Albert Camus filosofo del futuro

Paolo Flores d'Arcais
Codice
2010
ISBN: 
9788875781477

Con lieve diacronia rispetto alla sua uscita recensisco volentieri questo piccolo gioiello di Paolo Flores d’Arcais. D’altronde i libri, fortunatamente, non hanno una scadenza in etichetta come i prodotti deperibili ed anzi, talvolta, il tempo li impreziosisce. Le dimensioni sono quelle di un pamphlet ma i contenuti sono enciclopedici e pregnanti come il Flores d’Arcais delle migliori occasioni, autore sobrio in quasi tutti i suoi libri (autentici capolavori a metà strada tra il trattato politico-filosofico e il saggio di storia con forti inerenze alla bruciante attualità) che non si dilunga mai oltre misura e le cui parole sembrano cadenzate e centellinate con cura quasi ad esorcizzare qualsiasi tentazione di mercificarle o di sprecarle oltremodo. Per questo, forse, il Camus teorico del senso della misura che declina finanche la rivolta, non può che piacere al direttore di MicroMega.

La prima sorpresa che balza agli occhi è naturalmente il titolo: Albert Camus filosofo del futuro. Camus filosofo? Un vecchio pregiudizio duro a morire vorrebbe che i grandi scrittori (e il Nobel per la letteratura 1957 Albert Camus lo è certamente, attesa la sua capacità di conquistare generazioni di lettori, compreso il sottoscritto, in tutto il mondo) non possano essere al contempo ottimi filosofi. Riguardo a Camus, la vulgata che lo dipinge come un pensatore engagé (d’altronde noblesse oblige) dai risvolti anche filosofici (che gli valgono qualche fugace apparizione nelle enciclopedie filosofiche tra gli esistenzialisti, e non ne sarebbe affatto contento l’autore de La peste) risente molto del giudizio che di lui hanno dato intellettuali amici-nemici, primo fra tutti Jean Paul Sartre (filosofo più a “tempo pieno” con qualche licenza letteraria) e forse anche l’eccessivo citazionismo di cui è intriso L’homme révolté, la sua opera più filosofica. L’analisi di Flores d’Arcais si sofferma, in particolare, su questo celebre saggio che sottopose Camus al fuoco incrociato di cattolici e conservatori da un lato e marxisti ed esistenzialisti dall’altro, e rende giustizia all’autore de L’Ėtranger il cui scritto (L’homme révolté appunto) era troppo avveniristico (ecco “il filosofo del futuro”) per essere compreso dai suoi detrattori al tempo, accecati dal furore ideologico.

Flores d’Arcais ci restituisce un Camus “filosofo del finito” per eccellenza (“la dimensione ontologica del finito, come orizzonte ineludibile dell’esistenza” si legge nel testo) di quella finitezza (“il peccato della finitezza” per dirla con d’Arcais) che prepara nell’uomo il disincanto (altro tema caro a d’Arcais) che gli permette di assumere la contingenza della sua condizione come foriera di responsabilità e quindi di libertà. Ma la libertà non può mai essere assoluta senza schernire la giustizia, né la giustizia può esserlo senza deprivare della libertà gli uomini. Ecco allora l’accanita e irriducibile opposizione di Albert Camus contro i totalitarismi (di destra e di sinistra), la sua preferenza della rivolta solitaria e al contempo solidale (“La dimensione della rivolta è comunque collettiva. Anche l’isolato gesto esemplare vuole comunicare e suscitare. Una rivolta radicalmente individuale sarebbe anche radicalmente silenziosa. Neppure avvertibile.” pag. 17) rispetto alla rivoluzione che giustifica ogni violenza in nome del Futuro.

C’è poi un altro grave pericolo da cui guardarsi. La logica del finito, l’avere scacciato il sacro dal destino dell’uomo e il mondo da te(le)ologiche finalità, impone, dopo Dio, di lottare contro le sue ipostasi, i suoi travestimenti (Stato, Società, Popolo, Umanità, evidenti qui tracce stirneriane). L’uomo assurdo, consapevole cioè che l’Universo è “universo di cose, non già dimora per l’uomo”, quindi in-sensato, non può lasciarsi guidare da un nichilistico relativismo morale men che mai dal realismo politico; se può darsi che il fine giustifica i mezzi, sempre a giustificare il fine saranno i mezzi. Ecco il riformismo libertario, come lo chiama d’Arcais, di Albert Camus, il suo irreprensibile rifiuto di ogni terrorismo, della menzogna come prassi politica. Perché dopo il tramonto della metafisica, l’Assoluto non ritorni sotto mentite spoglie.

Un approccio profondamente laico. E moderno. Una filosofia davvero soteriologica per i blocchi manichei che segnano la nostra epoca. Un Camus forse ancora da (ri)scoprire.

A tergo del breve saggio i lettori troveranno la trascrizione di una interessante tavola rotonda con la partecipazione tra gli altri, oltre allo stesso Flores d’Arcais, di Fernando Savater, Alain Finkielkraut, Jacquelin lévi-Valensi svoltasi nell’ambito del Colloquio Internazionale Albert Camus et le mensogne, organizzato dalla Bibliotèque Publique d’Information, al Centre Pompidou il 29 e 30 novembre 2002, in collaborazione con la Societé des Ėtudes Camusiennes, il Centre Albert Camus d’Aix-en Provence e il Nouvel Obervateur.

 

Stefano Marullo

Febbraio 2012