Antropologia senza Bibbia

Gianfranco Biondi, Professore di Biologia delle popolazioni umane nell’Università di Torino

L’apertura del Papa all’evoluzione biologica, sancita nel Messaggio alla Pontificia Accademia delle Scienze (L’Osservatore Romano, 24 ottobre 1996), è stata considerata un evento rilevante per la pacificazione tra fede e scienza, nel senso della loro legittimazione reciproca attraverso la scambievole azione di critica e stimolo per l’approfondimento della conoscenza. Al contrario, tra esse non può esserci alcuna mediazione perché interpretano alternativamente la natura. La prima fa ricorso alla metafisica, la seconda all’uso della ragione, che ha il suo riferimento filosofico nell’epistemologia. I ricercatori inoltre, diversamente dal Papa, non hanno il compito di proporre mediazioni e di stipulare paci, ma quelli di produrre il sapere scientifico (attraverso la formulazione delle ipotesi e la loro verifica empirica) e di contribuire a farlo accettare socialmente. A questo proposito però deve essere chiaro che alla produzione della conoscenza scientifica non partecipano solo gli studiosi che non si rifanno ad alcun credo religioso, ma anche quelli che hanno fede. Si tratta di un fatto e non di una contraddizione rispetto alla inconciliabilità tra fede e scienza.

 

Le idee sull’evoluzione organica sono state discusse dagli scienziati, si sono evolute esse stesse e si sono affermate nel corso dell’ultimo secolo e mezzo. Ciò nonostante, la Chiesa cattolica ha continuato a sostenere fino a tempi molto recenti una interpretazione non scientifica dell’origine delle specie animali e vegetali, il creazionismo, ed ha osteggiato vigorosamente coloro che lo negavano e che soli avevano l’autorevolezza per esprimersi su questo argomento: i biologi. La Chiesa cattolica non riveste alcuna posizione qualificata per poter intervenire in merito alla formulazione della teoria evolutiva; essa invece ha una funzione rilevante nel processo che la deve far diventare patrimonio di conoscenza dell’intera società. Un ruolo che comunque condivide con il mondo della ricerca, con la scuola, con il sistema dell’informazione, con tutti i credenti, che vanno ben al di là dei cattolici, e con altro ancora.

 

Nel tentativo di collocare sullo stesso piano fede e biologia, rispetto all’evoluzione, il Papa ha posto la domanda (punto 2 del messaggio): «In che modo s’incontrano le conclusioni alle quali sono giunte le diverse discipline scientifiche e quelle contenute nel messaggio della Rivelazione?». Poiché la biologia non si basa, né può basarsi, su libri rivelati non deve incontrare alcuna rivelazione. Ma il Pontefice non si è accontentato di formulare la domanda, ha suggerito anche la risposta. Egli ha ricordato infatti (punto 4 del messaggio): «l’Enciclica Humani generis [1950] considerava la dottrina dell’“evoluzionismo” un’ipotesi seria, degna di una ricerca e di una riflessione approfondite al pari dell’ipotesi opposta. Pio XII aggiungeva due condizioni di ordine metodologico: che non si adottasse questa opinione come se si trattasse di una dottrina certa e dimostrata e come se ci si potesse astrarre completamente dalla Rivelazione riguardo alle questioni da essa sollevate». A questo punto è utile ricordare che al momento in cui l’enciclica fu scritta, la biologia considerava l’evoluzione un fatto già da quasi un secolo. Il Papa ha continuato: «Oggi, circa mezzo secolo dopo la pubblicazione dell’Enciclica, nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi». Come si vede, alla fine la Chiesa cattolica ha dovuto semplicemente accettare l’evidenza scientifica dell’evoluzione e rinunciare alla pretesa di poter imporre, o solo suggerire, una mediazione. Il percorso insomma ha una sola direzione: la scienza interpreta il mondo senza tener conto dei dettati della fede e la Chiesa cattolica non può fare altro che accondiscendere, sebbene non nell’immediato.

 

Il Papa però non si è dato per vinto e in un altro passo del messaggio (punto 4) ha tentato di imporre alla biologia la mediazione metafisica. Ha detto infatti: «A dire il vero, più che della teoria dell’evoluzione, conviene parlare delle teorie dell’evoluzione. Questa pluralità deriva da un lato dalla diversità delle spiegazioni che sono state proposte sul meccanismo dell’evoluzione e dall’altro dalle diverse filosofie alle quali si fa riferimento. Esistono pertanto letture materialiste e riduttive e letture spiritualistiche. Il giudizio è qui di competenza propria della filosofia e, ancora oltre, della teologia». Ancora una volta sarà utile ricordare che il giudizio sull’evoluzione compete alla biologia, che non contempla «letture spiritualistiche» di alcun genere, ed anche alla epistemologia ed alla storia della scienza, certamente non alla teologia.

 

Ma il punto centrale del messaggio riguardava ciò che già ben sapeva lo stesso Darwin, quando nel 1859 pubblicò il suo libro sulla teoria dell’evoluzione organica per selezione naturale. E cioè che la parte dell’evoluzione più difficile da far accettare era certamente quella relativa all’origine dell’uomo. Fin dalla metà del secolo scorso è stato inquietante per l’uomo occidentale dover abbandonare l’idea di essere davvero speciale, nientemeno che ad immagine e somiglianza di Dio (come addirittura il Papa ha riaffermato nel punto 5 del messaggio), e doversi accontentare di condividere gli antenati con le scimmie. Il tema della nostra origine era all’epoca così delicato dal punto di vista sociale che Darwin decise di trattarlo compiutamente in un libro solo nel 1871, dodici anni dopo aver pubblicato quello sull’origine delle specie.

 

Si può comprendere la cautela del grande naturalista inglese se ancora oggi il Papa non ha accettato del tutto l’evoluzione per la nostra specie, come risulta dal punto 6 del messaggio: «Con l’uomo ci troviamo dunque dinanzi a una differenza di ordine ontologico, dinanzi a un salto ontologico, potremmo dire». Ma subito dopo aver sostenuto che ci sarebbe una qualche estraneità dell’uomo rispetto alla natura, il Papa ha riconosciuto che una tale affermazione avrebbe potuto essere in contrasto con l’apertura appena sanzionata alla teoria dell’evoluzione e ha proposto di separare la fisica dalla metafisica: «Le scienze dell’osservazione descrivono e valutano con sempre maggiore precisione le molteplici manifestazioni della vita e le iscrivono nella linea del tempo. Il momento del passaggio all’ambito spirituale non è oggetto di un’osservazione di questo tipo,». Su una tale dichiarazione non si può che concordare. Non si confonda però lo spirito (o anima) con i sentimenti, con la morale, con l’etica o con quant’altro di immateriale attenga ai nostri comportamenti, perché anche questa sfera l’uomo la condivide con gli altri animali e la ricerca biologica ne sta indagando l’origine e l’evoluzione. Sulla prosecuzione della frase, «che comunque può rivelare, a livello sperimentale, una serie di segni molto preziosi della specificità dell’essere umano», resta ancora un dubbio. Il Papa voleva forse intendere che la metafisica sarebbe empiricamente confermabile?

 

Il lavoro di Darwin ha costretto la società occidentale ad abbandonare per sempre l’illusione di occupare un posto speciale nella natura: siamo stati, siamo e saremo solo una delle tante specie del regno animale. Non esiste una specificità dell’uomo tale da imporre agli scienziati di riconoscere la presenza in natura di un regno umano, contrapposto a quello animale. Questo colpo all’opinione pubblica dell’occidente fu anticipato un secolo prima da quello inferto dal naturalista francese Buffon il quale, abbandonando l’interpretazione biblica, spostò indietro l’origine della vita a cento-centocinquantamila anni fa. Un’età che oggi sappiamo essere troppo giovane, ma per comprendere l’importanza di quella stima si deve ricordare che nel seicento il pastore anglicano irlandese Usher, utilizzando le genealogie riportate nella Bibbia, aveva fissato la data d’inizio di quella che si riteneva essere stata la creazione al 23 ottobre 4004 a.C. e quindi quella della creazione dell’uomo (il sesto giorno) al 28 ottobre dello stesso anno. Inoltre, il pastore inglese Lightfoot aveva addirittura fissato l’ora in cui Adamo sarebbe stato creato: le 9 del mattino.

 

L’immagine del «primo uomo», tanto cara ai creazionisti ed agli artisti, è falsa. Non è mai esistito un primo uomo al quale fosse stato riservato il privilegio di osservare da solo l’ambiente dove si sarebbe svolta la sua avventura. Più semplicemente, una popolazione di progenitori preumani che viveva in Africa si è evoluta nei nostri antenati, gli australopiteci, circa quattro milioni e mezzo di anni fa. E da questi si sono poi evolute molte specie di uomini, delle quali noi siamo solo l’ultima sopravvissuta.