Chiesa cattolica e pena di morte: Risposte alle domande più frequenti

A cura di Francesco D’Alpa

Qual è la posizione ufficiale della Chiesa cattolica nei confronti della pena di morte?
La Chiesa cattolica ha sempre insegnato che il cosiddetto “bene comune” (accettato anche come “ragion di Stato”) è un principio superiore di giustizia, in nome del quale è possibile uccidere legalmente il colpevole, anche per reati diversi dall’assassinio. Dunque l’uccisione legale viene posta su di un piano diverso rispetto al comune assassinio, come del resto già previsto nella legislazione mosaica. Agostino d’Ippona e Tommaso d’Aquino sono fra i più autorevoli sostenitori di tale principio.

Come è stata applicata in passato la pena di morte da parte della Chiesa cattolica?
Nel corso della sua storia la Chiesa di Roma ha sempre perseguitato e ucciso quanti si sono allontanati dalla dottrina ufficiale, come i Catari, i Valdesi, i Battisti. L’uccisione dei nemici è stata prassi ordinaria durante le crociate e nel corso della conquista delle Americhe (che causò decine di milioni di morti fra gli indigeni). Per diversi secoli l’Inquisizione ha fatto della tortura e della pena di morte il maggiore deterrente contro gli ebrei, gli eretici e contro le presunte streghe (molte decine di migliaia). E nell’ultimo secolo circa 750.000 serbi ortodossi sono stati uccisi nella Croazia cattolica a causa della loro diversa fede.

Il Vecchio Testamento autorizza l’uccisione del colpevole?
Si, ampiamente. L’omicidio legale o la vendetta diretta di Dio sono una costante perfino per molte infrazioni meno gravi dell’omicidio, ad esempio: «Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera dovranno essere messi a morte» (Levitico 20, 10); «Se un uomo avrà un figlio testardo e ribelle che non obbedisce alla voce né di suo padre, né di sua madre […] tutti gli uomini della sua città lo lapideranno ed egli morirà» (Deuteronomio 21, 18-21); «L’uomo che si comporterà con presunzione e non obbedirà al sacerdote che sta là per servire il Signore, suo Dio o al giudice, quell’uomo dovrà morire» (Deuteronomio 17, 12); «Se uomo o donna, in mezzo a voi, eserciteranno la negromanzia o la divinazione, dovranno essere messi a morte. Saranno lapidati» (Levitico. 20, 27); «Se la figlia di un sacerdote si disonora prostituendosi, disonora suo padre: sarà arsa con il fuoco» (Levitico 21, 9); «Chiunque maltratta suo padre o sua madre, dovrà essere messo a morte» (Levitico 20, 9); «Se uno ha un rapporto con una donna durante le sue regole […] tutti e due saranno eliminati dal loro popolo» (Levitico 20, 18); «Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte» (Levitico 20, 11-17).

Il popolo eletto era turbato dall’uccisione come pena?
Per nulla. I Salmi contengono espressioni inequivocabili, in tal senso: «O Dio, spezza loro i denti in bocca, schianta le zanne dei leoni, o Signore! Scompaiano come acqua che si sperde; scaglia le frecce e siano annientati. […] Gioirà il giusto al vederne il castigo, si laverà i piedi nel sangue dei perversi. E si dirà: v’è un premio per il giusto, e c’è un Dio che fa giustizia sulla terra» (Salmi 58, 1-11).

Il Nuovo Testamento autorizza l’uccisione legale del colpevole?
Si. Proprio Paolo di Tarso afferma, nella Lettera ai Romani: «I magistrati non sono di timore per le buon azioni, ma per le cattive. Vuoi tu non aver paura dell’autorità? Diportati bene e riceverai la sua approvazione. Essa è infatti ministra di Dio per il tuo bene. Se invece agisci male, temi; non per nulla essa porta la spada: è infatti ministra di Dio, esecutrice di giustizia contro chi fa il male» (Romani 13, 2-4).

Questo principio è stato accettato nei secoli successivi?
Si, e il suo campo di azione è stato perfino esteso. Bernardo di Chiaravalle all’inizio del XII secolo legittimò le “guerre sante”, sostenendo: «Un soldato di Cristo […] senza dubbio quando uccide un malvagio non è un omicida, ma, per così dire, un uccisore del male e viene stimato vendicatore di Cristo nei confronti di coloro che fanno il male e difensore dei Cristiani»; «Disperdere questi gentili che vogliono la guerra, eliminare questi operatori di iniquità che vagheggiano di strappare al popolo cristiano le ricchezze racchiuse in Gerusalemme […] ecco la più nobile delle missioni».

Ma le Sacre scritture non sostengono che bisogna perfino amare i propri nemici?
Sia nel Vecchio Testamento che nel Nuovo viene sempre operata una distinzione netta fra l’uccisione arbitraria di un altro (ovvero l’omicidio) e l’uccisione legale del colpevole. Gesù, secondo una lettura senza preconcetti del Nuovo Testamento, non ha affatto contraddetto tale distinzione, come dimostra la sua stessa morte.

Con quali motivazioni i teologi cattolici hanno giustificato la pena di morte?
Almeno quattro: (a) preservare la società mettendo il colpevole in condizione di non nuocere; (b) ispirare agli altri uomini un salutare timore del castigo; (c) prendere di mira il colpevole aiutandolo a emendarsi per il suo bene; (d) cercare di ristabilire l’equilibrio morale voluto dalla giustizia assoluta.

I primi cristiani erano favorevoli alla pena di morte?
I primi cristiani aborrivano sia la pena di morte che l’uccisione del nemico in combattimento; e per questo rifiutavano il servizio militare. Ma questo atteggiamento venne mantenuto solo durante il periodo delle persecuzioni. Dopo che il cristianesimo divenne religione di Stato, i suoi più importanti esponenti accettarono sia la pena di morte che il servizio militare.
Comunque, già Tertulliano, nel secondo secolo, pur deprecando alcuni aspetti della condanna a morte (in particolare, il rischio di giustiziare un innocente), non negava la liceità in sé di tale pena.

I papi sono stati favorevoli dottrinalmente alla pena di morte?
Nella Professione di fede per i Valdesi, Innocenzo III scrive nel 1208-1210, riprendendo un tradizione assolutamente concorde: «Per quanto riguarda il potere secolare, dichiariamo che può esercitare il giudizio di sangue senza peccato mortale, purché nel portare la vendetta proceda non per odio, ma per un atto di giustizia, non in modo incauto ma con riflessione».

Tommaso d’Aquino era favorevole alla pena di morte?
Certamente si. Secondo lui, nel momento in cui si vìola la vita degli altri si perde il diritto alla propria. Non è dunque la società a privare il reo del diritto alla propria vita; la società si limita a prendere atto che lo stesso reo se ne è privato, mentre nessun “innocente” ne sarebbe privato.
Per Tommaso, l’omicida può essere legittimamente soppresso secondo il cosiddetto principio del “duplice effetto”, che prevede: (a) la bontà o almeno l’indifferenza morale dell’azione in sé; (b) l’onestà del fine; (c) la non dipendenza dell’effetto buono da quello cattivo, (d) una ragione proporzionatamente grave: «se un uomo è pericoloso alla comunità e la corrompe a causa di un qualche peccato, lodevolmente e giustamente lo si uccide per preservare il bene comune».

Le legislazioni dello Stato Pontificio e dello Stato del Vaticano hanno ammesso la pena di morte?
Non solo la Chiesa Cattolica non ha mai condannato dottrinalmente la pena di morte ma ha risolutamente deprecato le motivazioni di quanti hanno protestato contro di essa. E le legislazioni, prima dello Stato Pontificio e poi dello Stato del Vaticano, l’hanno ritenuta ampiamente legittima e non contraria ai principî del cristianesimo. Fino al papato di Pio IX la pena di morte era correntemente applicata nello Stato Pontificio. Ancora nel 1929, anno di nascita dell’attuale Città del Vaticano, la pena di morte fu inserita (anche se concretamente non applicabile) nel testo della Legge fondamentale dello Stato del Vaticano, da cui solo il 22 febbraio 2001 è stata eliminata definitivamente, pur restando ambigua la sua legittimità teorica nel vigente Catechismo. Lo Stato del Vaticano non ha peraltro sottoscritto la Convenzione Internazionale sui diritti dell’uomo, né aderito all’ONU.

Pio XII era contrario alla pena di morte?
No. Ne ha parlato chiaramente a favore; ad esempio, nell’allocuzione del 22 febbraio 1944, L’imperscrutabile consiglio, affermava: «eccettuati i casi della legittima difesa privata, della guerra giusta e guerreggiata con giusti metodi, e della pena di morte inflitta dall’autorità pubblica per ben determinati e provati gravissimi delitti, la vita umana è intangibile».

Paolo VI era contrario alla pena di morte?
Egli non si è mai pronunciato su questo argomento. Tuttavia, sostenendo che «La legge divina e la ragione naturale escludono, dunque, qualsiasi diritto di uccidere direttamente un uomo innocente», ha precorso l’ambiguità di Giovanni Paolo II nel distinguere fra il diritto alla vita dell’uomo “innocente” e di quello “colpevole”, fra “norma morale” e “norma legale”.

Giovanni Paolo II era contrario alla pena di morte?
Nei primi anni del suo pontificato, Giovanni Paolo II non dimostrò alcun interesse per la problematica della pena di morte, nonostante l’attualità del tema e le richieste di numerosi gruppi abolizionisti. Successivamente si è talora impegnato, a titolo personale, in senso abolizionista, senza peraltro definire ufficialmente questa posizione in alcun documento. La sua scelta era infatti assolutamente personale, incoerente con il pensiero cristiano e con la tradizione, e non impegnava il Magistero. In ogni caso, egli ha sempre attentamente precisato che non si può “uccidere l’innocente”, ma non ha mai sostenuto che non si possa “in assoluto” uccidere legittimamente.

Il Catechismo del 1992 e l’enciclica Evangelium vitae sono contrari alla pena di morte?
No. La pena di morte vi è ambiguamente mantenuta, sia pure limitatamente ai pochi casi di “assoluta necessità”. Questo atteggiamento nasce in gran parte dal bisogno di mediare fra quanti auspicano una presa di posizione incondizionata contro la pena di morte e quanti invece preferiscono per il momento attenersi alle posizioni tradizionali. Da qui, non solo la relativizzazione del diritto alla vita del “colpevole”, ma soprattutto l’ampio uso del termine “innocente”, in entrambi i documenti.

Dopo le critiche al Catechismo del 1992, la Chiesa ha modificato il suo giudizio sulla pena di morte?
Sostanzialmente no, Nell’Editio Tipica del Catechismo (del 1997), si sostiene: «[2267] L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani. Se, invece, i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana».

Benedetto XVI è personalmente contrario alla pena di morte?
No. Nel 2004, ad esempio, prima di venire eletto papa, in un Memorandum per la conferenza episcopale degli Stati Uniti, occasionato dalla candidatura alle elezioni di politici cattolici che fanno campagna sistematica per l’aborto, aveva scritto: «Non tutte le questioni morali hanno lo stesso peso morale dell’aborto e dell’eutanasia. Per esempio, se un cattolico fosse in disaccordo col Santo Padre sull’applicazione della pena capitale o sulla decisione di fare una guerra, egli non sarebbe da considerarsi per questa ragione indegno di presentarsi a ricevere la santa comunione. Mentre la Chiesa esorta le autorità civili a perseguire la pace, non la guerra, e ad esercitare discrezione e misericordia nell’applicare una pena a criminali, può tuttavia essere consentito prendere le armi per respingere un aggressore, o fare ricorso alla pena capitale. Ci può essere una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici sul fare la guerra e sull’applicare la pena di morte, non però in alcun modo riguardo all’aborto e all’eutanasia».

Quali documenti ufficiali confermano tale posizione di Ratzinger-Benedetto XVI?
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, sia nella versione del 1992 che in quella del 1997, alla stesura dei quali egli ha partecipato; e il Compendio del Catechismo, redatto sotto la sua direzione, e pubblicato nel 2005. In questi testi non viene negata la possibilità di ricorrere legittimamente, in casi estremi, alla pena di morte.

Quali sono le fonti ufficiali attuali della catechesi sulla pena di morte?

  1. il n. 2267 dell’Editio Tipica del Catechismo della Chiesa Cattolica (1997), in cui si afferma: «Oggi, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine, rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti» e che fa riferimento (sorvolando su tutte le altre affermazioni dello stesso autore a pieno sostegno della legittimità della pena di morte) a un passo di Tommaso d’Aquino: «Se uno usa maggior violenza del necessario, il suo atto è illecito» (Summa Theologica, II-II, 64, 7).
  2. il n. 469 del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica (2005), che precisa: «La pena inflitta deve essere proporzionata alla gravità del delitto […] Quando i mezzi incruenti sono sufficienti, l’autorità si limiterà a questi mezzi, perché questi corrispondono meglio alle condizioni concrete del bene comune, sono più conformi alla dignità della persona e non tolgono definitivamente al colpevole la possibilità di redimersi».
  3. il n. 56 dell’enciclica Evangelium vitae di Giovanni Paolo II (1995): «Nel medesimo orizzonte (di speranza) si pone altresì la sempre più diffusa avversione dell’opinione pubblica alla pena di morte, anche solo come strumento di legittima difesa, in considerazione delle possibilità di cui dispone una moderna società di reprimere efficacemente il crimine».

Testi di riferimento

  • Francesco D’Alpa. Il “sì” cattolico alla pena di morte. Rivelazione, Tradizione, Contraddizioni pastorali. Catania, Laiko.it 2008. ISBN-13 9788895357058
  • Heinrich Joseph Dominicus Denzinger. Enchiridion Symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum. XXXVIII^ Ed., Bologna, Edizioni Dehoniane 2003.
  • Aldo Martinati. La Dottrina Cattolica con commenti dei padri e dottori della Chiesa e di scrittori antichi e moderni. La morale. Padova, Tipografia Antoniana 1940. Edizione riveduta (senza indicazione di data; circa 1950).
  • Elio Sgreccia. Bioetica. Milano, Vita e pensiero 1986.
  • Roberto Tamanti. La pena di morte. Tra etica della vita e autorità dello Stato. Assisi, Cittadella Editrice 2004.
  • Dionigi Tettamanzi. Nuova bioetica cristiana. Casale Monferrato, Piemme 2000.
  • Tóth Tihamér. I dieci comandamenti. Padova, Gregoriana editrice 1945.

Per gentile concessione dell’Autore, pubblichiamo qui. liberamente scaricabile, «Benedetto XVI e la pena di morte», capitolo tratto dal libro di Francesco D’Alpa Il “sì” cattolico alla pena di morte, Catania 2008.

Ultimo aggiornamento: 23 aprile 2008