L’attacco del papa alla legge sul divorzio

Articoli, interviste e commenti apparsi tra il 29 gennaio e l’8 febbraio 2002

Lunedì 28 gennaio 2002 Giovanni Paolo II ha tenuto un discorso in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Le sue dichiarazioni sono, agli occhi di un laico, e ancor di più agli occhi di un razionalista, assolutamente lesive dell’autonomia non solo dello Stato, ma anche della singola persona.

IL DISCORSO PAPALE

Riportiamo alcuni passi del discorso, tra i più significativi.

Il matrimonio “è” indissolubile: questa proprietà esprime una dimensione del suo stesso essere oggettivo, non è un mero fatto soggettivo. In questa prospettiva, non ha senso parlare di “imposizione” da parte della legge umana, poiché questa deve riflettere e tutelare la legge naturale e divina, che è sempre verità liberatrice.

È vero che la dichiarazione di nullità matrimoniale, secondo la verità acquisita tramite il legittimo processo, riporta la pace alle coscienze, ma tale dichiarazione - e lo stesso vale per lo scioglimento del matrimonio rato e non consumato e per il privilegio della fede - deve essere presentata ed attuata in un contesto ecclesiale profondamente a favore del matrimonio indissolubile e della famiglia su di esso fondata.

Fra tali iniziative non possono mancare quelle rivolte al riconoscimento pubblico del matrimonio indissolubile negli ordinamenti giuridici civili (cfr ibid., n. 17). All’opposizione decisa a tutte le misure legali e amministrative che introducano il divorzio o che equiparino al matrimonio le unioni di fatto, perfino quelle omosessuali, si deve accompagnare un atteggiamento propositivo, mediante provvedimenti giuridici tendenti a migliorare il riconoscimento sociale del vero matrimonio nell’ambito degli ordinamenti che purtroppo ammettono il divorzio.

D’altra parte, gli operatori del diritto in campo civile devono evitare di essere personalmente coinvolti in quanto possa implicare una cooperazione al divorzio. Per i giudici ciò può risultare difficile, poiché gli ordinamenti non riconoscono un’obiezione di coscienza per esimerli dal sentenziare. Per gravi e proporzionati motivi essi possono pertanto agire secondo i principi tradizionali della cooperazione materiale al male. Ma anch’essi devono trovare mezzi efficaci per favorire le unioni matrimoniali, soprattutto mediante un’opera di conciliazione saggiamente condotta.

Gli avvocati, come liberi professionisti, devono sempre declinare l’uso della loro professione per una finalità contraria alla giustizia com’è il divorzio; soltanto possono collaborare ad un’azione in tal senso quando essa, nell’intenzione del cliente, non sia indirizzata alla rottura del matrimonio, bensì ad altri effetti legittimi che solo mediante tale via giudiziaria si possono ottenere in un determinato ordinamento (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2383). In questo modo, con la loro opera di aiuto e pacificazione delle persone che attraversano crisi matrimoniali, gli avvocati servono davvero i diritti delle persone, ed evitano di diventare dei meri tecnici al servizio di qualunque interesse.

PREPARIAMOCI AL PEGGIO

PREPARIAMOCI al peggio: ad una Repubblica fondata non sui fragili e sempre revocabili articoli della Costituzione ma sui principi perenni della Chiesa Cattolica. Ad una Repubblica, dunque, nella quale saranno vietati, tanto per cominciare, divorzio, aborto ed anticoncezionali e nella quale le streghe, (ce ne sono, ce ne sono ancora, basta individuarle…) saranno mandate al rogo assieme ai blasfemi, agli eretici ed ai seguaci di Giordano Bruno.
…non può non preoccupare questa reiterata insistenza del Pontefice a dettare, per i cattolici, siano essi medici, farmacisti, avvocati, magistrati, specifiche norme di comportamento, che sono in contrasto con quelle della legge italiana.
E allora, le ipotesi sono due. O il Pontefice immagina i cattolici italiani come una minoranza da tutelare nell’esercizio dei propri principi e tradizioni (come fa la comunità musulmana quando rivendica il diritto alla poligamia o quello di macellare secondo il proprio rito); o piuttosto, lo stesso Pontefice si propone di ridurre gradualmente gli spazi di applicazione della legge italiana fino ad imporre a tutti noi le norme che la Chiesa valuta come le uniche giuste. Ed è questo, evidentemente, il nostro caso.

(Miriam Mafai, la Repubblica, 29/1/2002)

IL SIGNORE DEGLI ANELLI

Trentadue anni di legge sul divorzio e il referendum clamorosamente perduto nel 1974 non hanno evidentemente un gran significato per chi ha come orizzonte l’eternità…
C’è da chiedersi cosa sceglieranno gli avvocati di fronte al dilemma tra il dio di Karol e il dio denaro…
In tutti gli schieramenti, destra compresa, i dissensi aperti prevalgono nettamente sui consensi verso l’ennesima svolta oscurantista di papa Wojtyla. I difensori del ritorno al matrimonio-ergastolo, almeno a caldo, sono davvero pochini e anche non eccessivamente di peso.

(Gianni Rossi Barilli, il Manifesto, 29/1/2002)

GIUDICI CATEGORICAMENTE CONTRO

Il presidente del Tribunale di Roma, Luigi Scotti, non dice apertamente che l’invito del Papa a giudici ed avvocati a garantire l’indissolubilità del matrimonio è anacronistico. Ma lo lascia capire quando ricorda la sua esperienza.

E se un giudice volesse seguire l’appello di Giovanni Paolo II?

«Questo giudice dovrebbe chiedere di essere trasferito ad altra funzione. E, ammesso che sia possibile ottenere un trasferimento per un tale motivo, fino a quel momento deve continuare ad occuparsi delle separazioni. Su questo, sono laicamente categorico».

(Flavio Haver, Corriere della Sera, 29/1/2002)

La giustizia “celeste” la lascia volentieri a Dio. Il presidente della prima sezione del tribunale civile di Roma, quella che ogni anno viene subissata da 12 mila richieste di separazioni e divorzi, riflette sulla caducità degli esseri mortali e, nonostante il richiamo del Papa, resta con i piedi saldamente ancorati a terra. «Faccio il magistrato e, per amministrare giustizia, applico le leggi dello Stato italiano», dice Alberto Bucci. «L’invito di Wojtyla mi dà da pensare ma personalmente non mi sento coinvolto» - afferma - «E poi, come fa un giudice a non cooperare con chi vuole divorziare? Bisognerebbe ipotizzare una sorta di obiezione di coscienza che è prevista soltanto per l’aborto». E se il monito del Pontefice suscitasse problemi di coscienza fra le toghe? «A un magistrato non resterebbe che chiedere di essere trasferito». In tribunale, l’appello di Giovanni Paolo II è “respinto”.

(la Repubblica, 29/1/2002)

MAGISTRATI D’ACCORDO CON IL PAPA

«Nessuna interferenza» da parte del Papa , ma semmai «un richiamo a fare meglio il nostro lavoro». Fabio Massimo Gallo, consigliere del Csm, non crede che il Pontefice abbia invaso competenze dello Stato. Anzi, precisa, «non c’è nessun contrasto tra l’invito del Papa a fare il possibile per salvare un matrimonio e quanto previsto dal diritto civile e dalla Costituzione». La pensa così anche Mario Cicala, della giunta dell’Anm, per il quale le parole del Papa rappresentano «una esortazione che è nello spirito della legge sul divorzio» e che quindi «in nessun modo contrasta con il dovere dei magistrati di essere fedeli alla legge».

(«Magistrati d’accordo con il Papa», redazionale, Avvenire, 29/1/2002)

AVVOCATI CONTRO

Il laicissimo Antonio Dionisio, uno dei più noti matrimonialisti d’Italia, è categorico: «Qualsiasi morale non è in contrasto con la deontologia dei professionisti seri. Non siamo sfasciafamiglie». Quindi è inutile chiedervi di fare gli obiettori? «Io mi occupo di matrimoni, così come colleghi molto religiosi. Se non me la sentissi mi occuperei di sfratti, incidenti, penale e così via». Proprio Dionisio fa notare come oggi si separino il 20-25% delle coppie (senza contare quelle di fatto), come ti arrivino dal viaggio di nozze con tutto pronto per andare in tribunale e dirsi addio, come si presentino, dopo vent’anni, per una soluzione consensuale e, andando a scavare, «vedi come uno dei due non vorrebbe, oppure come uno dei due sia d’accordo ma tema che questo vada contro la sua fede e allora faccia finta di subire una cosa di parte». Dionisio come Laura Gaetini insistono sul ruolo dell’avvocato come assistenza a una situazione.

(La Stampa, 29/1/2002)

«Questo è un grosso affronto per lo Stato italiano e per i cittadini italiani che soffrono. Divorziare non è divertente per nessuno, è una scelta dolorosa, il fallimento di un progetto di vita che coinvolge creature innocenti…». Non usa mezzi termini Laura Remiddi, avvocato matrimonialista, per giudicare il discorso del Papa.

Il Papa vi esorta a “non rendervi complici” di quello che lui considera una mina per i capisaldi della società.

«Sarebbe come dire che se un medico è contro la droga e al pronto soccorso gli arriva un ragazzo in overdose, lo lascia morire. E questa è carità cristiana?».

(Francesca Nunberg, Il Messaggero, 29/1/2002)

Il Papa chiede agli avvocati di non diffondere la piaga “devastante” del divorzio. Cosa ne pensa? «Separazioni e divorzi sono procedure estremamente dolorose, ma non le definirei devastanti, in quanto prendono atto di una rottura già in corso, di una crisi coniugale spesso irreversibile», risponde l’avvocato matrimonialista Marianna De Cinque. Lei è cattolica e praticante.
Il Papa afferma che il divorzio è “talmente radicato” che sembra impossibile combatterlo. È d’accordo? «Il numero dei divorzi in continuo aumento dimostra che oggi si ha molta meno pazienza e tolleranza. Ma quando moglie e marito non si parlano, vivono in casa come due estranei, coi figli che subiscono il dramma, bisogna ancora tenere in piedi la famiglia a tutti i costi? E poi i figli di divorziati hanno molti meno problemi (di rendimento scolastico, anoressia, ecc.) rispetto a quelli dei separati in casa».

(Francesca Nunberg, Il Messaggero, 29/1/2002)

Aprendo l’anno giudiziario degli avvocati, Emilio Nicola Buccico, presidente del Consiglio nazionale forense, ha detto che gli avvocati «non possono accogliere l’invito del Papa», perché «tradirebbero la legge», che impone loro «di assistere e difendere i cittadini nel conseguimento dei diritti decisi dalle leggi». «Se il Papa si fosse rivolto agli avvocati cattolici» - ha detto Bucicco - «non avremmo avuto nulla da eccepire», ma gli avvocati nella loro totalità «sono tenuti a osservare la legge».

(Il Corriere della Sera, 30/1/2002)

TRANNE QUELLI CATTOLICI!

«Un richiamo doveroso quello del Papa. Anche noi avvocati cattolici dobbiamo servire la cultura dell’indissolubilità del matrimonio. È una sottolineatura che interpella la nostra serietà professionale e, allo stesso tempo, la nostra coerenza cristiana». Emanuela Colombo, è avvocato rotale a Milano ma si occupa anche di diritto di famiglia in campo civile.
«Sì, sono numeri che preoccupano. D’altra parte ci si dovrebbe chiedere perché, di fronte a decine di migliaia di separazioni e di divorzi, i matrimoni nulli sono tutto sommato una percentuale irrisoria. Dovremmo riflettere su questo dato. Forse, la maggior parte dei matrimoni che si infrangono dopo pochi anni, sono di fatto nulli perché, come ha ricordato recentemente anche il cardinale Ratzinger, mancava la consapevolezza del significato del sacramento».

(intervistata da Luciano Moia, su Avvenire, 29/1/2002)

POLITICI IMBARAZZATI E IMBARAZZANTI

«Le parole del Papa vanno sempre ascoltate con attenzione, però il divorzio è una legge di Stato e come tale va applicata. C’è inoltre un aspetto che riguarda gli avvocati: possono decidere liberamente, ma anche chi commette delitti ben più gravi ha il diritto di essere difeso. Senza contare la necessità di proteggere i soggetti più deboli come i figli… I cattolici possono contrastare il divorzio, ma chi ha responsabilità istituzionali deve seguire le leggi dello Stato».

Marco Follini (CCD)

«Le sue parole non fanno altro che ribadire le posizioni del magistero della Chiesa».

Riccardo Pedrizzi (AN, responsabile per le politiche della famiglia)

«Il divorzio è stato una conquista civile, però se n’è abusato».

Francesca Martini (Lega Nord)

«È giunto un po’ inaspettato per il tono forte con cui si è manifestato, ma questa è la posizione della Chiesa da sempre».

Clemente Mastella (Udeur)

«Attenti a non fornire interpretazioni strumentali del suo discorso: il Papa non è una persona che si può tirare per la giacchetta».

Giuseppe Fioroni (PPI)

«Ma, fortunatamente, nei fatti la Chiesa mostra una buona tolleranza nei confronti dei divorziati. Lo vediamo nella realtà di tutti i giorni. L’importante è che non ci sia una discriminazione verso i divorziati, così come verso le ragazze madri o i single. Certo ci sono ancora regole ecclesiastiche che fanno soffrire i divorziati cattolici, e lo dico io che sono cattolica e sposata con un uomo divorziato».

Quali?

«Secondo la legge della Chiesa io non posso fare la Comunione: per un cattolico è sicuramente una cosa molto dolorosa. Ma posso battezzare mio figlio ed entrare tranquillamente in chiesa: fino a qualche tempo fa questo non veniva permesso ai divorziati o ai coniugati con i divorziati. Sono sicura che presto la Chiesa arriverà anche a concedere l’accesso al sacramento dell’Eucarestia».

Stefania Prestigiacomo (Forza Italia), ministro per le Pari opportunità,
intervistata da Alessandra Arachi sul Corriere della Sera, 29/1/2002

«Nel divorzio come nell’aborto, i cattolici devono poter esercitare l’obiezione di coscienza». Francesco Storace, il “governatore” del Lazio, che da due anni, da quando è alla guida della Regione, alla dottrina della Chiesa e agli input del Vaticano ha ispirato scelte politiche e amministrative, come la legge sugli aiuti alle giovani coppie ma solo se unite in matrimonio, non esita a schierarsi. Con il Papa.
«Sarebbe quantomeno sgarbato leggere queste affermazioni come se fossero pronunciate da un qualunque referendario, stiamo parlando di Giovanni Paolo II, una delle più grandi personalità della terra, di tutti tempi».

(la Repubblica, 29/1/2002)

POVERO PAPA EVERSIVO

«Povero Papa… i fedeli non lo ascoltano e si appella ai giudici»: così i Radicali Italiani commentano le parole pronunciate dal Pontefice sul divorzio. «Il Papa» - affermano - «non si rivolge più ai fedeli per incitarli al rispetto dei precetti cattolici, si rivolge direttamente ad avvocati e giudici affinché impediscano ai cittadini di chiedere l’applicazione delle leggi dello Stato italiano suffragate dalle volontà popolare». Per Verdi e Rifondazione Comunista «l’invito del Papa ad avvocati e giudici a praticare l’obiezione di coscienza contro il divorzio rappresenta una grave interferenza in uno stato laico, che ha il dovere di garantire libertà di scelta a tutti e di offrire gli strumenti per realizzare tali decisioni».

(La Stampa, 29/1/2002)

E con il gusto che gli è proprio per le sorprese, Vittorio Sgarbi fa sapere: «Il pontefice ha perfettamente ragione: il divorzio è la soluzione traumatica di una scelta insufficientemente motivata». E il sottosegretario scapolo coglie l’occasione per un’autocelebrazione non del tutto scontata: «Un uomo avveduto» - dice Sgarbi - «non si sposa ed elimina alla radice la causa del divorzio». A sinistra, la ds Anna Finocchiaro dice che «così come esistono avvocati che decidono di non difendere i mafiosi, lo stesso può valere per avvocati che non vogliono cause di divorzio. Ma i magistrati devono applicare la legge».

(La Stampa, 29/1/2002)

Il deputato gay dei Ds Franco Grillini ha affermato che «il riconoscimento di tutte le forme di famiglia, quelle gay comprese, rappresenta un elemento di stabilità molto più utile e democratico che non l’imposizione di rapporti ormai esauriti».
Neppure dall’interno o dalle vicinanze della “casa delle libertà” sono mancati gli affondi polemici. Il deputato europeo Claudio Martelli considera l’intervento del papa «ai limiti dell’eversione», mentre il liberale Alfredo Biondi (Forza Italia) ha citato la tradizione cristiana per dissociarsi dal Vaticano, esortando a «dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare».

(il Manifesto, 30/1/2002)

COMPETITORS PAPALI

Reazioni anche dal mondo religioso: il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, ha ricordato che la legge ebraica ammette il divorzio: «Se non c’è niente da fare è l’unica alternativa».

(Il Corriere della Sera, 29/1/2002)

«Sono d’accordo con le parole del Papa, il divorzio rischia di rovinare la società perché viene accordato anche per motivi futili». È il parere dell’Imam di Centocelle, a Roma, Samir Khaldi, sulle dichiarazioni di Papa Giovanni Paolo II. Khaldi ha sottolineato che il pontefice parte da un punto di vista religioso diverso da quello musulmano, cioè che «il divorzio è vietato del tutto, per noi musulmani invece è accettato anche se Allah non lo ama». È permesso anche se è detestato, in casi rari, come «quando una coppia non riesce più a vivere bene insieme e quindi può influenzare negativamente i figli». Khaldi ha sottolineato che le persone divorziate sono uguali alle altre, uomini o donne, e conservano lo stesso ruolo nella società che avevano prima.

(Il Messaggero, 29/1/2002)

UNA MORALE TALEBANA

In un Paese che ha sempre sonoramente battuto i tentativi di restaurazione di una morale talebana (proprio a cominciare dal referendum sul divorzio e poi proseguendo con quello sull’aborto), il clamoroso appello a impedire in ogni modo, con ogni strumento, fosse anche quello di un boicottaggio delle leggi dello Stato, l’esercizio di un diritto di libertà, è destinato a rivelare soprattutto le difficoltà di chi lo promuove, più che non le reali esigenze di chi lo riceve.

(Norma Rangieri, il Manifesto, 29/1/2002)

OBIEZIONE DI COSCIENZA?

Nei fatti l’arma dell’appello all’obiezione di coscienza appare spuntata. Quando un anno e mezzo fa il Vaticano chiese pressantemente ai farmacisti cattolici di praticare l’obiezione di coscienza e non vendere la “pillola del giorno dopo”, non successe assolutamente nulla. La pillola si vende.

(Marco Politi, la Repubblica, 29/1/2002)

OBIEZIONE DI COSCIENZA!

Un laico, qualunque laico, può ricordare ai cittadini, cattolici compresi, la libertà di divorziare, e un vescovo, qualunque vescovo, non può ricordare ai suoi fedeli, cattolici e cittadini, giudici e avvocati compresi, l’obbligo di coscienza di non collaborare al divorzio? Non è forse un diritto civile l’obiezione di coscienza, naturalmente accettando di sopportarne le conseguenze?

(Rosso Malpelo, Avvenire, 30/1/2002)

SCUSATE, NON ERA OBIEZIONE DI COSCIENZA

Le precisazioni della Cei arrivano dal segretario generale, vescovo Giuseppe Betori, e dal canonista monsignor Domenico Mogavero: «Dal discorso del Papa non si possono dedurre richieste di obiezione di coscienza», ha detto Betori. Mentre, per quanto riguarda gli avvocati, secondo Mogavero «il Papa si rivolge alla coscienza cristiana e invita a una scelta personale. Non si può parlare di obiezione di coscienza perché l’avvocato non sottostà a un obbligo al quale si sottrae obiettando».

(Il Corriere della Sera, 30/1/2002)

A cercare di metterci una toppa (peggiore del buco) è intervenuta in forze la Conferenza episcopale. Il papa, ha detto monsignor Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, non ha mai fatto inviti all’obiezione di coscienza. Ha solo «rivolto un appello alla coscienza morale degli avvocati» che sono liberi di accettare o meno le cause di divorzio. Quale sarà la differenza? Il segretario della Cei ha poi aggiunto, a titolo di attenuante, che «i discorsi del Papa sono universali e come tali riguardano anche, ma non specificatamente, la realtà italiana». E poi, diciamocelo, non se ne può più di questo tiro al piccione sulla chiesa cattolica: «In Italia» - ha osservato amareggiato monsignor Betori - «tutti gli opinionisti sono liberi di esprimere posizioni e valutazioni, tranne la Chiesa, che viene sistematicamente accusata di fondamentalismo ogniqualvolta propone la sua visione e i suoi valori». Per dimostrare quanto sia ingiusta questa situazione ha chiarito che «il Papa e i vescovi non vogliono imporre niente a nessuno. Propongono invece i loro valori, che non sono validi solo per i cristiani perché derivano anche dal diritto naturale, come nel caso dell’illiceità dell’aborto, e cercano che si formi su di essi il più largo consenso possibile, affinché poi possano ispirare anche le leggi». Cosa ci sarà mai di male in questa limpida concezione della dialettica democratica?

(Gianni Rossi Barilli, il Manifesto, 30/1/2002)

LAVORARE STANCA

Il Papa fa il suo “mestiere”, anche a costo di andare contro corrente e nessuno ha il diritto di togliergli la parola o di dedurre dal suo invito alla riflessione e alla coerenza una minaccia alla democrazia e alla laicità dello Stato, fino all’assurda accusa di fondamentalismo integralista e alla rievocazione di roghi di eretici e streghe.

(Don Leonardo Zega, La Stampa, 30/1/2002)

UNA SEMPLICE CONSTATAZIONE

È vero che divorzi e separazioni sono aumentati in maniera esponenziale ed è probabile che molti, sapendo di potersi liberare in tempi rapidi, si sposino senza pensarci più di tanto. Eppure ci si sposa di meno rispetto al passato.

(Maurizio Costanzo, Il Messaggero, 30/1/2002)

UNA SEMPLICE CONSTATAZIONE/2

Nessuno ha il diritto d’imporre la propria moralità religiosa a chi quella moralità non condivide. O anche: le sole proibizioni valide per tutti sono quelle stabilite dal codice.
Sono principi elementari di convivenza che il rimescolamento in corso delle varie etnie rende attuali, talvolta drammatici. I cattolici per primi dovrebbero capire che né l’unità della famiglia (valore universale) né l’amore fondato su Dio si possono imporre per decreto. Ovvero: imposti per decreto, e non per intimo convincimento, valgono meno di nulla.

(Corrado Augias, la Repubblica 1/2/2002)

UNA SEMPLICE CONSTATAZIONE/3

…non a caso il Papa, per estendere la sua condanna anche al divorzio, ha dovuto ricorrere al troppo abusato riferimento a una supposta legge naturale, valida sempre e per tutti indipendentemente dalla appartenenza religiosa: in barba a qualsiasi evidenza antropologica e storica, che viceversa dimostrano come la dissolubilità del matrimonio sia un fenomeno diffuso in molte religioni e culture, nel passato e nel presente, anche se spesso in rapporti di potere tra i sessi asimmetrici.
Certo, il conflitto coniugale può essere la causa di grandi sofferenze, per gli adulti e per i figli coinvolti. Proprio per questo è necessario separarsi ed eventualmente divorziare: per porre fine al conflitto distruttivo e consentire l’instaurarsi di rapporti più costruttivi, in particolare tra genitori e figli. Non sono la separazione o il divorzio a creare il conflitto. Piuttosto lo regolano e ne consentono uno sbocco civile.
E se qualche cosa va cambiato nella nostra legge sul divorzio, è l’attesa forzata di tre anni che impone dopo la separazione, ulteriormente allungata di un anno per le donne: un sadismo che forse potrebbe essere tacciato, esso sì, di inciviltà.

(Chiara Saraceno, La Stampa, 30/1/2002)

PARLIAMONE

Infine, la proposta dei DS. Nel programma di riforme della Quercia si parla di «affidare ai notai le separazioni consensuali tra coniugi senza figli minori». Snellirebbe i tempi e limiterebbe «la forte invasività del diritto nelle relazioni interpersonali tra i soggetti», spiegano i Ds. Per il ministro Castelli è un’idea «valutabile».

(Il Corriere della Sera, 30/1/2002)

NO, MEGLIO DI NO

A pensare a un disegno di legge ad hoc, è il Moige (Movimento italiano genitori) che vorrebbe norme in cui si pone il diritto di veto dei figli al divorzio dei genitori e benefici anche economici ai coniugi che si impegnino a contrarre un patto coniugale che escluda il divorzio. Il Moige lancia la sfida ai politici cattolici affinché qualcuno se ne faccia firmatario.

(la Repubblica, 30/1/2002)

CONOSCERE LE CIFRE PER NON DARE I NUMERI

I procedimenti per divorzio su ricorso congiunto erano 9.576 il 1° luglio ’99, passando poi a 10.258 un anno dopo e a 10.319 a metà 2001. Ancora maggiore l’aumento dei procedimenti per divorzio giudiziale: 22.191 a metà ’99, 24.685 a fine giugno 2000, 26.026 nel 2001. Stesso andamento per le separazioni giudiziali passate da 46.396 a 51.256 e infine a 53.412.

(redazionale, Avvenire, 29/1/2002)

Giuseppe Roma, direttore generale del Censis. «Il boom dei divorzi è un fenomeno degli anni Novanta. Non c’entra con l’introduzione della legge, visto che ormai è stata approvata da più di vent’anni».

Qual è stato il problema degli anni Novanta? Perché sono scoppiate le coppie?

«Gli anni Novanta sono stati quelli della liberalizzazione: dallo stato sociale, al mercato, al lavoro. La coesione sociale è stata minata alla radice. E si è diffuso un gran senso di intolleranza. I messaggi sono un continuo invito alla competizione e ben poco alla solidarietà. Non è un caso che stia diminuendo anche il volontariato. E nel frattempo aumenta l’incomunicabilità tra le persone. La coppia è finita in mezzo a tutto questo».

(Alessandra Arachi, Il Corriere della Sera, 30/1/2002)

Negli Stati Uniti, infatti, metà dei matrimoni cattolici finiscono in un divorzio e la metà dei divorziati alla fine si risposano. Nei prossimi dieci anni, quindi, decine di milioni di cattolici avranno situazioni familiari irregolari. Una nuova ricerca, basata sul metodo del “General Social Survey”, indica come il secondo matrimonio sia un punto critico che può mettere alla prova la fedeltà dei cattolici più convinti. Il 20% dei cattolici divorziati e risposati lascia la Chiesa di pari passo con il secondo matrimonio. Nell’accorato appello del Papa c’è il riflesso di tali preoccupanti fenomeni. Già oggi in America tra i 51 milioni di cattolici adulti, il 16% sono attualmente divorziati o separati. Un altro 9% di cattolici ha divorziato e si è risposato.
Il secondo matrimonio risulta essere il punto di svolta. Soltanto il 60% dei cattolici risposati si considerano parte della comunità ecclesiale, in confronto all’80% dei cattolici ancora sposati. «Questo esito» - prosegue - «dimostra che l’attuale posizione della Chiesa sui secondi matrimoni induce il 20% dei cattolici risposati a lasciare la Chiesa». Nell’Occidente laicizzato, il secondo matrimonio è sempre più diffuso: quasi la metà dei cattolici che divorzia, in seguito, si risposa. Dieci anni dopo il primo matrimonio, quasi il 10% dei cattolici è divorziato e risposato; dopo 20 anni quasi il 20%. Oltre un milione di matrimoni sono stati annullati negli Stati Uniti dal 1975, secondo una stima fatta dalla sociologa Melissa Wilde e pubblicata dal Journal for the Scientific Study of Religion. Milioni di cattolici, quindi, si risposano senza un annullamento.

(Giacomo Galeazzi, La Stampa, 29/1/2002)

NUMERI ESTRATTI SULLA ROTA ROMANA

Delle oltre settantamila cause matrimoniali chiuse ogni anno in tutto il mondo dai tribunali regionali di primo grado, la stragrande maggioranza finisce col dar ragione a chi si vuol separare. Ecco gli esiti in percentuale:

  • Sentenza sfavorevole: il matrimonio è riconosciuto valido: 5%.
  • Sentenza favorevole: il matrimonio è riconosciuto nullo: 85%.
  • Nullo per vizio di consenso (rifiuto dell’indissolubilità, proposito di non generare, costrizione, inganno, ecc.): 64%.
  • Nullo per difetto di forma: 15%.
  • Nullo per impotenza sessuale o perché rato ma non consumato: 1%.
  • Nullo per altri impedimenti: 5%.
  • Cause concluse per archiviazione, rinuncia, ecc.: 10%

(Fonte: Annuarium Statisticum Ecclesiae)

Secondo un sondaggio svolto da Datamedia su un campione di 1.000 intervistati gli italiani non sono d’accordo con le parole del Papa sul divorzio. L’87,5% dei mille interpellati, infatti, non condivide la severità del pontefice su questo tema. In particolare, si dichiara poco d’accordo il 63,6% e per nulla il 23,9%. I favorevoli sono soltanto l’11,6% del campione.

(Il Corriere della Sera, 30/1/2002)

Ventiquattr’ore dopo l’intervento del Papa l’episcopato italiano frena vistosamente.
Il brusco arresto ha una spiegazione. È successo che la clamorosa invasione di campo wojtyliana ha provocato negli italiani l’effetto-referendum, di cui ogni tanto in Vaticano ci si dimentica. L’87,5 per cento degli interrogati da Datamedia ha dichiarato di non condividere affatto le parole del pontefice, smentendo - in un Paese che continua a definirsi ufficialmente cattolico - la posizione di un Formigoni che con toni da Pio XII aveva dichiarato: «Quando parla il Papa, che è il capo dei cattolici, all’interno del mondo cattolico non c’è, non deve esserci discussione».

(Marco Politi, la Repubblica, 30/1/2002)

«LAICI PROVINCIALI», DETTO DA UN CATTOLICO

Che il matrimonio sia indissolubile la Chiesa cattolica non lo dice da oggi, ma da sempre. E quando un potente d’epoca, che si chiamava Enrico VIII, pretese una deroga su misura, la Chiesa affrontò uno scisma piuttosto che rinnegare la dottrina del vangelo. Quanto provincialismo affiora nelle reazioni nostrane.
Ma sapere come va la prassi è sconsolante: con venti coppie per volta fuori dell’uscio, e un quarto d’ora per coppia, è già tanto se il giudice chiede educatamente «se ci sono possibilità di conciliazione»; e, saputo che no, tira avanti e fine. E se si sofferma, incontra cenni di impazienza, da parere un intruso.
Altro che fondamentalismo. I percorsi possibili e doverosi di un salvamento dei valori umani, essenziali per la persona e per la società civile, sono strada della civiltà dell’uomo.

 

(Giuseppe Anzani, «Le piste del codice. Ipocrisia della prassi», Avvenire, 30/1/2002)

«LAICI PROVINCIALI», DETTO DA UN LAICO

Tanta suscettibilità (ieri i quotidiani erano strapieni di Papa e divorzio) rivela, temo, un profilo etico ancora molto fragile, e insicuro, da parte degli italiani che vivono fuori dalla Chiesa. Come se avessero da opporre, all’etica della Chiesa, solo una non-etica. Come se le ragioni pro-divorzio (che sono profondamente etiche: l’amore può essere solo una scelta, mai un obbligo) impallidissero di fronte ai crucifige. Il giorno che un pronunciamento del Papa passerà quasi inosservato fuori dalla Chiesa, finalmente non saremo più un Paese clericale.

(Michele Serra, la Repubblica, 30/1/2002)

CATTOLICI PROVINCIALI

La questione del divorzio è data ormai largamente per scontata da tutti gli ordinamenti e dalla coscienza comune, compresi molti cattolici. Infatti i giornali esteri al completo hanno in pratica ignorato il richiamo, accolto con emozione solo da noi per ragioni che non devo certo spiegare.
Sorge anche una domanda forse indelicata: sanno in Vaticano quali diffidenze può suscitare una tale questione in Europa mentre si sta per cominciare a discutere la Carta dei Diritti?

(Corrado Augias, la Repubblica, 30/1/2002)

L’intervento del Papa, infelice anche dal punto di vista del suo presunto “profetismo”, ha provocato un generalizzato soprassalto di laicità circa le regole che guidano e devono guidare la vita civile su temi tanto gravi come il matrimonio e il divorzio.
Non so se sia più significativo il dibattito di questi giorni in Italia o l’indifferenza che si registra nel resto dell’Europa. In quella Europa per la quale proprio il Papa rivendica sempre, in modo accorato, le radici cristiane senza capire che proprio quelle radici si sono trasformate oggi in ragioni laiche.
Irreversibilmente. In nessun ambito come in quello dei rapporti di sesso e della famiglia si registra questa trasformazione. E sfida in profondità l’idea di “natura” che ad essi è collegata. Dentro al pacchetto “radici cristiane dell’Europa”, invece, si nasconde un insieme di presunzioni e di pretese di regolamentazione della società civile, che sono legate a una visione della natura umana che contraddice profondamente all’evoluzione dello spirito europeo.

(Gian Enrico Rusconi, La Stampa, 31/1/2002)

DEVASTANTI

Nel recente discorso del Papa ai giudici della Rota romana - oggetto delle vivaci polemiche di questi giorni - è stato soprattutto un aggettivo a turbare le apparentemente tranquille coscienze degli esaltatori del divorzio: quel «devastanti» riferito alle funeste conseguenze delle rotture dei matrimoni.
E qui le parole di Giovanni Paolo II - apparse sorprendenti soltanto per i disinformati - altro non hanno fatto che prendere atto di una vastissima messe di studi delle scienze sociali. Nessun serio sociologo osa affermare che gli effetti del divorzio non siano, in generale, se non proprio “devastanti” certo negativi, inquietanti, a volte drammatici. E ciò per un triplice ordine di ragioni.
Non vi è da stupirsi che, sull’onda della divorzialità, si stia verificando una sorta di “orrore della durata”, una vera e propria allergia a impegni proiettati nel tempo e si preferiscano relazioni passeggere o casuali (il cui diffondersi, tuttavia, alla fine indebolisce la società ed erode il suo tessuto).

(Giorgio Campanili, Avvenire, 6/2/2002)

Il deputato gay dei Ds Franco Grillini ha affermato che «il riconoscimento di tutte le forme di famiglia, quelle gay comprese, rappresenta un elemento di stabilità molto più utile e democratico che non l’imposizione di rapporti ormai esauriti».

(il Manifesto, 30/1/2002)

CATTOLICI A ROTA LIBERA

Dalla pagina «Idee e confronti» dell’Avvenire di ieri la domanda più ricorrente: ma non è che si concede con troppa disinvoltura il matrimonio religioso a persone che cristiane lo sono appena di facciata?
Chiede apertamente un altro: «Perché non restringere le maglie dell’accesso al sacramento e così facendo difenderlo dalla banalizzazione e superficialità di cui è circondato?».
Altre lettere sottolineano l’importanza dei corsi preparatori alle nozze, non abbastanza approfonditi, ma alla fine la lamentela è ancora la stessa: quei corsi non sono selettivi, i parroci si accontentano anche se i fidanzati li frequentano solo perché obbligati, «la Chiesa deve avere il coraggio di ammetterlo».
Conclude monsignor Tonini: «I sacramenti sono fatti per l’umanità, ognuno porta ciò che ha. E poi, nelle confessioni, in quante persone che sembrano vuote o superficiali, si scoprono dei veri tesori. No, nessuna restrizione ai sì in Chiesa. La causa dei fallimenti dei matrimoni religiosi o no sta altrove, nell’aria che si respira di leggerezza, di non responsabilità. Figurarsi che c’è anche chi ha proposto le nozze a termine. Ma, dico, un marito, o una moglie, non si affitta».

(Serena Zoli, Il Corriere della Sera, 8/2/2002)