Il problema dell’inizio vita, la libertà di cura, la libera ricerca

di Rosario Gulino

Leggendo l’articolo di Francesco D’Alpa sul tema del fine vita, pubblicato sul numero 3/2009 (63) dell’Ateo, a proposito di battaglie per la vita e di difesa della persona, ho pensato subito all’altra faccia della medaglia, ovvero il tema dell’Inizio vita. Francesco D’Alpa ha fatto notare come la Chiesa cattolica abbia esteso il concetto di persona anche ai corpi non più dotati di una vita cerebrale. Sul rovescio della medaglia, tale estensione è diventata, se possibile, ancora più estrema, pretendendo di considerare persona anche un’entità biologica che non solo non è ancora dotata di una vita cerebrale; non solo non ha alcuna sembianza umana, ma non possiede ancora nemmeno una struttura pluricellulare, trattandosi di una singola cellula: lo zigote (l’ovocita fecondato), che di umano ha solo il codice genetico. E qui l’attribuzione dello statuto di persona diventa ancora più risibile, se si pensa che, addirittura, una tale persona unicellulare, non solo può arrestare il suo sviluppo, come succede a gran parte degli ovociti fecondati (a causa di errori o difetti manifestatisi nelle prime fasi dello sviluppo), ma può, con una certa frequenza, diventare anche due persone (gemelli omozigoti). Il paradosso crudele è che, nel voler considerare persona una tale entità, la legge 40/2004 ha istituito un sistema giuridico discriminatorio nei confronti di coloro che persone lo sono fuor di dubbio, come le persone infertili, le coppie portatrici di malattie genetiche che vorrebbero evitare di trasmetterle ai figli, i pazienti affetti da malattie neurodegenerative, i malati di cancro, gli infartuati e tante altre persone che potrebbero usufruire delle enormi potenzialità offerte dalle cellule staminali. Non sto saltando di palo in frasca, ma voglio proprio far notare che il campo della procreazione assistita e quello della ricerca sulle cellule staminali embrionali hanno subito la stessa sorte infelice dopo l’approvazione della legge 40, proprio perché legate a un’entità comune, posta al centro dell’attenzione dei clericalisti e del legislatore: l’embrione.

L’embrione

Per un biologo è lo stadio dello sviluppo che va dalla fecondazione al completamento dello sviluppo degli organi. Secondo l’attuale posizione clericale (e purtroppo anche legislativa), l’embrione appena formato (in provetta) dev’essere considerato un soggetto debole da tutelare anche a discapito della salute della madre (tranne casi gravi) e anche più del feto, che invece secondo la legge può essere anche abortito (ovviamente non secondo la Chiesa). Fortunatamente la Corte Costituzionale è intervenuta cancellando alcuni dei commi più ingiustificati e pericolosi e, in particolare: (1) il divieto di produrre più di tre embrioni; (2) l’obbligo di trasferire in utero tutti gli embrioni formatisi, anche se malati (col rischio di gravidanze plurigemellari e con terribili afflizioni psicologiche per la madre); (3) il divieto di crioconservazione degli embrioni, che nella legge originaria era ammesso solo in attesa del trasferimento in utero, da effettuare comunque non appena possibile. Con la caduta di questi paletti la legge è diventata un po’ meno oltraggiosa per la salute e per la dignità della donna, ma resta comunque intatta nell’impianto moralistico, profondamente ideologico e restrittivo per la ricerca e per la libertà di cura. Rimane per esempio in piedi il divieto di fecondazione eterologa, costringendo i pazienti ad andare all’estero. Rimangono in piedi anche le norme che vietano l’utilizzo degli embrioni extra-numerari per la ricerca e, quindi, resta vietata la produzione di cellule staminali embrionali umane, mentre non è vietata la ricerca se le cellule sono importate dall’estero: un bellissimo esempio di legge ponzio-pilatesca.

Le cellule staminali

Sono cellule del corpo aventi la funzione di moltiplicarsi e/o di differenziarsi, trasformandosi in uno dei tanti tipi di cellule specializzate che costituiscono i vari organi e tessuti. Queste cellule si trovano in ogni organo e in tutte le fasi dello sviluppo di un organismo.

Le cellule che costituiscono l’embrione nelle primissime fasi dello sviluppo si possono definire cellule staminali totipotenti, per via del fatto che possono dar vita a uno qualunque delle migliaia di tipi cellulari che costituiscono un organismo e, se staccate dalla massa dell’embrione, possono anche generare un intero individuo. Col procedere dello sviluppo embrionale, le cellule perdono la totipotenza ma sono ancora pluripotenti, cioè possono essere indotte a formare qualunque tipo cellulare ma non più un intero individuo. È in questa fase che esse possono essere isolate dall’embrione e coltivate in vitro, ai fini di studiarne le proprietà e le possibili applicazioni terapeutiche.

Quando inizia l’organogenesi, all’interno di ciascun organo si trovano cellule staminali che ne alimentano la crescita. Queste cellule non sono più pluripotenti ma si dicono multipotenti, cioè in grado di proliferare e di trasformarsi soltanto nei tipi cellulari che costituiscono l’organo in cui risiedono. Queste cellule staminali si trovano anche nell’organismo adulto che ha completato lo sviluppo, e in tal caso si chiamano cellule staminali adulte. La loro funzione fisiologica è quella di mantenere la funzionalità dell’organo sostituendo le cellule morte e riparando eventuali danni traumatici. Ma non sempre, e non in tutti gli organi, esse sono in grado di farlo in modo efficiente.

Potenzialità e problematiche relative alle cellule staminali embrionali

Le cellule staminali embrionali possono essere coltivate in vitro e amplificate in modo da ottenerne una quantità teoricamente infinita. Data la loro pluripotenza, dopo opportuno differenziamento in vitro esse sarebbero teoricamente utilizzabili come ricambi per riparare qualunque tessuto od organo danneggiato da una malattia o un trauma. Ripeto la parola “teoricamente” perché queste applicazioni sono solo in minima parte vicine all’impiego clinico. Occorre chiaramente investire moltissimo nella ricerca, prima di tutto per capirne bene i meccanismi di differenziamento e il comportamento dopo trapianto nel tessuto danneggiato. Ma tanti passi avanti sono stati già fatti, soprattutto negli studi preclinici sugli animali: per esempio si è riusciti a ottenere cellule staminali neurali e anche neuroni maturi potenzialmente utili per la cura delle malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson o di Alzheimer, o la sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Inoltre, la biotecnologia delle cellule staminali embrionali offrirebbe il grande vantaggio di poter ottenere cellule geneticamente identiche al paziente, evitando così il problema del rigetto. E ciò sarebbe possibile grazie alla tecnologia della clonazione terapeutica, termine utilizzato a sproposito per incutere diffidenza verso gli scienziati, ma che non ha nulla a che fare con la clonazione riproduttiva. Per clonazione terapeutica si intende la sostituzione del DNA di una cellula uovo con il DNA del paziente e la successiva induzione dello sviluppo embrionale fino allo stadio di sviluppo in cui è possibile prelevare le cellule staminali.

Ma gli studi sulle cellule staminali embrionali umane sono bloccati, in Italia, per via della legge 40/2004 e di un referendum che è fallito anche a causa di una propaganda vergognosamente menzognera e senza fondamento scientifico, che definiva le staminali embrionali come pericolose (perché non si riesce a controllarne il differenziamento) e inutili (perché gli stessi risultati attesi per le embrionali si possono ottenere con le staminali adulte). Falsa la prima affermazione perché superabile grazie alla ricerca e falsa anche la seconda per i motivi che illustrerò fra poco. Inoltre, la principale obiezione all’uso delle staminali embrionali era rappresentata dal fatto che per ottenerle bisogna sacrificare degli embrioni umani, senza però che il legislatore abbia deciso nulla a proposito delle migliaia di embrioni extra-numerari già donati alla ricerca o comunque destinati alla distruzione.

Per aggirare questi problemi etici, alcuni ricercatori si sono industriati per ottenere cellule staminali pluripotenti come le embrionali, da fonti diverse dall’embrione. Così, alcuni studi (poco replicati e molto controversi) hanno dimostrato la possibilità di isolare cellule pluripotenti dal liquido amniotico. Altri hanno dimostrato di poter riprogrammare delle cellule mature tramite l’inserimento di geni responsabili della pluripotenza. Tuttavia, per ammissione degli stessi autori, l’efficienza di questo processo di de-differenziamento è bassa, e restano da risolvere i problemi relativi al controllo dell’attività di questi geni “esogeni”. Anche a rigor di logica, sebbene questi altri approcci vadano incoraggiati, è difficile produrre cellule staminali embrionali per altre vie, quando ancora la ricerca non ha raggiunto la piena conoscenza del funzionamento delle staminali embrionali vere e proprie.

Potenzialità e limiti applicativi delle staminali adulte

Per fare degli esempi, sono cellule staminali adulte: le cellule staminali ematopoietiche, che formano tutti gli elementi cellulari del sangue (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine, ecc.); le cellule staminali mesenchimali, che formano le cellule del tessuto osseo e cartilagineo, e degli altri tessuti connettivi; le cellule satelliti del muscolo scheletrico, che servono a formare nuove fibre muscolari; le cellule staminali epiteliali della pelle e delle mucose; le cellule staminali neurali, che formano le cellule che costituiscono il tessuto nervoso (neuroni e cellule gliali). Un altro tipo particolare di staminali adulte sono le cellule staminali cordonali, cioè quelle ottenibili dal sangue del cordone ombelicale.

Le staminali adulte riscuotono un grande interesse nel mondo della ricerca, per due motivi principali: (1) non presentano particolari problematiche etiche; (2) sono relativamente più facili da controllare rispetto alle embrionali, in quanto il loro spettro differenziativo è più limitato.

Esistono due principali filoni di ricerca sulle cellule staminali adulte. Il primo consiste nel prelevare le cellule, coltivarle in vitro e utilizzarle per eventuali trapianti nei pazienti o per produrre tessuti in vitro. Ad esempio, le cellule ematopoietiche si possono utilizzare nei pazienti affetti da tumori del sangue, così come si possono utilizzare trapianti di cellule staminali per riparare il tessuto cardiaco danneggiato da un infarto. L’altro approccio invece consiste nel cercare di indurre le cellule staminali endogene (cioè quelle che si trovano normalmente all’interno degli organi) ad attivarsi in maniera più efficiente rispetto a quanto sanno fare in condizioni normali, in modo da potenziare le capacità di riparazione spontanea.

Bellissimo! Allora ci si potrebbe chiedere: come mai i ricercatori continuano a insistere sulla necessità di finanziare la ricerca sulle staminali embrionali? Risposta: primo, gli scienziati non possono, in coscienza, scegliere di abbandonare completamente una linea di ricerca promettente solo perché ci sarebbero alternative teoriche, rinunciando così, prima di tutto, alla conoscenza e, in secondo luogo, ad accelerare il raggiungimento di possibili applicazioni terapeutiche. Soprattutto se una tale scelta dovesse discendere soltanto da motivazioni di carattere religioso. Secondo, affermare che le cellule staminali adulte rappresentino un’alternativa alle embrionali è un falso scientifico, sia per le motivazioni già dette in precedenza, sia per la semplice ragione che non ci sono fonti sufficientemente abbondanti di cellule staminali adulte. Perché se è vero che quelle del sangue si possono ottenere in grande quantità, ciò non è altrettanto vero per le cellule staminali neurali, che devono essere prelevate direttamente dal cervello, e non sono certamente sufficienti le piccole quantità di tessuto prelevabile con le biopsie o in seguito a interventi chirurgici, per di più su tessuti patologici: allora chi si offre volontario? Per ovviare a questo problema, qualche studio ha cercato di riprogrammare le staminali adulte in modo da indurle a diventare cellule diverse rispetto al loro naturale destino. Ma questo approccio, al momento, non sembra molto promettente. Un altro problema non indifferente è quello della compatibilità di queste cellule con il paziente, con i conseguenti problemi di rigetto. In questo senso, abbastanza promettenti potrebbero essere gli studi sulle cellule staminali del cordone ombelicale che, oltre a essere un po’ più versatili di quelle più adulte, si possono anche prelevare e conservare per l’uso autologo, oltre che, ovviamente, essere donate. Per queste ragioni, se da un lato la ricerca sugli animali da laboratorio procede velocemente, dall’altro l’applicazione terapeutica tarda ad arrivare.

Conclusioni

Tutte le ipotesi e le problematiche scientifiche, nonché i metodi teorici e sperimentali per verificarle e risolverle sono, dal punto di vista degli scienziati, legittimi. Esiste poi, nella comunità scientifica, un sistema di selezione naturale che premia le ricerche vincenti (promettenti e replicabili) e boccia quelle che invece non sembrano avere sbocchi (poco replicabili o addirittura smentite). È tuttavia giusto che uno Stato abbia delle normative che regolino la sperimentazione e programmi che stabiliscano quali sono le ricerche da privilegiare. Ma queste scelte non dovrebbero essere fatte sulla base di ideologie politiche o religiose di parte. La libertà di cura e la libera ricerca dovrebbero essere “sacrosante” e affidate ai medici e ai ricercatori, i quali non vivono nella giungla, ma hanno un loro codice deontologico. Questo codice deontologico si basa più sulla legge naturale (non quella propinata dal papa) che sulle regole morali cattoliche, che i clericalisti si ostinano a definire “condivise”, o peggio ancora “di maggioranza” e quindi imponibili a tutti come se si trattasse delle norme del codice della strada.

L’autore

Rosario Gulino vive a Catania, dove lavora come ricercatore precario all’Università. Nella sua attività di ricerca si occupa principalmente dello studio delle lesioni del midollo spinale e di possibili terapie sperimentali rigenerative. In tale contesto si è anche avvicinato alla ricerca sulle cellule staminali neurali. Da qualche anno collabora anche con il centro HERA, Unità di Medicina della Riproduzione, di Catania. Negli ultimi mesi si è avvicinato all’UAAR.