Invadenze clericali

La giornata del non credente, in Italia, è costellata da continue sollecitazioni non volute — di origine religiosa — che richiamano la sua attenzione. Qualcuno dirà che ciò è inevitabile, vivendo in un paese cattolico. In realtà le cose non stanno così: questo è un paese solo parzialmente cattolico. Ricordiamo, ancora una volta, che i praticanti sono solo una minoranza: è la Chiesa invece che, non volendosi arrendere a questa evidenza e mancando di rispetto verso chi non segue i suoi dettati, tende a invadere ogni anfratto della vita degli italiani. In secondo luogo, questa massiccia sovraesposizione religiosa non è quasi mai giustificata: è solo frutto dell’accondiscendenza di tanti a una tesi (quella dell’Italia «paese cattolico») oramai superata dagli eventi.

 

BANCHE. Le nomine nei consigli di amministrazione nelle banche e nelle fondazioni bancarie di competenza politica vedono sempre più spesso la scelta di esponenti legati alle diocesi, quando non di ecclesiastici in carne e tonaca. Forse per la loro competenza nel maneggiare il denaro.

BENEDIZIONI. Natale, pasqua… il sacerdote che passa per benedire la casa è un classico consolidato. Potete anche non aprirgli, tanto lo farà un altro condomino a cui chiederà chi è quel maleducato che non accetta la parola di Dio, e cosa si può fare per farlo ravvedere. Il condomino che gli avrà aperto sarà probabilmente lo stesso che, sul proprio citofono, ha attaccato l’adesivo contro il proselitismo dei Testimoni di Geova.

CARCERI. Nelle carceri, un cappellano stanziale ha a disposizione permanentemente una o più cappelle dove celebrare le sue funzioni (un testo sull’argomento). I carcerati devono poter usufruire di locali idonei per le pratiche rituali: nessuna menzione per gli atei e gli agnostici all’interno della normativa (evidentemente la popolazione non credenti negli istituti penitenziari è molto più bassa rispetto alla popolazione non credente totale).

CERIMONIE PUBBLICHE (a cura di Luca T., 2009). Vedendo sempre alti prelati cattolici partecipare in posizioni d’onore alle cerimonie pubbliche (pubbliche, ovvero teoricamente “laiche”), molti pensano che ciò possa essere il retaggio di antichi disciplinari protocollari, sopravvissuti (così come le circolari fasciste sui crocifissi nelle aule scolastiche) all’avvento della Repubblica e della Costituzione, alla revisione del concordato, ed alla perdita dello status di “religione di Stato” offerto dal regime fascista alla chiesa cattolica. E invece, se si va a vedere, si scopre che la vigente normativa sui cerimoniali pubblici è molto recente, ed è anche oggetto di particolare attenzione da parte dei nostri governanti (di tutti e due i maggiori schieramenti): tale normativa risiede infatti, tutta quanta, in un DPCM (decreto del presidente del consiglio dei ministri), intitolato “Disposizioni generali in materia di cerimoniale e disciplina delle precedenze tra le cariche pubbliche”, firmato il 14 aprile 2006 dall’allora presidente Silvio Berlusconi (firmato nell’ultimo mese di mandato, poco prima delle elezioni politiche del 2006), e tale decreto è già stato oggetto di una estesa riforma da parte di un altro DPCM, firmato il 16 aprile 2008 dall’allora presidente Romano Prodi (ovvero firmato anch’esso nell’ultimo mese di mandato, prima delle elezioni politiche del 2008). Orbene può essere interessante andare a vedere cosa prevede questo DPCM del 14.04.2006 (emendato, come dicevamo, nel 2008), per capire un po’ meglio le cause “normative” dei singolari privilegi accordati alle alte gerarchie cattoliche in tutte le cerimonie pubbliche, nazionali e locali, del nostro presunto laico Stato. Il DPCM distingue, per l’appunto, le cerimonie pubbliche “nazionali” da quelle “territoriali” (ovvero a rilevanza locale), e per ognuna delle due tipologie di cerimonie fissa nel dettaglio, con due elenchi (articolo 5 e articolo 9) l’ordine delle “precedenze” da accordare alle varie “cariche”: per le cerimonie nazionali (articolo 5) viene riconosciuto al “Vescovo della Diocesi” il 42° posto di precedenza, in ordine assoluto, mentre per le cerimonie territoriali (articolo 9) viene riconosciuto al medesimo l’11° posto. Una prima doverosa osservazione (ed un primo piccolo moto di sconcerto) riguarda lo status di carica “pubblica” che il DPCM appare riconoscere al “Vescovo della Diocesi”: scorrendo gli elenchi delle cariche si può infatti notare che in esso sono compresi altri soggetti che non sono cariche pubbliche (per esempio “Premi Nobel”, “Scienziati, Umanisti e Artisti di chiarissima fama”, “Industriali di assoluta eminenza a livello nazionale e regionale”, “Segretari regionali dei partiti politici rappresentati nel Consiglio regionale”, “Presidente regionale della Associazione Industriali”, “Segretari regionali dei sindacati maggiormente rappresentativi in sede regionale”), ma tali soggetti, a differenza delle cariche pubbliche, sono indicati tutti quanti tra delle parentesi. Invece il “Vescovo della Diocesi”, unico tra i soggetti teoricamente non appartenenti alle istituzioni pubbliche, non è compreso tra parentesi, apparendo così omologato in toto ad una carica pubblica (alla faccia della laicità dello Stato e dell’abrogazione della religione di Stato). La seconda osservazione (ed un secondo, più forte, moto di sconcerto) nasce dall’esame delle postille che accompagnano i “posizionamenti” del Vescovo della Diocesi. Le posizioni richiamate (42° posto nelle cerimonie nazionali e 11° in quelle locali) potrebbero considerarsi, tutto sommato, abbastanza moderate (considerato il diffuso stato di asservimento dei nostri politici e delle nostre istituzioni all’imperium vaticano), ma leggendo le postille si trova la sorpresa: nel caso in cui il Vescovo della Diocesi sia anche un Cardinale, egli balza al primo posto assoluto di precedenza, tra tutte le cariche, sia nelle cerimonie nazionali che in quelle locali. L’unico scrupolo, per i nostri governanti, è che però, in questi casi, il Vescovo/Cardinale non può assumere la presidenza della cerimonia (il che sarebbe davvero la sublimazione dello Stato teocratico…). L’assurda conseguenza di queste previsioni normative del nostro ordinamento (previsioni attualissime e ben studiate, come visto, dai nostri politici di entrambi i poli) è che il Papa, in quanto Vescovo/Cardinale della Diocesi di Roma (e pur essendo anche un capo di Stato estero), è considerato alla stregua di seconda carica dello Stato, dopo il Presidente della Repubblica. In pratica a Roma, il Papa/Vescovo/Cardinale, nelle cerimonie pubbliche nazionali, dovrebbe precedere anche i Presidenti del Senato e della Camera (quelle due cariche che di solito, agli ignari, vengono indicate come seconda e terza dello Stato). Per completezza bisogna pure dare atto che le postille del DPCM nascondono altre due precisazioni: 1) anche se il Vescovo della Diocesi non è un Cardinale, la sua posizione “può essere elevata in conformità di consolidate tradizioni locali” (e che, vogliamo negargli la posizione d’onore, accanto al presidente della cerimonia?); 2) alla posizione del Vescovo “possono essere equiparati, in eventi particolari, i ministri capi dei maggiori culti riconosciuti” (questa è la massima concessione al pluralismo religioso e filosofico, all’eguaglianza delle persone, e alla laicità dello Stato). Si può peraltro segnalare che la Regione Marche ha provato ad impugnare questo DPCM davanti alla Corte costituzionale, per conflitto di attribuzione, contestando che almeno la disciplina delle cerimonie pubbliche locali dovrebbe rientrare nella competenza normativa delle Regioni, e non in quella dello Stato, ma la Corte costituzionale, con la recente sentenza n. 104 del 01.04.2009, ha respinto la contestazione, dichiarando che la materia del cerimoniale pubblico (sia a livello nazionale che locale) rientra nella competenza normativa esclusiva dello Stato. Insomma, in Italia la disciplina del cerimoniale pubblico è questa del DPCM 14 aprile 2006, voluto dal governo Berlusconi e perfezionato dal governo Prodi, e così ce la dobbiamo tenere, con tutte le gerarchie cattoliche ben piantate nei loro seggi d’onore, davanti a fotografi e telecamere.

ELETTROSMOG. Radio Maria viene spesso additata come esempio del consenso di cui gode tuttora il cattolicesimo: questi servizi elogiativi, però, sorvolano quasi sempre sia sull’invasione delle frequenze altrui da parte dell’emittente, sia sulle reiterate inchieste per le emissioni di onde elettromagnetiche in quantità ben superiore al consentito. Un rischio che ben conoscono gli abitanti dei paesi dove sono installati i ripetitori di Radio Vaticana: senza entrare nel merito del problema (la relazione tra elettromagnetismo e malattie non è ancora stata dimostrata scientificamente), resta il fatto che i valori riscontrati sono ben superiori al consentito, tanto da far aprire un’inchiesta alla Procura di Roma. Sulla vicenda è stata anche votata una risoluzione parlamentare (il testo). Nel 2010 la Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’appello di Roma: i limiti furono superati. Nel resto del paese piccole e grandi antenne per cellulari fanno la loro apparizione sui campanili: per pochi euro molti sacerdoti sfidano le ire dei propri concittadini, scivolando talvolta nel comico (nel brindisino un parroco ebbe la brillante idea di nascondere l’antenna all’interno di una croce sul campanile).

ESERCITO. In seguito al Concordato è stato costituito un corpo di cappellani militari (circa 230), tutti graduati (come ufficiali), alle dipendenze di un vescovo a cui spetta il grado di generale di Corpo d’Armata. Nella caserma della Cecchignola, a Roma, è stato addirittura aperto un seminario: paga Pantalone, ovvio. Tra le perle, il massimo saluto militare dovuto al SS. Sacramento (in ordine di priorità prima della Bandiera e del capo dello Stato), che risulta da un regolamento da cui attingono perfino i regolamenti dei vigili urbani; e la benedizione delle armi, con acquasanta e aspersorio, da parte degli stessi cappellani militari. Non mancano ovviamente anche le preghiere: cfr. la preghiera dell’alpino (recentemente modificata con un riferimento alla «millenaria civiltà cristiana», e l’articolo Le Forze Armate italiane sono diventate guardie svizzere? (Paolo Bancale, Non credo n. 2/2009). Tutto a carico dello Stato!

FESTIVITÀ. Il calendario delle festività italiane è ancora composto, in maggioranza, da ricorrenze religiose cattoliche. A qualcuno non basta ancora: in parlamento si è discusso a lungo se introdurre la festività di san Francesco, sostenuto — tra gli altri — da Maurizio Ronconi (UDC), Franco Asciutti (Forza Italia) e Fiorello Cortiana (Verdi), oppure quella di san Giuseppe, appoggiato tra gli altri da Cosimo Izzo (Forza Italia), Roberto Calderoli (Lega Nord), Domenico Nania (AN), Giovanni Battaglia (DS), Livio Togni (Rifondazione). Vinse san Francesco. Con legge 24/2005 il 4 ottobre è stato riconosciuto solennità civile.
La proposta di legge per la reintroduzione della festa del 20 settembre, formulata da Franco Grillini (DS), riscosse ovviamente consensi minori tra i politici italiani. Un capitolo a parte andrebbe scritto per le festività paesane, un vero e proprio tripudio per la parrocchia quando si festeggia il santo patrono devolvere obbligatoriamente alla parrocchia (evidentemente proprietaria del «marchio»). Tali feste, peraltro, avvengono spesso fuori da ogni regola: nel settembre 2002 i NAS dovettero intervenire al santuario di Polsi, nell’Aspromonte, dove la «secolare tradizione di uccidere e cucinare capre e agnelli sul posto» non rispettava certo la normativa sanitaria. Ovviamente le festività religiose devono svolgersi senza la minima concorrenza da parte «laica»: il vescovo di Imola ha più volte protestato contro «l’inopportuna» coincidenza del Gran Premio di Formula 1 di San Marino con la festa di Pasqua.

LAVORO. Sul posto di lavoro, gli increduli devono far fronte alle visite periodiche di sacerdoti intenti a benedire registratori di cassa e impianti antifurto, in cambio di una corposa busta da parte del titolare (lo Statuto dei Lavoratori non lo consentirebbe). Qualcuno è arrivato addirittura a proporre una statua della Madonna all’ingresso dell’ENEA, il più importante ente scientifico italiano, venendo per fortuna respinto con perdite.

MINISTRI DI CULTO. Diversi sono i privilegi assicurati ai ministri di culto. Per esempio, possono liberamente circolare «per servizio» con la propria autovettura durante i giorni di blocco del traffico. Oppure, nessuna tassa è da loro dovuta per il rilascio o il rinnovo del passaporto, se missionari.

MONTAGNE. Amare la montagna e non essere cattolici è un’autentica sofferenza: le vette sono immancabilmente marcate territorialmente con la croce o con qualche statua raffigurante figure sacre. Le imponenti dimensioni di solito si impongono, allo scopo di colpire l’occhio dello scalatore già a diversi chilometri di distanza. Gran parte di queste opere sono prive di qualsivoglia autorizzazione.

OSPEDALI. Negli ospedali viene assicurata un’assistenza religiosa non si sa quanto utile al malato, specialmente se non cattolico, funzionale però al mantenimento formale di uno status di superiorità per questa religione. In alcuni casi (per esempio Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Trento, Umbria, Veneto) i sacerdoti vengono retribuiti dalle Regioni per l’espletamento delle proprie «funzioni».

PATROCINI. Ogni occasione è buona per finanziare qualche manifestazione religiosamente orientata. Si va dal patrocinio da parte della presidenza della Repubblica all’antiabortista «Movimento per la Vita» (ovvero un’associazione nata per combattere proprio una legge della Repubblica) al convegno di studi storico-teologici altamente specializzato, promosso dalla Pontificia Università Lateranense col patrocinio della presidenza del Consiglio dei ministri, fino alla celebrazione dei venticinque anni di pontificato di Karol Wojtyla da parte degli istituti per la cultura italiana nel mondo. E questi sono solo alcuni esempi.

POLITICA. La folta delegazione italiana al Giubileo dei politici si limitò soltanto a ratificare una realtà da tempo sotto gli occhi di tutti: una parte consistente del parlamento non risponde agli elettori, ma direttamente ai boss del Vaticano. Le conseguenze sono evidenti per tutti: mentre i presidenti della Repubblica e i Primi Ministri «appena eletti» fanno a gara per farsi ricevere dal papa, le manifestazioni disapprovate dalla Chiesa cattolica suscitano in costoro disprezzo, sarcasmo e vengono tollerate soltanto perché «purtroppo» esiste la Costituzione. Le cose vanno anche peggio nel cosiddetto «sottogoverno»: autorevoli esponenti della gerarchia ecclesiastica vengono chiamati a far parte di consulte e commissioni.

POLIZIA. Con il DPR 421/1999 si è data esecuzione dell’intesa sull’assistenza spirituale al personale della Polizia di Stato. Anche questa intesa ha istituito cappellani retribuiti che possono celebrare funzioni religiose.

PRESENZIALISMO. Quando c’è da inaugurare qualcosa non può mai mancare il prelato di turno per una sommaria benedizione dell’opera: un requisito evidentemente fondamentale per la sua solidità (che le frequenti calamità naturali che colpiscono il nostro paese puntualmente smentiscono). La presenza del clero è richiesta anche quando l’occasione è puramente celebrativa: il massimo lo si è probabilmente raggiunto con l’apertura dell’anno giudiziario 2002, con il cardinale Ruini seduto tra il presidente del Consiglio e quello della Repubblica.

SINDACATI. Neppure i sindacati sono alieni dal subìre (e accettare) le pressioni delle gerarchie vaticane, che pure hanno una propria organizzazione di settore (le ACLI). Nel 2000 le tre confederazioni rinunciarono al tradizionale e seguitissimo concerto del Primo Maggio, in quanto cadeva nell’anno del Giubileo. Il concerto fu organizzato dal Vaticano, con un calo di presenze veramente massiccio.

TELEVISIONE. Una volta, molti anni fa, l’Italia era uno Stato, di fatto, confessionale. Il servizio pubblico televisivo in questo Stato confessionale si limitava tuttavia alla messa domenicale e a una predica il sabato antecedente. Oggi, in un paese largamente scristianizzato, la RAI sembra invece andare in una direzione diametralmente opposta. Basta che il papa abbia il raffreddore che all’argomento viene dedicato un servizio speciale; basta che dica la sua sulla più irrilevante questione che conquista l’apertura del telegiornale; basta che decida di fare un viaggio nel più sperduto cantone del pianeta che una troupe di decine di persone parte al suo seguito. Nell’ora di massimo ascolto imperversano costosissimi sceneggiati sui protagonisti delle improbabili storielle bibliche ed evangeliche, con discutibili ritorni economici (i consulenti che garantiscono il rispetto della dottrina si fanno pagare profumatamente, e le stesse star non fanno sconti sulle tariffe), imprevedibili esiti artistici (patriarchi ottantenni interpretati da aitanti attori trentenni: i consulenti evidentemente dormono quando la fiction giova all’immagine della propria religione) e deludenti risultati di audience (di solito non si supera il quinto della popolazione: lo stesso serial del santo à la page padre Pio ha avuto ascolti inferiori al Grande Fratello).
Nei salotti e nei dibattiti la presenza di un sacerdote, anche sui temi più distanti dalla missione cristiana, non manca mai: talvolta sono anche più di uno, magari tra gli ospiti che commentano le partite della squadra del cuore. Le rare volte che il dibattito presenta un confronto tra esponenti di fedi diverse, è buona norma dimenticarsi di invitare anche un ateo che esponga un punto di vista non religioso. A questa deriva clericale non si sottrae il Televideo (che arriva a classificare la Conferenza Episcopale Italiana tra le istituzioni), né il network privato antagonista: non stupisce che, nel corso di un dibattito tra giornalisti tv, Michele Santoro abbia potuto commentare nel silenzioso assenso degli intervenuti che «non è facile definire la linea politica di questo o di quel canale: evidente è invece l’influenza del Vaticano su tutti i canali».
Non può mancare in questa rassegna una menzione all’ossessiva attività censoria del MO.I.GE (Movimento Italiano Genitori), associazione reazionaria che — usando a sproposito un tema di facile presa quale la tutela dei minori — in realtà non perde occasione per mettere all’indice qualsiasi tipo di trasmissione sgradita Oltretevere. Uno scontro tra un socio UAAR e il Movimento a proposito della mancata messa in onda di un film di Stanley Kubrick (Eyes Wide Shut) nel maggio 2002, che la dice lunga sulla levatura culturale di tali presunti educatori.
Il clericalismo della Rai è tale che, nell’agosto 2014, l’Uaar ha chiesto l’intervento dell’Agcom e della Commissione parlamentare di vigilanza. Ma l’Agcom ha risposto che va bene così: la Rai non ha nessun obbligo normativo di assicurare un vero pluralismo. Nel marzo 2015, nel cordo di un incontro con il presidente della commissione di vigilanza Rai Roberto Fico, l’Uaar ha riproposto il problema dell’assenza di pluralismo nel servizio pubblico.

TOPONOMASTICA. La bimillenaria presenza del cristianesimo sulla penisola ha lasciato tracce profonde nella toponomastica e non poteva essere diversamente: tuttavia, ancora oggi, molte amministrazioni comunali proseguono pervicacemente a intestare a personaggi di spicco della religione di riferimento vie, piazze, stadi, auditorium, edificî pubblici, biblioteche. I due episodi più clamorosi verificatisi negli ultimi anni sono l’intitolazione a Giovanni Paolo II dell’areoporto di Bari e della Stazione Termini di Roma (quest’ultima sventata in extremis grazie all’intervento dell’UAAR). Resta il fatto che frequentemente, in queste vie «cattoliche», il traffico venga bloccato per permettere l’effettuazione di una processione «cattolica»: e che, lungo queste strade, laddove qualche «cattolico» ansioso di conoscere l’aldilà ci ha lasciato le penne, al posto di un semplice vaso di fiori venga eretta abusivamente una lapide, quando non una cappella ex voto.