Un affare di coscienza

Per una libertà religiosa in Italia
Alessandro Galante Garrone
Baldini & Castoldi
1995
ISBN: 
9788885987777

Dedico questo libro alla cara e grande memoria di Francesco Ruffini.

«Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno». Matteo 5, 37.

Dopo altri vent’anni, sul finire di questo 1994, il ricordo o la consapevolezza stessa di quella incandescente battaglia sono addirittura scomparsi nel nulla (107).

Un fatto ci pare indubbio: che il divorzio non è la causa, ma l’effetto di questa crisi, reale o presunta che essa sia; e che è esclusivo compito dello Stato regolare tutti gli effetti civili del matrimonio, anche quello della sua indissolubilità o del suo scioglimento, con l’esclusiva forza coattiva che pertiene allo Stato, non ad altri enti (116).

Lo spettro, il «flagello» dell’istruzione obbligatoria era diventato - per la Chiesa in Italia - un vero incubo. Quel che in altri paesi essa accettava, o subiva come un male inevitabile, era aborrito nel nostro Regno come una tremenda sciagura (131).

L’ignoranza delle plebi, l’insegnamento ridotto al minimo e un soffocante dominio o controllo sull’istruzione, erano considerati dalla Chiesa come altrettanti puntelli del suo dominio (131).

Chi oggi dimentica o camuffa la realtà di questo conflitto, mutila e falsifica il Risorgimento. Se le rivendicazioni della politica scolastica del Regno sabaudo e poi dell’Italia unita presero un accento anticlericale, ciò accadde, come sempre, perché al fondo c’era la pugnace intolleranza clericale (133).

Ma la scuola di Stato, la scuola laica per tutti, e il principio dell’istruzione obbligatoria, finirono per attecchire sempre di più nelle placate coscienze degli italiani. […] Sopravvive, piuttosto, un limite economico e sociale: la piaga dell’analfabetismo in misura pur sempre grave, e una struttura della scuola che andava a beneficio delle classi abbienti, l’istruzione come privilegio, specialmente nei gradi medi e superiori (139).

C’è ancora un punto da toccare, sull’onda di questa irenica e idilliaca volontà di reciproca sconfinata collaborazione tra la Chiesa cattolica e lo Stato, tesa al nobilissimo e tanto decantato scopo della «promozione dell’uomo». […] È lo spinoso problema, sempre più dibattuto in questi anni, del finanziamento delle scuole private da parte dello Stato (162).

  • Premessa. A dirla in soldoni, questo piccolo libro non vuol essere un saggio di diritto ecclesiastico sui rapporti fra Stato e Chiesa, e in particolare sulla nozione di libertà religiosa. […] Soprattutto, il mio opuscolo è dominato, nella sua prima parte, dalla figura di chi per me è stato come un secondo padre, Francesco Ruffini: uno di quei pochissimi uomini che nel titolo di un libro di anni fa avevo chiamato «i miei maggiori». Da vivo e poi da morto, egli è stato per me una guida animatrice (14).
  • Al fondo quella focosa passione di docente c’era in Francesco Ruffini la grande idea della libertà religiosa […] la sua «stella polare», come confessò egli stesso più di una volta; il leit-motiv dei suoi studi giuridici e storici e delle sue strenue battaglie civili (22).
  • C’è da domandarsi quale fosse l’atteggiamento di Ruffini di fronte al fatto religioso in sé. […] Io lo definirei piuttosto - se proprio si sente il bisogno di una rigorosa definizione - un «agnostico», che non si pone il problema dell’esistenza o dell’inesistenza di Dio, perché lo considera estraneo al proprio mondo intellettuale.
  • In questo senso, i due termini di ateo e agnostico si avvicinerebbero tra loro al punto di diventare quasi sinonimi. Per conto mio, preferisco la parola più corrente di «agnostico» (25).
  • Scriveva Ruffini: «…Emerge da tutto questo il diritto alla irreligione, all’aconfessionismo, alla miscredenza, alla incredulità». Si noti la fermezza e insieme l’umiltà di tale giudizio; dal quale deriva anche l’implicita affermazione che è compito sovrano dello Stato assicurare la piena libertà ed eguaglianza di tutti i dissenzienti (27).
  • Dalla tolleranza alla libertà. E così, dalla criminosa follia della intolleranza, gli uomini e le genti - o perché esausti, o perché finalmente toccati da un barlume di ragione - scorgono come un’àncora di salvezza l’idea della tolleranza. Locke e Voltaire sostengono e teorizzano questo nuovo e grande principio, che - nel corso della storia - è destinato a cedere il passo all’altra idea, ancora più grande e più alta, della libertà religiosa, e finalmente di tutte le altre libertà (28).
  • Avvento del fascismo e diritti di libertà. Cavour soggiungeva «Io penso che le tendenze del secolo siano conformi a questa soluzione. Io penso che il progresso delle idee e lo sviluppo della civiltà debbono necessariamente condurre a questa soluzione in un avvenire più o meno lontano. Nel secolo prossimo la separazione della Chiesa dallo Stato sarà un fatto compiuto e accettato da tutti i partiti». (il corsivo dell’ultima frase, si noti, era già nel libro di Ruffini) (51).
  • La notte del fascismo. Era disgustato in modo particolare dalla legge sul matrimonio, approvata pochi mesi dopo il Concordato del 1929, che gli ripugnava non solo politicamente - perché sigillava la rottura dell’equilibrio fra Stato e Chiesa, maturato in decenni di civiltà liberale e rispettoso del principio di libertà religiosa (e correlativa eguaglianza fra tutte le professioni di fede o di no fede) - ma anche sul piano della tecnica giuridica, per la sua ibrida commistione di norme di diritto statale e di diritto canonico: un vero «pattume giuridico» […] (73).
  • L’Assemblea Costituente e l’art. 7 della Costituzione. […] Così non fu. Togliatti votò l’art. 7. E qualche giorno dopo, sull’Unità, egli ironizzò sugli incorreggibili azionisti, questi «ultimi mohicani» sprovvisti del «senso delle cose reali».
  • Il divorzio. Sempre la storia cammina. Nel 1947, il voto dell’art. 7 della Costituzione dopo il più ampio fra tutti i dibattiti svoltisi alla Costituente, e certamente uno dei più accesi ed elevati in ogni settore dell’Assemblea, e specialmente in quello degli oppositori, segnava un grosso punto di vantaggio della Chiesa nei confronti dello Stato (106).
  • La scuola. Non è un caso che il terreno più di ogni altro prescelto dalla Chiesa per tale conquista - o riconquista - di posizioni privilegiate del passato fosse, deliberatamente, quello della scuola, specialmente per i gradi inferiori dell’istruzione, quelli della scuola elementare (129).
  • La scuola in Italia dopo l’accordo Craxi del 1984. Dopo l’Accordo di Villa Madama, la più sollecita a reagire fu l’Associazione per la libertà religiosa in Italia (Alri). Vi si leggeva: «La prima cosa da sopprimere avrebbe dovuto essere l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche: per coerenza avrebbe dovuto essere tolto dal quadro delle finalità della scuola e lasciato alla cura delle famiglie della Chiesa» (152).
  • Dall’esonero al non avvalersi dell’irc (insegnamento religione cattolica). La non voluta discriminazione, cacciata dalla porta, rientrava dalla finestra, nonostante che esplicitamente si escludesse, nell’Accordo, che la dichiarazione di scelta se avvalersi o non avvalersi potesse dar luogo a qualsiasi forma di discriminazione.

Chiudo con due brevi considerazioni. La prima è che, al fondo della ricorrente ostilità per la scuola di Stato e del principio della libertà di coscienza e uguaglianza di tutte le professioni di qualsiasi fede - o di non fede, senza alcuna possibile discriminazione - c’è lo spirito retrivo, reazionario, di chi non accetta ancora la civiltà moderna, scaturita dalla Riforma, e soprattutto dall’Illuminismo, dal liberalismo, dal socialismo, da tutto un moto secolare con cui anche le Chiese hanno pur dovuto fare i conti.

La seconda è che - per una integrale difesa della libertà religiosa in Italia - è impresa vana confidare in compromessi, accordi e mercanteggiamenti vari. L’esperienza dell’ultimo decennio ci ammonisce che l’unica, seria, definitiva via d’uscita è di batterci per l’abolizione di ogni Concordato con la Chiesa cattolica.

L’AUTORE

Alessandro Galante Garrone (1909 Vercelli) è stato magistrato e poi docente di Storia del Risorgimento a Cagliari e a Torino. Ha svolto per decenni un’intensa e prestigiosa attività giornalistica e pubblicato, tra l’altro, I radicali in Italia, I miei maggiori (1984), Amalek: il dovere della memoria (1989), Libertà liberatrice.

Luciano Franceschetti
Giugno 2000