Senza Dio

Del buon uso dell'ateismo
Giulio Giorello
Longanesi
2010
ISBN: 
9788830427648

«Come se Dio non ci fosse» è una formula resa famosa da due cristiani: il giusnaturalista Grozio prima, il teologo Dietrich Bonhoeffer poi. Il loro intento, in estrema sintesi, era quello di individuare un’etica del vivere comune che prescindesse dalle controversie sull’esistenza e sulle caratteristiche di Dio e dalle conseguenze negative che ne scaturivano. In seguito l’espressione è stata riferita allo Stato, e soprattutto all’atteggiamento di chi lo governa: che dovrebbe per l’appunto compiere le sue scelte «come se Dio non ci fosse», perché solo in quel modo gli uomini possono trovare un terreno comune di confronto basato su questioni reali e non su una pluralità di supposizioni sull’aldilà, che costituisce invece una frequente causa di scontro.

Se questa impostazione è ritenuta valida e auspicabile per la vita comune, non si capisce perché non si debba estenderla alla vita individuale. Già cinque anni fa Eugenio Lecaldano scrisse Un’etica senza Dio: ora Giulio Giorello propone a sua volta Senza Dio. Laddove in Lecaldano la riflessione era prettamente filosofica, e l’assunto principale era che «solo mettendo da parte Dio si può veramente avere una vita morale», con Giorello, filosofo della scienza, l’approccio ateo diventa metodologico e può essere fatto proprio anche da chi ha concezioni teiste, perché l’ateismo non è «una rete di dogmi (simmetrici a quelli di qualsiasi teismo), ma un repertorio di strumenti, intellettuali e pratici, che riguardano il nostro modo di indagare l’universo e di scegliere il nostro destino». L’ateismo non è dunque inteso come «una dottrina definita, ma [come] un complesso di atteggiamenti, alcuni dei quali mi paiono più efficaci della mera sospensione del giudizio»: ed è questa la ragione per cui l’autore sostiene che dichiararsi agnostici non basta più.

La proposta in positivo di Giorello è esposta in cinque capitoli, compresi tra il prologo e l’epilogo,  che indicano curiosamente cinque atteggiamenti contro cui agire: la reverenza, la rassegnazione, l’autorità, la proibizione e la sottomissione. Forse in reazione all’avere avuto don Giussani come insegnante, l’orientamento è dichiaratamente liberale e libertino, e l’autore cita volentieri Bertrand Russell e il motto anarchico «né dio né padrone». L’autonomia dell’individuo, l’assenza di dogmi o autorità a cui sottomettersi sono infatti la forza dell’ateismo che, come evidenzia brillantemente Giorello, «non sta nel dimostrare che Dio non c’è, bensì nel rifiuto di riconoscerlo come un padrone». L’ateo non può aprioristicamente essere chiuso alla possibilità dell’esistenza di Dio, se solo gliene venissero mostrate le prove: ma, qualora si trovasse di fronte a Dio, l’ateo avrebbe enormi difficoltà ad adorarlo (anzi, probabilmente non riuscirebbe proprio a capire perché una divinità caratterizzata da una bontà infinita debba pretendere di essere adorato).

È questo «abbassamento di fronte all’Essere infinito a senza confini» (Pascal) che va risolutamente rifiutato. L’esempio portato da Giorello è quello del ronin, il samurai rimasto senza padrone, che ha ora l’occasione di «dispiegare senza vergogna la propria autonomia». Il termine, in giapponese, ha  in realtà valenza spregiativa: ma è poi così diversa la condizione degli atei in Italia, dove c’è chi ha sostenuto (Luigi Santambrogio sul Sole24Ore) che «su Dio il consenso è unanime» e che «chi dissente rischia di passare per fesso»? «Una società con Dio può restare libera solo a patto che non impedisca ad alcuno di negare l’esistenza di questa o quella divinità», scrive Giorello: anche nelle forme più critiche. Quanto libera è l’Italia?

Il libro dedica diversi passaggi, non privi di moniti, anche all’ateismo organizzato. Le critiche di Giorello si indirizzano, in realtà, a coloro che si «dedicano allo smantellamento dei capisaldi di questa o quella rivelazione», o che pretendono di affidarsi a «un corpus di prove della non esistenza di Dio»: evidenziando che, «se l’ateismo militante prendesse corpo in strutture istituzionali e dettasse una politica, offrirebbe dimostrazione non di forza ma di debolezza». È un’impostazione tranquillamente fatta propria pure dall’UAAR, questa, in quanto il rispetto dell’autonomia dei suoi soci si estende anche alle scelte compiute nella cabina elettorale. Condivisibile è anche l’invito a rifiutare «qualsiasi forma coercitiva di ateismo, anche se la coercizione viene esercitata in nome di uno dei tanti “valori umani” predicati sotto un cielo vuoto di Dio»: il rifiuto di una religione imposta non può mai trasformarsi in un’imposizione di segno contrario. Giorello è critico anche nei confronti di alcune impuntature di Hitchens e Dawkins, laddove «esigono dal Dio dei tre monoteismi una purezza razionale che mal si concilia con la Parola della Rivelazione» e «nella politica mirano a formule astratte da qualsiasi motivazione di fede»: se la seconda osservazione è corretta (è l’atteggiamento pratico che conta, e non certo l’ispirazione ideale: vi sono credenti più laici di molti atei cosiddetti ‘devoti’), la prima è un po’ fuori misura, perché sono gli stessi monoteismi a rivendicare la ratio della propria fides. Ed è quindi doveroso rilevare la contraddizione.

È comunque lo stesso libro a essere tessuto intorno al confronto tra approccio ateo e approccio fideistico: per esempio sottolineando come, oggi che «vanno di moda i valori “non negoziabili”», l’ateo direbbe invece «discutiamone (e magari, alla fine della discussione, negoziamo)». Una sfida «per un nuovo Illuminismo», dunque, che, riprendendo Jean Petitot, propone apertamente di vivere senza Dio o, meglio, sapendo che non ci si può affidare a congetture. Ratzinger gli risponderebbe, come del resto ha già risposto a tanti, che è il non credente a dover vivere «come se Dio ci fosse». Il confronto è dunque aperto, e mostra come ci si sia ormai spostati dallo scontro ‘cosmologico’ sull’esistenza di Dio a quello, molto più terreno, della morale sociale e individuale. Una nuova vittoria, l’ennesima, dei processi di secolarizzazione che hanno investito l’Occidente negli ultimi decenni.

 

Raffaele Carcano

Ottobre 2010