di Stefano Ceccanti
La Consulta preferisce non decidere per non farsi crocifiggere al crocifisso
Per ora restano nelle scuole, ma si annuncia l’anarchia giudiziaria dei ricorsi
Per ora i crocifissi restano nelle scuole, ma è solo un effetto momentaneo dell’ordinanza della Corte, che non esclude affatto incursioni giudiziarie in senso opposto. Quasi tutti i commentatori hanno quindi travisato la scelta della Corte, che non ha affatto deciso che le norme relative al crocifisso siano conformi alla Costituzione. Ha semplicemente deciso di non decidere, di allontanare da sé l’amaro calice, per non essere crocifissa. Ha infatti emesso un’ordinanza molto stringata in cui dice che si tratta di norme regolamentari (norme secondarie nella gerarchia delle fonti) su cui essa è incompetente, giacché deve solo controllare le norme primarie (leggi e atti aventi forza di legge). Avrebbe potuto superare questo ostacolo? Sì, perché avrebbe potuto sostenere la tesi che quelle norme secondarie poggiano e specificano altre norme di legge; ma, superata quella soglia, avrebbe poi avuto di fronte a se tre strade, tutte esplosive: sostenere che le norme sono perfettamente costituzionali esponendosi a critiche “laiche” non inconsistenti (norme confessionalistiche degli anni ’20 potrebbero passare indenni di fronte alla nuova Costituzione e al Nuovo Concordato?); affermare il contrario e far rimuovere i crocifissi dando grande forza alla propaganda teo-con (colpire Buttiglione è un conto, il crocifisso un altro); riscrivere lei le norme con qualche sentenza manipolativa, ma a prezzo di apparire come un commissario del Parlamento. Personalmente avrei ritenuto quest’ultimo il male minore, ma capisco bene la cautela della Corte.
Non è così chiaro che cosa accadrà ora, tranne il momentaneo mantenimento dei crocifissi. Infatti, cosa succederà se un cittadino ricorrerà a un giudice chiedendo di disapplicare per i più vari motivi quelle norme regolamentari? Anzitutto il problema è: a quale giudice si può ricorrere? A uno amministrativo (come avevano fatto a Padova) o a uno ordinario (come accaduto nel precedente e più celebre caso de L’Aquila)? La domanda non è accademica, ma può portare a esiti diversi: sappiamo che la giustizia amministrativa nella sua sede più elevata (il Consiglio di Stato) si è già pronunciata in senso favorevole al mantenimento del crocifisso; viceversa la giustizia ordinaria è notoriamente più pluralista al proprio interno. Da qui in avanti, pertanto, è ragionevole immaginare che coloro che vogliano la rimozione dei crocifissi tempestino di ricorsi i giudici ordinari, lasciando perdere quelli amministrativi. È legittimo farlo? Qui le cose si complicano ancora di più: la legge 205 del 2000 aveva affidato per intero il contenzioso relativo ai servizi pubblici (tra cui la scuola) ai giudici amministrativi. Tuttavia la sentenza 204 di quest’anno della Corte costituzionale ha rimesso in questione tale scelta, stabilendo che laddove vi siano diritti soggettivi la competenza spetta alla giustizia ordinaria, mentre a quella amministrativa spetta decidere sugli interessi legittimi.
Trattandosi qui di libertà religiosa dovrebbe quindi essere competente il giudice ordinario. La cosa più probabile è quindi il proliferare di ricorsi di fronte a questi ultimi, con conflitti di competenza rispetto a quelli amministrativi su cui dovrebbe intervenire la Corte di Cassazione. Sul tempo medio e lungo l’esito dovrebbe essere quello di un’anarchia giudiziaria sia rispetto al merito sia alle competenze. In un paese normale interverrebbe il Parlamento con legge, ma anch’esso rischia di trovarsi divaricato tra spinte opposte, tra intransigentismi incrociati, così come sarebbe accaduto alla Corte. Per di più rischierebbe di essere smentito dalla Corte che, a quel punto, su una norma primaria, non potrebbe non esprimersi. A meno che il Parlamento, per evitare l’anarchia giudiziaria, non scelga responsabilmente la via bavarese, quella di una differenziazione delle soluzioni lasciata ai singoli istituti scolastici, alla loro autonomia; in Baviera, dopo una sentenza della Corte costituzionale, i crocifissi di norma rimangono ma possono essere rimossi in presenza di una richiesta debitamente motivata in tal senso. Meglio una differenza scelta dalle comunità, che una affidata alla supplenza giudiziaria.
Ma questa razionalità potrà forse essere capita solo dopo che saranno scoppiati i primi conflitti: prima di allora faranno in molti finta che il problema sia superato, facendo proprio lo slogan di Henri Queille, uomo-chiave della Quarta Repubblica francese: «Bisogna differire la soluzione dei problemi finché essi abbiano perso la loro importanza». Peccato che, come dimostra la stessa sorte della Quarta Repubblica, non tutti i problemi perdano importanza col tempo, ma siano anzi destinati a riesplodere con maggiore virulenza. Ne riparleremo, credo.
Il Riformista, giovedì 16 dicembre 2004