L’essenza del cristianesimo

Ludwig Feuerbach
Laterza
1994
ISBN: 
9788807821080

«Del pensiero di Feuerbach» - scrive Antonio Banfi nella prefazione al volume - «si può in un certo modo dire ciò che fu detto di quello socratico: che esso aveva portato la filosofia di cielo in terra. Il suo sforzo fu infatti quello di un’interpretazione umana ed umanistica della vita e dei valori di cultura». In quest’opera fondamentale per la critica alla religione, apparsa nel 1841, il filosofo bavarese indaga «la forma più grave di schiavitù cui l’uomo soggiace: la schiavitù religiosa, che tarpa le sue forze vitali».

  • La religione riposa sulla distinzione essenziale dell’uomo dalla bestia; le bestie non hanno religione. […] L’essere dell’uomo in ciò che lo distingue dalla bestia è non solo il fondamento, ma anche l’oggetto della religione. L’essenza dell’uomo in generale (p. 24)
  • Così, da quando si è fatto del sentimento l’elemento essenziale della religione, la materia di fede del cristianesimo - un tempo così sacra - è divenuta indifferente (31).
  • Come l’uomo pensa, quali sono i suoi princìpî, tale è il suo dio; quanto l’uomo vale, tanto e non più vale il suo dio. La coscienza che l’uomo ha di Dio è la conoscenza che l’uomo ha di sé. L’essenza della religione in generale (34).
  • Perciò la religione precede sempre la filosofia, nella storia dell’umanità come nella storia dei singoli individui. L’uomo sposta il suo essere fuori da sé, prima di trovarlo in sé. […] La religione è l’infanzia dell’umanità (35)
  • Il nostro compito è appunto di mostrare che la distinzione fra il divino e l’umano è illusoria, cioè che null’altro è se non la distinzione fra l’essenza dell’umanità e l’uomo individuo, e che per conseguenza anche l’oggetto e il contenuto della religione cristiana sono umani e nient’altro che umani (36).
  • Per il cristiano è certa, reale soltanto l’esistenza del dio cristiano, per il pagano l’esistenza del dio pagano (41).
  • Il tempio non è che una testimonianza del valore che l’uomo attribuisce agli edifici. I templi in onore della religione sono in realtà templi in onore dell’architettura (42).
  • Non l’attributo di divinità, ma la divinità dell’attributo è il primo vero essere divino (42).
  • Vero ateo, cioè ateo nell’abituale significato della parola, non è perciò colui che nega Dio, il soggetto, ma colui che nega gli attributi dell’essere divino, quali l’amore, la sapienza, la giustizia. […] Una qualità non è divina per il fatto che Dio la possiede, ma Dio la possiede perché essa in sé e per se stessa è divina, perché Dio senza di essa sarebbe un essere imperfetto (43).
  • Per arricchire Dio, l’uomo deve impoverirsi; affinché Dio sia tutto, l’uomo deve essere nulla. […] Ciò che l’uomo sottrae a se stesso, ciò di cui per sua natura è privo, se lo gode in Dio in misura incomparabilmente maggiore (47).
  • Quanto maggior valore i monaci attribuivano alla repressione della sensualità, tanto maggior valore aveva per essi la Vergine divina: sostituiva per essi perfino Cristo, perfino Dio. Quanto più la sensualità viene negata, tanto più sensuale è il dio a cui si sacrifica la sensualità (48).
  • L’uomo afferma in Dio ciò che nega in se stesso.
  • La religione cristiana fece distinzione fra la purezza morale interiore e la pulizia esteriore della persona; la religione ebraica le identificava. […] Israele è la più perfetta rappresentazione di religione positiva. Rispetto all’ebreo, il cristiano è uno spirito libero. Così mutano le idee. Ciò che ancor ieri era religione, oggi non lo è più, e ciò che oggi è considerato ateismo, sarà religione domani (52).
  • Che cosa dunque affermi, che cosa oggettivi tu in Dio? La tua propria ragione. […] Nel modo in cui pensi Dio, nel medesimo modo tu stesso pensi; la misura del tuo dio è la misura della tua intelligenza.

Dio quale essere della ragione (60).

  • Non al Cristianesimo, non all’entusiasmo religioso, ma solo all’entusiasmo della ragione dobbiamo l’esistenza di una botanica, di una mineralogia, di una zoologia, di una fisica e di una astronomia. Dio quale essere morale o legge (68).
  • Ma Dio divenuto uomo non è che la manifestazione dell’uomo divenuto dio; infatti l’elevazione dell’uomo a Dio precede necessariamente l’abbassarsi di Dio a uomo.

Il mistero dell’Incarnazione ossia Dio quale essere misericordioso (71).

  • Nella preghiera io trascino Dio nella miseria umana, lo faccio partecipe delle mie sofferenze e dei miei bisogni. Dio non è sordo ai miei lamenti […] mi esaudisce e ha compassione di me. Dio ama l’uomo, ossia soffre delle sventure dell’uomo (75).
  • L’amore di Dio per l’uomo - centro e fondamento della religione - è la prova più chiara, più irrefutabile che l’uomo nella religione contempla se stesso come un oggetto divino, come un divino scopo, e che i suoi rapporti con Dio non sono che rapporti con se stesso, con il suo proprio essere (78).
  • La sofferenza è la legge suprema del cristianesimo; la storia del cristianesimo stesso è la storia della sofferenza umana. Il mistero della passione (82).
  • La religione cristiana è la religione della sofferenza. Le immagini del crocifisso che incontriamo in tutte le chiese non stanno a rappresentarci un redentore, bensì soltanto Dio sulla croce, il sofferente. […] Un dio sofferente è un dio sensibile, suscettibile al dolore. E la proposizione «Dio è un essere sensibile» non è che l’espressione religiosa della proposizione «la sensibilità è di natura divina» (83).
  • La coscienza che l’uomo ha di sé nella sua completezza si esprime nella Trinità. Essa compendia e riunisce in un unico essere tutti gli attributi che finora abbiamo considerato isolatamente, e perciò riduce l’essere universale - ossia Dio come dio - a un essere particolare, a una particolare facoltà.

Il mistero della Trinità e della madre di Dio (86).

  • Lo Spirito Santo deve la propria esistenza personale soltanto a un nome, a una parola […] che sta a rappresentare unicamente il sentimento e l’entusiasmo religioso, l’amore e l’anelito della creatura verso il creatore (88).
  • Se mi rivolgo al santo, non è perché il santo dipenda da Dio, ma perché Dio dipende dal santo, perché Dio viene determinato e dominato dalle richieste, ossia dalla volontà e dal desiderio del santo. Le distinzioni poste dai teologi cattolici fra Latria, Dulia e Hyperdulia sono sofismi assurdi e senza fondamento. […] Il dio che sovrasta il mediatore null’altro è che la fredda ragione che sovrasta il cuore - qualche cosa di simile al Fato che sovrasta gli dèi dell’Olimpo.

Il mistero del Verbo o del Figlio immagine di Dio (95).

  • Come nella parola di Dio l’uomo afferma la divinità della parola, così nella creazione afferma la divinità della volontà […] La creazione dal nulla è la più alta espressione dell’onnipotenza […] perciò la creazione dal nulla rientra nella medesima categoria del miracolo, o meglio è il miracolo primo - non solo in ordine di tempo ma anche di grado - è il principio che fa possibili tutti gli altri miracoli. Il mistero della provvidenza o della creazione dal nulla (116).
  • La provvidenza è un privilegio dell’uomo; esprime la superiorità dell’uomo sugli altri esseri naturali; lo sottrae alla concatenazione di tutto l’universo (119).
  • La dottrina della creazione è di origine ebraica; è anzi la dottrina caratteristica, fondamentale della religione ebraica (126).
  • Nella storia dei dogmi e delle filosofie succede come nella storia dei popoli. Antichissime usanze, diritti e istituzioni continuano a sopravvivere dopo che da lungo tempo hanno perso il loro significato. […] Vengono poi quelli che parlano del profondo significato delle istituzioni, dal momento che il loro vero significato è ad essi ormai ignoto (131).
  • Solo nell’origine si può riconoscere la vera natura di una cosa. Dapprima l’uomo inconsapevolmente e involontariamente crea Dio secondo la propria immagine e, solo allora, questo Dio - a sua volta consapevolmente e volontariamente - torna a creare l’uomo secondo la propria immagine. Nello svolgimento della religione ebraica, più che in ogni altra, troviamo la conferma di ciò (132).
  • L’essenza più profonda della religione si rivela nell’atto più semplice della religione: nella preghiera, un atto che dice infinitamente più, o almeno tanto quanto il dogma dell’incarnazione, benché la teologia proclami quest’ultimo il sommo mistero (136).
  • L’uomo nella preghiera si rivolge all’onnipotenza della bontà, ossia: egli adora il proprio cuore, contempla il proprio sentimento come l’essere sommo, divino.

L’onnipotenza del sentimento ossia il mistero della preghiera.

  • Perciò l’oggetto caratteristico della fede è il miracolo, fede è fede nel miracolo, fede e miracolo sono assolutamente inscindibili (140).
  • Il miracolo scaturisce dal sentimento, e finisce nel sentimento. Il modo stesso in cui è narrato rivela questa sua origine. La narrazione che gli si conviene è soltanto la narrazione sentimentale - Il mistero della fede il mistero del miracolo.
  • Infatti il miracolo, esaminato attentamente, null’altro esprime se non appunto la potenza taumaturgica della fantasia, che senza contraddizione adempie tutti i desideri del cuore (148).
  • I dogmi fondamentali del cristianesimo sono desideri appagati del cuore, l’essenza del cristianesimo è l’essenza dei sentimenti che albergano nel nostro cuore.

Il mistero di Cristo o del Dio personale (154).

  • Cristo è Dio che si è fatto conoscere di persona, Cristo è perciò la beata certezza che Dio esiste e che è così come il cuore lo vuole, come il cuore ha bisogno che sia. […] In lui si rivela il mistero del sentimento religioso: si rivela però nel caratteristico linguaggio allegorico della religione. […] A questo riguardo si ha il pieno diritto di definire la religione cristiana la religione assoluta, perfetta (159).
  • Il concetto di specie scomparve col cristianesimo, e con esso il significato della vita di specie. È - questa - una nuova conferma di ciò che abbiamo asserito osservando che il cristianesimo non ha in sé il principio della cultura.

L’AUTORE

Ludwig Feuerbach (Landshut, Baviera, 28/7/1804 - Rechenberg 13/9/1872) fu un filosofo tedesco, tra i più autorevoli rappresentanti della «sinistra» hegeliana, criticò il pensiero del maestro nei Princìpi della filosofia dell’avvenire. La filosofia cessa di essere «teologia» e diventa totalmente «antropologia», umanismo puro, naturalmente ateista. E così funziona la religione, analizzata e sviscerata - come mai prima di lui - in opere rivoluzionarie come L’essenza della religione, L’essenza del cristianesimo, La morte e l’immortalità.

Luciano Franceschetti
Giugno 2001