Padova, 9 marzo 1996
Al Presidente della Corte Costituzionale,
avv. Mauro Ferri.
Ho letto in un giornale che nell’aula della Corte Costituzionale è esposto, in bella evidenza, un crocifisso. Avevo provveduto a far riprodurre su una lastra di rame smaltato, di pregevole fattura artistica, il simbolo della associazione, di cui faccio parte, UAAR (che è l’unica associazione italiana degli atei e degli agnostici). Con questa lettera chiedo ufficialmente che anche il nostro simbolo, che invio contestualmente a questa domanda, sia affìsso al più presto nell’aula della Corte Costituzionale, nella stessa parete e in modo che abbia la stessa evidenza del crocifisso. Purtroppo questo simbolo è di piccole dimensioni, probabilmente molto meno evidente del crocifisso esposto; provvederò, se necessario, a farne uno delle stesse dimensioni successivamente.
In molti tribunali italiani, ma non in tutti, compare, di solito sopra la scritta LA LEGGE È UGUALE PER TUTTI, un crocifìsso. Evidentemente non c’è una legge che lo imponga e infatti nelle aule del nuovo tribunale di Padova il crocifisso non c’è, come io avevo richiesto; c’è però ancora nella precedente aula-bunker. Il 13 novembre 1995 ho provveduto a spedire il simbolo della nostra associazione al Presidente del Tribunale di Padova con l’invito a esporlo nella stessa parete. Purtroppo, invece che una risposta alla mia domanda (positiva o negativa), mi è arrivata una comunicazione evasiva: è stato chiesto al Ministero di Grazia e Giustizia se dovevano togliere il crocefisso! II Ministero ovviamente non ha risposto né al Presidente del Tribunale né a me che pur lo avevo sollecitato, con una lettera raccomandata del 5 novembre 1995, in base alla legge 241/1990, con cui chiedevo di conoscere l’ufficio, e il nome e la qualifica del funzionario responsabile della risposta, in modo da poter intervenire nel procedimento. Adesso dovrò rivolgermi al TAR e/o alla Commissione europea per i diritti dell’uomo.
Noi, cittadini atei e agnostici, troviamo molto offensivo che la giustizia nel nostro paese sia amministrata sotto il simbolo di una particolare religione, alla quale si verrebbe a dare il riconoscimento di una presunta superiorità morale e civile che noi non accettiamo (basta ricordare che proprio quel simbolo era esposto e veniva brandito nelle aule della santa inquisizione che noi consideriamo sinonimo di barbarie e di ingiustizia, dal quale ci siamo affrancati con dure e dolorose lotte). Io personalmente mi sono proposto di non accettare, nel caso fossi coinvolto in qualche processo, di essere giudicato in un’aula in cui campeggiasse il simbolo di una sola religione.
La mia determinazione deriva dalla lettura della sentenza n. 117/1979 della Corte Costituzionale con la quale si inserisce la libertà di ateismo nella previsione dell’articolo 19 della nostra Costituzione, equiparando, dunque, gli atei ai credenti, superando una prima concezione che tendeva a ricomprenderla nel semplice ambito dell’art. 21 (libertà di pensiero); e ancora la n. 149/1995 che, ribadendo precedenti sentenze della Corte (nn. 203 del 1989, 195 del 1993 e 259 del 1990), parla di «principio supremo della laicità dello Stato» che «implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale».
Da cui consegue che lo Stato democratico non può scegliere, tra le varie religioni, una più degna o più importante delle altre, ne può accordare privilegi a una che non accordi anche alle altre; e che tra le religioni, in questo contesto, va compresa, con lo stesso grado di protezione, anche la “religione” degli atei, cioè la non-religione.
Alcuni soci non hanno alcuna fiducia nelle istituzioni del nostro Paese, abituati a soprusi vecchi e rinnovati, e considerano questa mia iniziativa per ottenere dagli organi dello Stato trattamento uguale per tutti, cioè il riconoscimento che siamo cittadini e non sudditi, una perdita di tempo; è per questo che la faccio a mie spese e in modo personale, con l’approvazione dell’associazione. Purtroppo anche miei amici inglesi e tedeschi pensano all’Italia come a uno «Stato civilmente arretrato dove ci si accontenta di fare dichiarazioni roboanti e retoriche», ma «dove comanda il Papa». Io sono sicuro invece che basta lottare con fermezza e pazienza per ottenere che i principi così moderni della Corte Costituzionale diventino prassi comune.
Conto molto su di Lei personalmente per una risposta positiva, che, essendo una decisione amministrativa, dovrebbe dipendere solo da Lei, ma che avrebbe un altissimo significato per tutti.
Sono a Sua disposizione per un colloquio (e/o per l’invio di documentazione) se ritenesse opportuno qualche chiarimento sull’UAAR. Spero di ricevere presto la Sua risposta affermativa e di poter smentire i pessimisti sullo stato della democrazia nel nostro Paese. Può farmi contattare per posta, per fax, per telefono, riportati in calce.
Cordiali saluti.
Giorgio Villella
Tesoriere e membro del Comitato di Coordinamento Nazionale dell’UAAR