Ancora su Costituzione e moschee

Mentre nel mio precedente articolo avevo analizzato la problematica posta dalla costruzione delle moschee in Italia alla luce del secondo comma art. 8 della Costituzione, qui vorrei analizzare il terzo comma di detto articolo che, per quanto attiene alle religioni diverse dalla cattolica, enuncia:

“I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.”

Ora, dal momento che nessuna Associazione o Unione di fedeli islamici ha attuato tali intese con lo Stato italiano, non si vede perché da noi si pretenda di costruire moschee bypassando in modo tanto disinvolto una norma costituzionale. L’arcano è stato risolto dal Segretario dell’UAAR Raffaele Carcano, che ringrazio per la segnalazione, il quale mi ha informato che la sentenza n° 195/1993 della Corte Costituzionale supera di fatto il comma in questione, autorizzando l’assegnazione di benefici per la costruzione di edifici di culto anche in mancanza di patti d’intesa, nel caso specifico in relazione alla confessione dei “Testimoni di Geova”.

Non entro nel merito della lunga motivazione della Suprema Corte per giustificare tale decisione e lascio volentieri al lettore il compito di decifrarne il linguaggio cavilloso e contorto. Dico solo che, per quanto ne so, se si vuole abrogare un articolo della Costituzione, bisognerebbe farlo secondo procedure ben precise, previste dall’Art. 138 della Costituzione stessa (maggioranza assoluta dei due rami del Parlamento o referendum) che, nel caso in oggetto, non ci sono state. Anzi, la Suprema Corte, che dovrebbe vagliare sulla correttezza e aderenza di leggi e sentenze alla Costituzione, ha seguito il percorso opposto: ovvero ha dichiarato che l’art. 8 non era adeguato alle nuove problematiche e alle richieste di gruppi religiosi, rendendolo, di fatto, lettera morta. Vero è che, come mi è stato precisato anche da un legale dell’UAAR (che ringrazio per il contributo), “…la Corte Costituzionale può e anzi deve (…) interpretare la carta alla luce dei cambiamenti socio-storico-culturali, (…) così come può abrogare direttamente leggi in contrasto.”

Mi chiedo tuttavia se, nel caso specifico delle moschee, non sarebbe il caso di usare una maggiore prudenza. Una moschea infatti non è semplicemente e solo un luogo di culto, ma molto di più: è un centro di aggregazione politica, di indottrinamento e propaganda, un tribunale, una scuola coranica. A tal punto che, come specificato dal Prof. Massimo Introvigne in un suo articolo in proposito, a rigore, un musulmano potrebbe sentirsi offeso dalla definizione di moschea solo come luogo di culto. E con questo spero di avere risposto sia al legale dell’UAAR, che mi faceva notare come “…musulmani e testimoni di Geova sono tra i più discriminati dallo stato italiano”, sia al lettore, tale “Ottopermille”, che, nel suo commento a un mio precedente articolo, mi ha dato del nazifascista e dell’ignorante (secondo lui avrei una conoscenza dell’Islam paragonabile a quella del figlio di Bossi) perché non si dovrebbe impedire ai musulmani dall’avere un loro luogo per pregare. Il lettore in questione ricorre agli insulti solo perché è la sua conoscenza dell’Islam ad essere lacunosa, dal momento che ignora, o finge di ignorare, ciò che ho appena esposto: ovvero che la moschea è anche un luogo di aggregazione politica, e non solo religiosa.

Dunque, se la Corte Costituzionale ne autorizza la costruzione, è come se autorizzasse la costruzione di sedi di partiti totalitari, o addirittura di tribunali che, sul territorio del nostro stato, non applicano le nostre leggi, bensì la Sharia. Ecco perché auspicherei ben altre procedure prima di autorizzare l’edificazione di “luoghi di culto” fortemente in contrasto con i nostri codici. Ma il vero nocciolo della questione è un altro: come mai, quando si tratta di religioni, le leggi vengono bypassate con tanta disinvoltura? La prima risposta che mi viene in mente è quella che avevo dato nell’articolo precedente, ovvero realpolitik e piaggeria, poco importa se si tratti di Chiesa Cattolica o di moschee. Nei confronti dei musulmani poi la questione si può riassumere in una sola parola, come aveva scritto Oriana Fallaci: petrolio. Ovvero: se l’Italia e l’Europa vogliono l’oro nero, che nessun ostacolo si frapponga alla costruzione di centri di culto coranici e alla lenta ma inesorabile islamizzazione di interi territori, in barba alle leggi costituzionali che dovrebbero regolare i rapporti di tutti.

Ma io credo che la risposta più convincente alla domanda che ho appena posto l’abbia data Richard Dawkins, nel suo “L’illusione di Dio” (Mondadori). Il grande naturalista scrive infatti che, di fatto, alle religioni si concedono diritti o deroghe ai doveri che sarebbero inconcepibili per i normali cittadini o per altre associazioni laiche. Si tratta di un atteggiamento di sudditanza nei confronti dell’autorità religiosa, vista come un tabù inviolabile che si ha paura perfino di contraddire e davanti alla quale le leggi dello stato o della logica finiscono per abdicare. Insomma, tutti siamo uguali davanti alla legge, ma basta che uno si metta una papalina in testa, assuma un atteggiamento ieratico e dica di essere ispirato da Dio ed ecco che, come per magia, questa persona diventa “più uguale degli altri”. Del resto lo si è visto anche in occasione dei recenti disordini scoppiati per via del film “blasfemo” contro Maometto e per le vignette satiriche dello stesso genere pubblicate in Francia: parecchi politici, italiani e non, hanno tuonato contro “le offese al sentimento religioso”, chiedendo una sostanziale censura sul libero pensiero. Dimenticandosi che, se proprio una persona devota si sente offesa nel suo culto, per questo non c’è bisogno di bruciare le ambasciate: esistono i tribunali che bastano e avanzano per ottenere un risarcimento morale ed economico.

Insomma, alla fede nel sacro si concede un lasciapassare etico e giuridico che sarebbe inconcepibile per chi fa appello alla logica o alla scienza. Del resto basta assistere ad un qualsiasi dibattito televisivo sui cosiddetti miracoli per rendersene conto: se un ateo come Odifreddi si permette di metterli in discussione, viene immediatamente accusato di mancanza di rispetto nei confronti dei “sani” principi religiosi e del diritto degli utili idioti a credere in qualsiasi baggianata. Non mi risulta però che lo stesso rispetto venga richiesto alle religioni quando insultano la nostra razionalità con statuine di Madonne che lacrimano sangue, con S. Gennaro che mestrua tre volte l’anno e altre amenità del genere.

Stessa cosa per il velo integrale islamico: la legge italiana prevede che tutti debbano girare a viso scoperto, me se la donna è costretta a nascondere il proprio corpo e perfino il volto perché lo ordina Allah, ecco che la polizia fa finta di non vedere e il solito giudice preferisce lasciare correre. Un altro esempio in tal senso? In Toscana, diversi anni fa, un magistrato ha assolto un ragazzo trovato in possesso di un consistente quantitativo di marijuana, perché lo stesso si era dichiarato seguace della religione Rasta, che appunto prevede l’utilizzo della cannabis a scopo mistico-rituale.

Se fosse stato un antiproibizionista razionalista ad essere beccato con un quantitativo del genere e se anche avesse sciorinato davanti al giudice tutte le relazioni mediche e scientifiche (quella di “Lancet” in testa) che dichiarano la cannabis molto meno pericolosa dell’alcool, niente da fare, si sarebbe beccato una condanna esemplare. Ma è bastato che l’imputato si sia fatto crescere in testa i cannoli alla Bob Marley e si sia dichiarato seguace di una “religione” più folcloristica che spirituale, ed ecco che il codice penale ha ceduto il passo al “prete” di turno.

Con queste premesse, da Stato delle burle e non da Stato di Diritto, non stupiamoci se, nel giro di qualche anno, le città italiane saranno modellate sull’esempio delle banlieu francesi, ormai sotto il totale controllo dei musulmani, nelle quali persino la polizia deve entrare in punta di piedi.

E non stupiamoci sopratutto se, in un futuro non troppo lontano, Chiesa e Islam si divideranno il controllo dei loro rispettivi greggi in nome di un neo consociativismo religioso che si comincia a fiutare nell’aria e del quale noi atei per primi pagheremo le conseguenze.

Leonardo Bacchi