della sua capitale, non può essere abolito senza offendere la memoria di tutti coloro che durante il Risorgimento lottarono e morirono per la patria italiana [] esortiamo gli italiani dell’Argentina a mantenere viva nel loro cuore la fiamma del 20 Settembre; a commemorare questa data gloriosa il cui nome esse hanno dato a molte delle loro associazioni e lavorare intensamente affinché venga presto universalmente applicato il principio: libertà per tutti, privilegi per nessuno”38.

La celebrazione si conservò nell’ambito, sempre più ridotto, delle vecchie associazioni italiane. Nuovi raggruppamenti sorsero rispondendo alle necessità dell’ondata migratoria del dopo guerra, portatrice di caratteristiche culturali molto diverse da quelle dell’immigrazione tradizionale. Si era prodotto un cambiamento profondo nel gioco di forze internazionali. Riguardo alla situazione interna, per l’Argentina iniziava una tappa economica di industrializzazione accelerata, progetto che sfruttava e rendeva più profondi i cambiamenti sociali ed economici che si svilupparono a partire dalla crisi del ’30.

Alla decadenza della festa contribuirono la particolare congiuntura argentina, il compromesso politico in Italia che la escludeva come celebrazione ed anche una mutazione profonda della componente umana dell’immigrazione italiana. Non si può, inoltre, non considerare la trasformazione della vita popolare e di quartiere, afflitta dai cambiamenti sociopolitici ed economici dell’Argentina del dopo guerra.

La celebrazione del Venti Settembre era stata, per gli italiani, un modo per inserirsi nella realtà argentina, non accettandola però passivamente, così com’era, ma trasformandola. Per lo storico, questa festa costituisce un interessante osservatorio delle forze sociali e dei cambiamenti all’interno delle società italiana e argentina nel loro insieme.

Questo articolo è il risultato della ricerca effettuata nell’archivio della Società Unione e Benevolenza di Buenos Aires nell’ambito dello studio su “Immigrazione italiana di lavoro e politica”, diretta dal Prof. Renzo De Felice dell’Università di Roma. Voglio ringraziare anche l’Archivio Centrale dello Stato, Roma e l’Istituto di Soria Sociale di Amsterdam che mi hanno permesso di consultare i loro preziosi documenti.

 

María Luján Leiva. Docente e ricercatrice presso l’Università di Buenos Aires. Dottoressa in Studi dello Sviluppo. Specialista nel settore della migrazione. Ha pubblicato Latinoamericani in Svezia. Una storia raccontata da artisti e scrittori, Uppsala Multhiethnic Papers (1997) e per questa collezione, Rifugiati (2001), 10 anni di libertà. La fine dell’apartheid (2005), Bolivia, America Latina crea (2006) e Il diritto alla libertà (2008), Odissee Greche (2009).

 


Note

  1. George L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse, Bologna, 1975 e Michel Vovelle, Ideología y mentalidades, Barcelona, 1985.

  2. In Uruguay, persino il messaggio del presidente Feliciano Viera del 17/9/1915 dice: “giustifica pienamente in questo caso la proclamazione di festività la circostanza che la numerosa popolazione italiana, [] si propone di celebrare il prossimo anniversario dell’entrata delle truppe di Garibaldi a Roma”. In Garibaldi, pubblicazione dell’Asociación Cultural Garibaldina di Montevideo, anno 1, n. 1, 1986, p.12.

  3. George L. Mosse, op. cit., p. 108.

  4. Pubblicazioni citate da Carlos Rama in “La stampa periodica nell’America Latina”, Movimento operaio, VII, Milano, 1955.

  5. Tulio Halperín Donghi, Para qué la inmigración. Ideología y política inmigratoria, Kohn Wien, 1976, pp. 461 e ss.

  6. La Nación, Buenos Aires, 19 giugno 1904.

  7. George L. Mosse, op. cit., p. 139.

  8. Michel Vovelle, op. cit., p. 189.

  9. La Vanguardia, Buenos Aires, 20 settembre 1902.

  10. La Vanguardia, dal 20 al 26 settembre 1906.

  11. Militante di spicco del movimento agrario andaluso. Diresse la Federación de Málaga che contava 20.000 affiliati. Manuel Tuñón de Lara, El movimiento obrero en la huistoria de España, vol. I, Madrid, 1985, p. 345.

  12. La Vanguardia. Buenos Aires, 22 settembre 1906.

  13. Mirta Henault, Biografía de Alicia Moreau de Justo, Buenos Aires, 1982, p. 25.

  14. Conferenza di Juan B. Justo sull’immigrazione, precisamente il 21 settembre del 1911: “Al nazionalismo spurio dell’oligarchia opponiamo il nazionalismo operaio, con il quale la nazione sono gli uomini che lavorano nel paese in un certo periodo”, in La Vanguardia, Buenos Aires, 29 settembre 1911.

  15. Antonio Zaccagnini: nato in Italia, naturalizzato ed eletto a deputato nazionale nel 1914 per il Partito Socialista.

  16. La Vanguardia, Buenos Aires, 3 ottobre 1911.

  17. A Pergamino, la comunità italiana decide di distribuire viveri per i poveri. La Vanguardia, 25 settembre 1911. La panetteria La Alsaciana l’aveva fatto nei quartieri di Buenos Aires nel 1902. Per la distribuzione di pane e carne gli esempi abbondano.

  18. “Perché più che di assimilazione (nell’immigrazione) [] si deve parlare di sincresi”, Gino Germani, Autoritarismo, fascismo e classi sociali, Bologna, 1975, p. 105.

  19. Francesco Filippini (ed.), Agli italiani nellArgentina. Cinquentenario de Roma Capitale, Buenos Aires, 1911.

  20. María Luján Leiva, Il movimento antifascista italiano in Argentina; Bruno Bezza (ed.), Gli italiani fuori dItalia, Milano, 1983.

  21. La Vanguardia, 21 settembre 1927.

  22. “I socialisti, come gli anarchici, dovettero subire la persecuzione scatenata all’inizio del secolo dall’oligarchia latifondista nazionalista, sostenitrice del nazionalismo tradizionale e alla quale in questa lotta non mancavano argomenti”. Carlos Rama, Nacionalismo e historiografía en América Latina, Madrid, 1981, pp. 96-97.

  23. LItalia del Popolo, Buenos Aires, 22 settembre 1927.

  24. Leopoldo Lugones, La hora de la espada, Buenos Aires, 1925.

  25. Abad de Santillán, “El movimiento obrero argentino ante el golpe de Estado del 6 de septiembre”, Revista de Historia n. 3, Buenos Aires, 1958.

  26. Alicia Moreau, in una intervista per i suoi 100 anni: “E i suoi ricordi più amari?” “Quelli che si sono verificati ogni volta che è stata applicata la legge di residenza”, La Nación, 11 ottobre 1985.

  27. Telespresso n. 322996, 14 novembre 1934.

  28. Ibidem.

  29. “Dopo tutto è di voi spagnoli, della Spagna in parte, da dove alcuni di noi hanno imparato a stare in piedi, ad accettare senza svenire il difficile dovere della libertà”. Messaggio di Albert Camus ai giovani scrittori spagnoli del 19 luglio 1956, in Né vittime, né carnefici, Buenos Aires, 1976.

  30. “Possiamo valutare la prontezza dell’emigrazione ad adeguare questo fuoco accesosi [] per rovesciare in Italia l’attacco al fascismo internazionale”, in Stefano Merli, Fronte antifascista e politica di classe, Bari, 1975, p. 48.

  31. Trascrizione stenografica n. 22 della Sessione del Consiglio Deliberante, 4 agosto 1939.

  32. Telespresso della R. Ambasciata n. 3783/1719 del 26 settembre 1939.

  33. “Sonetto spionistico: Perché faccio lo sbirro? E che ci mangio! Sia lode all’amicizia o conoscenti! […] Dormo e mangio / anche sovra i peggiori tradimenti! / Per l’anima di Giuda! E patria e foro / hanno bisogno della mia presenza”. Adetti: “Paraponzi-Ponzi. Po”, Buenos Aires, 1943: p. 27.

  34. Telespresso della R. Ambasciata n. 3219/1459 del 9 ottobre 1940.

  35. Risorgimento, anno II, n. 3, Buenos Aires, settembre 1941, p. 3.

  36. Ibidem, p. 8.

  37. Ibidem, p. 9.

  38. Alberto Peccorini, Il XX settiembre e il Trattato di Laterano, Buenos Aires, 1951, p. 45-46.