Risposta del giudice Tosti in merito all’interruzione delle udienze

Camerino, li 7 agosto 2005

All’Ill.mo Presidente del Tribunale di Camerino dott. Aldo Alocchi

CAMERINO

 

All’Ill.mo Presidente della Corte di Appello di Ancona

ANCONA

 

All’On.le Ministro di Giustizia

ROMA

 

All’Ispettorato del Ministero di Giustizia

ROMA

 

Al Procuratore Generale presso la

Corte di Cassazione

ROMA

 

Al Consiglio Superiore della Magistratura

ROMA

 

All’Ill.mo Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dell’Aquila dott. Alfredo Rossini

L’AQUILA

 

OGGETTO: Risposta alla nota 19.7.2005, prot. 1251, del Presidente del Tribunale di Camerino, avente per oggetto: «interruzione delle udienze da parte magistrato dott. Luigi Tosti».

 

Premetto e ricordo che nella mia qualità di giudice presso il Tribunale di Camerino ho iniziato dal 9 maggio scorso -dopo averlo espressamente preannunciato più volte- ad astenermi dalla trattazione della cause per legittima reazione contro gli atti di discriminazione religiosa posti in essere dall’Amministrazione della Giustizia ai miei danni. In particolare ho denunciato (e denuncio) che lo Stato italiano da un lato espone (e mi impone) il simbolo della religione cattolica (il crocifisso) nelle aule giudiziarie, in tal modo violando il principio supremo di laicità (e i conseguenti miei diritti di rango costituzionale) e, dall’altro, ha respinto (e respinge) immotivatamente le mie istanze di esporre i miei simboli religiosi nelle aule giudiziarie, quantomeno in applicazione del sacrosanto diritto all’eguaglianza (e alla non discriminazione a cagione del credo religioso) garantitomi (anche) dall’art. 3 Cost., nonché del mio diritto a manifestare la libertà di religione e a professare pubblicamente le mie ideologie religiose con la stessa estensione e la stessa ampiezza accordate ai «cattolici».

Dopo aver attuato quella che ritengo la legittima reazione nei confronti degli atti discriminatori -peraltro in perfetta conformità con i principi di diritto affermati dalla IV Sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 4273/2000 (imp.: Montagnana Marcello)- il Presidente del Tribunale di Camerino mi ha verbalmente proposto, più volte, il rimedio di «tenere le udienze nel mio studio». Ho immediatamente respinto questi inviti, rimarcandone gli aspetti «ghettizzanti» ed altamente lesivi della mia dignità, dal momento che «anche» i non cattolici dovrebbero avere gli stessi diritti e la stessa dignità umana che lo Stato italiano è solito accordare ai «cattolici» (in particolare: diritto all’eguaglianza, senza distinzione di fede o credo religioso, diritto alla libertà religiosa e diritto alla riservatezza).

Ciononostante, con nota 25.5.05, comunicatami il 26.5.05, sono stato invitato dal Presidente del Tribunale di Camerino a «tenere le udienze nella mia stanza o in altra priva di detto simbolo religioso». Ho respinto tale invito scritto con nota dello stesso giorno, rimarcandone ancora le connotazioni «ghettizzanti» e discriminatorie e ribadendo -ripeto: in piena conformità con quanto statuito dalla Cassazione penale nella sent. 4273/00- che la laicità va garantita rimuovendo i crocifissi da TUTTE le aule, e non da una sola aula o, addirittura, «confinando» i dipendenti non cattolici in «aule-ghetto».

A distanza di appena un giorno (27.5.05) l’Ill.mo Presidente della Corte di Appello Dorica, dopo aver rimarcato che gli organi competenti erano stati informati dell’astensione da me posta in essere e che le giustificazioni da me addotte e il mio comportamento sarebbero stati valutati nelle sedi opportune, proponeva al Presidente del Tribunale dott. A. Alocchi il rimedio, ritenuto congruo, di «allestire altro idoneo locale, diverso da quelli attualmente destinati ad aule di udienza, dove il dott. Tosti possa tenere quanto meno le udienze civili e di lavoro». Avendo già puntualmente risposto, il giorno precedente, all’analogo invito del Capo Ufficio, omettevo di replicare a questa proposta.

Tuttavia, a distanza di alcuni giorni apprendevo dal Cancelliere dell’Ufficio Esecuzioni immobiliari, Rag. Grillini Carla, che l’Amministrazione «stava allestendo nel Tribunale di Camerino un’aula senza crocifisso da destinare alla mia persona»: stante la gravità e l’offensività della notizia che mi veniva comunicata -che equivaleva all’allestimento nel Tribunale di Camerino di un’ «aula-ghetto» dove confinare il dipendente ebreo per motivi di discriminazione religiosa- liquidavo questa «chiacchiera», che circolava tra i dipendenti del Tribunale camerte, come una facezia spiritosa.

Tuttavia, leggendo ora la nota del 19.7.2005, recante il prot. n. 1251, apprendo che quella notizia era vera e che, cioè, è effettivamente «in allestimento una nuova aula di udienza al piano terra del palazzo di giustizia» e che in questa «nuova aula NON sarà apposto il crocifisso»: sicché mi si rivolge il formale invito a riprendere il normale corso delle udienze di mia spettanza e, in ogni caso, a comunicare le mie determinazioni.

Ciò premesso in fatto, rispondo alla nota in questione come segue.

  1. Innanzitutto rimarco, ancora una volta, che il Presidente Dott. Aldo Alocchi ha più volte condiviso, verbalmente, la mia richiesta di rimozione dei crocifissi dalle aule giudiziarie italiane e la conseguente azione giudiziaria da me intrapresa contro il Ministero di Giustizia. Ritengo, pertanto, che le finalità pragmatiche che il Presidente Dott. Alocchi intende conseguire -che sono quelle di evitare disservizi ai danni degli utenti- potrebbero essere più utilmente e più coerentemente perseguite in modo franco, cioè caldeggiando presso il Ministro di Giustizia l’accoglimento della mia richiesta di rimozione degli anacronistici crocifissi dalle aule giudiziarie: essere coerenti con le proprie opinioni non dovrebbe essere, infatti, un qualcosa di riprovevole o di cui vergognarsi.

  2. Un altro palese difetto di coerenza lo debbo cogliere nel fatto che l’Amministrazione giudiziaria italiana, dopo aver respinto la mia richiesta di rimozione dei crocifissi perché, a suo dire, «la circolare del Ministro Rocco, Ministero di Grazia e Giustizia, Div. III, del 29.5.1926 n. 2134/1867, sarebbe ancora in vigore in quanto non espressamente revocata o annullata», mi comunica, «ora», che «nella nuova aula in allestimento NON sarà apposto il crocifisso», pretendendo persino di connotare l’istituzione di questa «aula-ghetto» (dove si intende confinare il giudice ebreo!) come un atto di cui «assolutamente non si potrà dire che rappresenti una forma di discriminazione o di ghettizzazione».

La contraddittorietà del comportamento della Pubblica Amministrazione è a dir poco eclatante e tradisce la capziosità dell’espediente che si intende porre in atto: non si capisce e non si giustifica, infatti, per quale oscuro motivo la P.A. -che ha sino ad oggi caparbiamente sostenuto la «persistente vigenza» della circolare fascista che impone l’ostensione dei crocifissi nelle aule- ritenga «ora» di non doverla applicare per la «nuova aula»! Forse -mi chiedo- esiste una qualche motivazione giuridica per la quale la nuova aula del Tribunale di Camerino dovrebbe essere esonerata dall’applicazione della circolare del Ministro Rocco?

Attendo, sul punto, un’esplicito chiarimento. Nel frattempo denuncio questa palese incoerenza nel comportamento della P.A., che sottintende il capzioso intento di mascherare come atto «neutro» quello che, in realtà, si profila come un vero e proprio atto di discriminazione religiosa. Se la circolare fascista è infatti ancora in vigore -come afferma la P.A.- a quest’ultima non rimane altra alternativa che applicarla «anche» per la nuova aula che, tra l’altro, sostituirà l’aula del terzo piano «che dovrà essere smantellata per esigenze di cancelleria»: la «coerenza» impone che la P.A. stacchi dalla parete dell’aula del terzo piano il crocifisso, ivi esistente, e lo riappenda sulla parete della «nuova» aula.

  1. Altra incoerenza di rilievo la colgo nel fatto che questa proposta ghettizzante sarebbe motivata dall’ «assoluta necessità di garantire una ripresa regolare delle udienze e di non pregiudicare le superiori esigenze dei cittadini». Ebbene, mi corre l’obbligo di rammentare che è stato lo scrivente che ha inoltrato al TAR delle Marche, dinanzi al quale pende il ricorso proposto per la rimozione dei crocifissi da tutte le aule giudiziarie, un’apposita istanza cautelare, espressamente motivata dall’esigenza di evitare disservizi ai cittadini: orbene, rammento che l’Avvocatura di Stato si è opposta alla mia istanza di rimozione in via di urgenza del Crocifisso e che, poi, il TAR l’ha respinta ritenendo che la mia preannunciata astensione dalle udienze «non determinava pregiudizi gravi e irreparabili».

E allora? Non è contraddittorio che la P.A., dopo aver negato l’esistenza di un pregiudizio grave e irreparabile, sostenga, ora, l’esattezza di quanto da me sostenuto, e cioè che il rifiuto di tenere le udienze a causa dell’imposizione del crocifisso avrebbe determinato pregiudizi (anche) agli utenti?

  1. Altra incoerenza di notevole rilievo la colgo nel fatto che la Pubblica Amministazione -e più precisamente il Ministro dell’Interno- ha affermato, nella nota 27.1.2001 prot. F/6366, che la sentenza n. 4273/2000 della IV Sezione non avrebbe affermato (per carità!!!) che i crocifissi debbano essere rimossi dalla P.A., ma «soltanto» che «i pubblici funzionari possono rifiutarsi, per libertà di coscienza, di adempiere il loro ufficio a causa della presenza dei crocifissi». Anche qui mi chiedo «come mai», dopo che io mi sono pedissequamente adeguato a questi «insegnamenti» impartiti dal Ministro dell’Interno, la P.A. insorga contro il mio «comportamento». Non è stato forse il Ministro dell’Interno a sancire che «i dipendenti si possono rifiutare di espletare le loro mansioni a causa della presenza dei crocifissi negli uffici pubblici»??

Orbene, se questa è la riduttiva intepretazione che si vuole dare alla sentenza n. 4273/2000 della Cassazione penale (n.b.: al deliberato scòpo di sottrarre l’Amministrazione all’obbligo di rimuovere i crocifissi da tutti i luoghi pubblici), mi chiedo perché mai la P.A. «si lamenti» ora del mio comportamento -al punto da sollecitare azioni penali, disciplinari e via dicendo- quando esso è in realtà perfettamente conforme agli insegnamenti impartiti dalla nota 27.1.2001 del Ministro dell’Interno.

  1. L’incoerenza più grave la ravviso, comunque, nella deliberata ed immotivata violazione dei principi giuridici affermati sia dalla Cass. penale nella sent. n. 4273/00 che dalla Corte Costituzionale. Mi piace evidenziare che nella mia qualità di magistrato di merito ho sempre ritenuto doveroso rispettare gli insegnamenti della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale: mi è stato insegnato che i magistrati di merito hanno l’obbligo di osservarli, salvo che essi dissentano motivatamente. Uno dei principi fondamentali della Giurisdizione è infatti quello che ai supremi giudici di legittimità è riservata in via esclusiva la funzione nomofilattica: i giudici di merito possono sì discostarsi dagli indirizzi giurisprudenziali, ma solo se ne dissentano motivatamente.

Ebbene, sono costretto a ricordare, per l’ennesima volta, che la Cassazione penale, richiamando peraltro la giurisprudenza della Corte Costituzionale, ha espressamente affermato nella sentenza n. 4273/00 che la circolare fascista del 29.5.1926 n. 2134/1867 è da ritenere implicitamente abrogata ex art. 15 delle preleggi, perché incompatibile col principio supremo della laicità dello Stato, perché incompatibile col diritto all’eguaglianza dei cittadini senza distinzione di religione, perché incompatibile col diritto di libertà religiosa.

La motivazione della Corte sul punto è tanto logica quanto banale: se l’ostensione del crocifisso poteva infatti ritenersi «legittima» allorché lo Stato italiano era «confessionale» -cioè allorché «anche» lo Stato poteva «professare pubblicamente» la religione cattolica- non può più esserlo oggi, dal momento che la Carta Costituzionale del 1948 ha delineato uno Stato laico, cioè uno Stato che -come costantemente sentenziato dalla Corte Costituzionale- deve essere equidistante, imparziale e neutrale nei confronti di tutte le religioni ed al quale, dunque, è proibito «professare» pubblicamente UNA religione.

Non è un caso che la norma costituzionale che consacra il «diritto di professare una religione» -cioè l’art. 19- riserva tale diritto esclusivamente alle persone fisiche, sia in forma individuale che in forma associata. Pertanto lo Stato, le Regioni, i Comuni e gli altri enti pubblici non possono «professare pubblicamente una religione», perché non rientrano nell’ambito delle «associazioni costituite da gruppi di cittadini per professare, propagandare o esercitare culti religiosi».

Orbene, è sintomatico che la P.A. abbia obliterato ed obliteri tuttora la sentenza della Cassazione penale n. 4273/00 (e le sentenze della Corte Costituzionale affermative del «principio supremo della laicità»), senza minimamente spiegare quali siano i supposti «errori interpretativi» in cui la Cassazione e la Corte Costituzionale sarebbero mai incappati allorché si è (tra l’altro) affermato che la circolare fascista del ministro Rocco deve intendersi abrogata implicitamente ex art. 15 preleggi. E l’incoerenza balza ancor più evidente se si considera che la circolare del Ministro Rocco -che si afferma pienamente in vigore «perché non espressamente revocata o annullata»- viene però deliberatamente disapplicata per ciò che concerne l’obbligo di esporre l’immagine del Re, anch’esso imposto dalla circolare.

Queste incoerenze dimostrano che la P.A. non osserva né le leggi né le sentenze della Cassazione e della Corte Costituzionale, ma si comporta in maniera arbitraria e dispostica.

  1. Ribadisco per l’ennesima volta, poi, che la Cassazione penale ha anche affermato che l’obbligo del rispetto del principio di laicità da parte dello Stato implica che i crocifissi vengano rimossi da tutte le aule giudiziarie, e non soltanto dall’aula dove si vorrebbe confinare lo scrivente: la proposta che mi viene elargita è dunque da respingere anche per questo motivo.

  2. Debbo poi nettamente respingere l’affermazione secondo cui «la nuova aula di udienza sarà a disposizione di tutti i magistrati del Tribunale di Camerino, e quindi non si potrà assolutamente dire che essa rappresenti una forma di discriminazione o di «ghettizzazione» nei miei confronti».

Al contrario, debbo rimarcare che questa proposta -al di là della bontà degli intenti perseguiti- si risolve in una vera «ghettizzazione» ai danni del «diverso», cioè del «non cattolico». Infatti, la circostanza che i giudici «cattolici» del Tribunale di Camerino possano frequentare, oltre alle aule «ufficiali» destinate alla loro «superiore religione», anche l’aula-ghetto in allestimento per il giudice ebreo, non è un argomento valido per escluderne le connotazioni discriminatorie. Basterebbe rammentare che anche i cattolici, «inventori» sin dal 1215 d.C. dei «ghetti» nei quali furono confinati gli ebrei, ed anche i cristiani-nazisti, «inventori» dei lager nei quali trucidarono gli ebrei, avevano anch’ essi la facoltà di frequentare tali «luoghi» di «segregazione criminale»: non per questo, però, qualcuno potrebbe affermare che i ghetti e i lager non siano stati luoghi di criminale segregazione.

In ogni caso, per tagliare la testa al toro ed avere l’immediato e concreto riscontro della sincerità dell’affermazione che mi viene propinata come «assolutamente vera», dichiaro la mia assoluta disponibilità a riprendere immediatamente la trattazione delle udienze, purché l’Amministrazione inverta i termini della proposta, e cioè provveda a sostituire gli attuali crocifissi con altrettante menorà ebraiche nelle aule «ufficiali», escludendo qualsiasi addobbo religioso solo per la «nuova» aula in allestimento.

Resto dunque in attesa di verificare la sincerità della proposta attraverso il riscontro positivo di questa mia controproposta: nell’ipotesi, infatti, in cui essa venga respinta, sarò senz’altro legittimato a ritenere che la proposta che mi viene elargita è in realtà un atto di discriminazione religiosa che offende i miei diritti e la mia dignità di essere umano.

  1. Da ultimo mi preme evidenziare gli aspetti tecnici -che reputo a dir poco grotteschi e ridicoli- che scaturirebbero dalla soluzione prospettata. La pratica di allestire aule-ghetto, infatti, crererebbe problematiche irrisolvibili, sia in relazione ai diversi credo o fedi religiose dei dipendenti della Pubblica amministrazione che in relazione alla contestualità delle funzioni esercitate dagli stessi.

Ad esempio mi chiedo: quale sarebbe l’aula da destinare ai giudizi «collegiali»? Forse quella dei giudici cattolici, addobbata col crocifisso, o quella dei giudici ebrei o islamici, rigorosamente prive di simboli? E come dovrebbero essere tutelati, poi, i pari diritti dei pubblici ministeri e di tutto l’altro personale ausiliario non cattolico?

Queste conseguenze grottesche dovrebbero indurre i raziocinanti a disporre una volta per tutte la rimozione degli anacronistici crocifissi, così eliminando l’illegale privilegio di cui godono i cattolici.

Per tutti i motivi sin qui esposti, dunque, mi vedo costretto a respingere fermamente la proposta di cui alla nota del 19.7.2005.

Mi corre altresì l’obbligo di ribadire per l’ennesima volta che, sino a che non saranno concretamente eliminati gli atti di discriminazione religiosa posti in essere dalla P.A. (e questo potrà avvenire soltanto attraverso la rimozione di tutti i crocifissi da tutte le aule giudiziarie italiane o esponendo tutti gli altri simboli religiosi in tutte le aule) io mi rifiuterò di riprendere la trattazione delle udienze.

Ribadisco che la mia legittima reazione contro gli atti che ledono i miei diritti non è un caso di «obiezione di coscienza» (non mi rifiuto, infatti, di tenere le udienze perché ritengo che ciò contrasti con miei convincimenti morali), ma integra un’ipotesi di «libertà di coscienza» secondo gli stessi paradigmi sanciti dalla Corte di Cassazione nella sentenza Montagnana: il mio rifiuto dipende soltanto dalle modalità di svolgimento delle udienze e dall’ambiente non neutrale nel quale sono costretto ad operare, che determinano la violazione del principio supremo di laicità dello stato e, quindi, dei miei diritti costituzionali all’eguaglianza senza distinzione di religione, alla libertà di opinione religiosa ed alla riservatezza delle opinioni.

Il «problema» del «giudice ebreo» non potrà essere risolto dalla Pubblica Amministrazione italiana con la creazione di «aule-ghetto» ma, semmai, eliminando il giudice ebreo. E se l’eliminazione fisica, egregiamente praticata dai cristiani sino al recente olocausto, sembra passata di moda, suggerisco che si potrebbe far ricorso all’istituto della «dispensa» del giudice ebreo, previsto dall’art. 20 del Decreto legge 17.11.1938 n. 1728: rimarco, infatti, che ricorre nella fattispecie sia il requisito soggettivo previsto dall’art. 8, lett. d, («è considerato di razza ebraica colui che…..abbia fatto, in qualsiasi altro modo, manifestazioni di ebraismo») che il divieto di legge prescritto dall’art. 13, lett. a, stesso decreto («Non possono avere alle proprie dipendenze persone appartenenti alla razza ebraica: a) le Amministrazioni civili e militari dello Stato…»). Ipotetici dubbi sull’attuale vigenza di tale normativa italiana potranno essere subito fugati con l’analoga considerazione giuridica che «si tratta di norme tuttora vigenti, in quanto né revocate o modificate, né annullate per illegittimità».

Restano ovviamente praticabili anche le consuete procedure disciplinari, di trasferimento per incompatilbità ambientale e di rimozione dalla magistratura, che sono già state caldeggiate da alcuni.

Dal momento che sono stato estremamente trasparente nella conduzione della mia lotta civile (ho sempre giocato a carte scoperte) mi preme ribadire che non è mio intendimento recedere dai miei propositi né, tantomeno, soggiacere ad intimidazioni di sorta. Per essere ancor più esplicito, chiarisco che, se le battaglie legali in corso dovessero terminare infruttosamente, adirò la Corte Europea dei diritti dell’uomo contro gli atti di discriminazione religiosa, evocando l’applicazione degli artt. 9, 14 e 17 della Convenzione. Nel frattempo seguiterò a rifiutarmi ad oltranza di espletare le mie funzioni pubbliche di giudice in nome di un Dio, in nome di un idolo e in nome di una religione che mi vengono imposti dallo Stato e nei quali non solo non mi identifico minimamente, ma dai quali dissento apertamente per le gravissime e criminali implicazioni contro l’umanità, legate alla nefasta storia plurimillenaria della Chiesa Cattolica.

Ho giurato fedeltà al Popolo Italiano ed alla Repubblica Italiana e, pertanto, mi identifico soltanto nella bandiera tricolore e nel ritratto del Presidente della Repubblica: aborro adorare o venerare idoli creati dall’uomo e non intendo rinunciare a far uso del mio cervello.

 

Copia della presente inoltro al Presidente del Tribunale, al quale reitero l’invito ad addobbare le aule con le effigi del Re, in ottemperanza della circolare fascista, oppure a farmi conoscere quali siano le motivazioni per le quali questo atto amministrativo interno, che si dichiara non essere stato né revocato o modificato, né annullato per illegittimità, viene disapplicato su questo punto.

Dal Presidente del Tribunale attendo anche una risposta chiarificatrice circa le motivazioni giuridiche per le quali nella nuova aula non sarà esposto il simbolo del Crocifisso, contravvenendo alla circolare fascista che impone invece tale addobbo.

Attendo ovviamente una risposta in merito all’accoglimento o meno della mia controproposta di sostituire nelle aule ufficiali i crocifissi con la menorah e di far rimanere «neutrale» la nuova aula, la quale potrà dunque essere utilizzata dai giudici cattolici pur rimanendo a disposizione di tutti gli altri giudici di fede o credo diversi.

Altre copie inoltro al Presidente della Corte d’Appello, al Ministro e al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione quale informativa dei fatti suscettibili di valutazioni amministrative ai miei danni, contestualmente invitandoli all’acquisizione di tutti i carteggi e di tutti gli atti, anche giudiziari.

Altra copia inoltro all’Ispettorato del Ministero di Giustizia -che mi ha già indagato per la questione del crocifiso- chiedendo allo Stesso di poter accedere immediatamente ai relativi fascicoli ed, eventualmente, estrarne copia.

Altra copia inoltro al Consiglio Superiore della Magistratura al quale pongo i seguenti quesiti:

  1. se i magistrati italiani godano, nell’ambito dell’esercizio delle loro mansioni e funzioni giurisdizionali e in relazione alle loro fedi e credo religiosi, di identici diritti, oppure se i giudici «cattolici» siano superiori a tutti gli altri e, quindi, possano beneficiare del privilegio di esercitare le loro funzioni in aule connotate, pubblicamente e in via esclusiva, della «cristianità» che promana dal loro crocifisso;

  2. quali siano i motivi giuridici per i quali ai magistrati «diversi» dai cattolici sia precluso il pari diritto di connotare le funzioni giurisdizionali con i propri simboli religiosi;

  3. quali debbano essere le concrete modalità di esercizio delle funzioni giurisdizionali -e quali debbano essere gli adattamenti procedurali e logistici- per consentire il contemporaneo svolgimento di attività giurisdizionali da parte di magistrati di fedi o ideologie religiose differenti;

  4. quali siano i criteri che il CSM intende adottare -in occasione delle tappe della vita professionale dei magistrati- circa la valutazione dei periodi di astensione dalle udienze, che alcuni magistrati sono stati costretti ad attuare per reazione legittima contro atti di discriminazione religiosa.

Ultima copia, infine, inoltro al Procuratore della Repubblica de L’Aquila, presso cui pendono procedimenti penali per omissione d’ufficio, al quale, in considerazione della cristallina pacificità dei fatti sottoposti al Suo giudizio, rivolgo il cortese invito a chiudere la fase delle indagini preliminari o con una richiesta di archiviazione (in tal modo applicando gli insegnamenti impartiti dalla Cassazione penale nella sentenza Montagnana) oppure con una richiesta di rinvio a giudizio, per la quale manifesto sin d’ora la mia adesione.

Il mio interesse ad una sollecita definizione della pendenza penale scaturisce dal fatto che, ove si addivenga ad un’archiviazione sulla base dei principi affermati dalla Cassazione penale, sarà mia cura attivare nuovo ricorso per ottenere la rimozione dei crocifissi in via d’urgenza: e questo al fine di garantire la ripresa immediata delle udienze, sia nel mio interesse che nell’interesse dei cittadini.

Allego:

  1. lettera 25.5.2005 prot. 18/Int del Presidente dott. Aldo Alocchi;

  2. lettera di risposta 26.5.2005 a firma Tosti Luigi;

  3. nota Presidente della Corte di Appello di Ancona del 27.5.2005;

  4. lettera 19.7.2005 prot. 1251 del Presidente dott. Aldo Alocchi.

Distinti saluti
Luigi Tosti