La vita senza limiti

La morte di Eluana in uno Stato di diritto
Beppino Englaro, Adriana Pannitteri
Rizzoli
2009
ISBN: 
9788817035538

«Non esiste una autorità alla quale sia riconosciuto il potere di tener in vita un altro all’infinito». È questa la rivendicazione intorno a cui ruota il libro in cui Beppino Englaro rievoca la lunga battaglia giuridica combattuta in nome e per conto di sua figlia Eluana. Non è un caso che il volume sia dedicato «ai Grandi della magistratura italiana, non servi di alcun potere». E non è nemmeno un caso che quasi a ogni pagina si senta l’eco delle parole di libertà di John Stuart Mill («su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l’individuo è sovrano»): ‘giustizia e libertà’ potrebbe ben essere il motto dell’autore, anche in considerazione delle sue idee socialiste.
A questo motto se ne potrebbe contrapporre un altro di segno esattamente contrario: ‘arbitrio e dogma’, i due (enormi) ostacoli in cui si è imbattuto Beppino Englaro. La battaglia sul corpo martoriato di Eluana ha infatti rappresentato uno dei momenti di massima tensione tra laici e clericali, evidenziando come mai era accaduto prima l’esistenza di un vero e proprio «scontro di paradigmi: da un lato una certa cultura della vita che finisce per stravolgere profondamente il ruolo del medico chiamato a custodirla senza limiti; dall’altro la nostra cultura della libertà che poteva giungere consapevolmente all’affermazione più estrema, il diritto di lasciarsi morire, di disporre del proprio corpo e come logica conseguenza di impedire che altri possano impossessarsi dell’esistenza altrui».
«Non c’è vita senza pensiero», ricorda Englaro. La non-vita della sua unica figlia è durata 17 anni (6.233 giorni) durante i quali è stato necessario attraversare nove sentenze e un decreto affinché la sua autodeterminazione fosse fatta valere e fosse dunque possibile liberarla dall’assurdità dello stato vegetativo persistente in cui era stata imprigionata dopo l’incidente stradale. Tanto è stato il tempo necessario per aver voluto agire in base al diritto e non all’ipocrisia, come tanto spesso si fa in questi casi: nel buio di una stanza. E nel silenzio vigliacco e complice di chi sa solo urlare in faccia agli altri la necessità di prolungare indefinitamente la vita: in nome, per di più, di un diritto per nulla ‘naturale’ che ferma il processo, quello sì naturale, del sopraggiungere della morte.
Non è bastato, ai sostenitori dell’arbitrio e del dogma, che la Corte di Cassazione abbia ricordato che «il diritto del singolo alla salute, come tutti i diritti di libertà, implica la tutela del suo risvolto negativo: il diritto di perdere la salute, di ammalarsi, di non curarsi, di vivere le fasi finali della propria esistenza secondo canoni di dignità umana propri dell’interessato, finanche di lasciarsi morire». I non credenti non hanno difficoltà a far proprio questo assunto: in fondo, anche la loro libertà di non credere (identicamente a rischio nell’Italia attuale) è compresa ed è stato riconosciuta all’interno della libertà di credere. Ma è vera libertà di credere quella che impone l’obbedienza alle gerarchie ecclesiastiche? La vicenda di Eluana ha riproposto ancora una volta l’incapacità di quasi tutte le confessioni religiose di rispettare le volontà dell’individuo, quando questa si contrappone alla loro dottrina e alle loro Scritture – peraltro create in un’epoca in cui era impossibile prolungare artificialmente la vita. Ha pertanto buon gioco Beppino Englaro a evidenziare la «contraddizione straordinaria» di chi parla di cultura della morte credendo, nello stesso tempo, a una vita eterna che va ben al di là dell’esistenza terrena.
Una contraddizione, questa, che non ha mai sfiorato la Chiesa cattolica, e non solo i suoi vertici. Le suore misericordine hanno a lungo accudito la ragazza, e suo padre le ringrazia: ma non può non evidenziare anche il loro tentativo di «impossessarsi» di Eluana, accompagnato da un «crudele» appello pubblico affinché la famiglia la lasciasse a loro. Non si possono dimenticare le tante bugie diffuse dalla stampa cattolica; di Avvenire che ha parlato di una «esecuzione con tanto di regolamento» e del cardinale Bagnasco che si è chiesto «come si deve chiamare, se non omicidio?». Fino alle denunce alla magistratura e ai sit in dei fanatici che urlavano «assassino» davanti ai cancelli della clinica di Udine. Una pressione enorme, che ha costretto la famiglia a dover addirittura spiegare che no, non sono, non possono essere assassini coloro che chiedono e ottengono l’applicazione delle volontà di una cittadina e il rispetto dello stato di diritto.
E tutto questo è ancora poco, rispetto all’incredibile sfida che il governo ha scatenato contro la famiglia Englaro, la magistratura, il presidente della Repubblica. Un governo con concezioni da Stato etico, come quelle espresse dal neoconvertito Sacconi: una vera e propria cinghia di trasmissione delle gerarchie ecclesiastiche impegnata a gettare tanti bastoni fra le ruote, dagli avvertimenti alle cliniche disponibili ad accogliere Eluana alle continue ispezioni, per arrivare infine a un decreto legge ad personam e allo scontro eversivo con il Quirinale. Senza dimenticare, ovviamente, le dichiarazioni del premier Berlusconi sulla capacità di Eluana di avere figli.
«Nessuna famiglia dovrà patire quello che abbiamo subito: le invettive, le ingiurie, le accuse in nome di una presunta carità cristiana». Come dimostrano le vicende dei Welby e della famiglia di Abano che ha ‘osato’ chiedere che i crocifissi non siano affissi nelle aule scolastiche, l’auspicio degli Englaro non è destinato a diventare realtà in tempi rapidi. Quello che è accaduto a loro accadrà anche ad altri, finché ci saranno istituzioni sfacciatamente clericali. E finché ci saranno cittadini esemplari che, per voler affermare il principio costituzionale della laicità dello Stato, dovranno mettere a repentaglio la serenità della propria vita.

Raffaele Carcano
novembre 2009