Religione: Nessuna

INCHIESTA. In Italia c’è una minoranza sul piede di guerra, che denuncia discriminazioni dalla culla alla tomba. Sono gli atei militanti. Fanno campagne per lo sbattezzo e chiedono trasparenza sull’8 per mille.

di Alessandra Baduel

Una immagine che rappresenta alcuni sobri oggetti di culto In un primo mondo sempre più multietnico, la battaglia di civiltà sembra tutta lì, nel dialogo fra culture diverse, ovvero fra religioni, mentre per chi non accetta le Chiese tradizionali il bisogno di sacro prende le vie della New age. Eppure, c’è chi una religione non la ha e non la vuole avere.

Di nessun tipo.

Quanti siano in Italia come nel mondo è materia molto controversa, ma di certo gli atei esistono e sono anche militanti, quasi sempre insieme agli agnostici. Di più: hanno una federazione europea rappresentata in sede UE e un’organizzazione internazionale che esprime le posizioni dei membri di 75 Paesi in sede ONU. Chiedendo all’italiana Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (UAAR), si scopre poi che è proprio un membro della Federazione delle associazioni laiche europee a presiedere il gruppo di lavoro comunitario Un’anima per l’Europa, voluto dall’allora presidente della Commissione europea Jacques Delors all’inizio degli anni Novanta. Consultato ufficialmente per ogni questione di «rilevanza etica», il comitato riunisce i rappresentanti di tutte le religioni e concezioni dei mondo presenti nei quindici Paesi membri. E di comune accordo i rappresentanti religiosi d’Europa hanno voluto per presidente uno che religioni non ne ha.

A parte quell’accordo, però, gli atei non si sentono sufficientemente riconosciuti, alla pari delle Chiese, da molti Stati. Di qui il bisogno di «venire allo scoperto», magari on line o prendendo carta e penna per scrivere lettere di «sbattezzo» alla parrocchia dove si è stati registrati. Un outing non diverso da quello dei movimento Glbt (Gay, lesbian, bisexual, transgender), del quale molti atei si sentono compagni di strada in quanto discriminati, tanto da partecipare con le proprie associazioni ai Gay pride. Fra l’altro, non sono pochi i gay diventati atei a causa dell’intransigenza della Chiesa cattolica nei confronti delle diversità sessuali.

Se sul piano filosofico la scelta atea o agnostica lascia aperti molti problemi (rispondendo alla lettera di una non credente, proprio la settimana scorsa Umberto Galimberti, su D, spiegava di preferire alla militanza atea o religiosa la «solitaria persuasione che vive nel segreto dell’anima»), ciò che più sta a cuore ai promotori dell’outing è il piano pratico, della vita quotidiana. Spiega Giorgio Villella, segretario nazionale dell’UAAR (www.uaar.it): «Tanti sono battezzati, ma ora non credono più. Eppure, in ogni statistica sulla religiosità in Italia, sono contati come cattolici».

La «campagna per lo sbattezzo» non è una novità assoluta. Già dagli anni Ottanta la promuove un’associazione di area anarchica (www.abnet.it/papini/anticler/sbatte.htm) che fornisce a pagamento un «certificato di ateismo». Ma è nel ’99 che il Garante della privacy ha sancito il valore giuridico della richiesta (poi confermato da una sentenza dei tribunale di Padova) e l’obbligo da parte dei parroci di annotare nei registri battesimali la «presente condizione di non cattolico». Gli effetti, in particolare nei piccoli centri, sono ancora imbarazzanti. Ne conosce parecchi Mitti Binda, responsabile dell’UAAR in Lombardia. Una dolce signora «cresciuta in una famiglia molto cattolica», che iniziò a riflettere «quando volevo fare il chierichetto e mi dissero che le femmine non potevano».

Racconta: «Nel ’68 ero una giovane adulta. E, curiosamente, fu la lettura di una rivista di cattolici di sinistra, “Mani Tese”, a farmi capire tante cose. Ho smesso di andare a messa verso i trent’anni. Poi ho combattuto per mia figlia tutta la vita: per non battezzarla, perché non fosse discriminata a scuola, che per fortuna non prevedeva ancora la religione alla materna come è invece dall’84, per merito di Craxi. Ed è una mostruosità: bambini di tre anni che tornano a casa piangendo perché “esiste” l’inferno… Se hanno genitori non religiosi, vengono terrorizzati con la notizia che loro ci finiranno di certo. All’epoca mia figlia non ha dovuto subire queste cose. È stata esonerata alle elementari, poi l’ho mandata a fare religione alle medie: volevo che sapesse e giudicasse da sola. E, amando l’arte, volevo che capisse chi sono i personaggi dei Cenacolo, per esempio. Intanto le avevo spiegato che io credo nell’Uomo e non in qualcosa che trascende. C’è una cosa che non capisco: perché nell’UAAR le donne siano poche. Eppure qui sono aperti, per niente maschilisti, mentre la Chiesa reprime la donna in ogni modo. Non riesco a farmene una ragione».

Nei paesi e nelle cittadine, prosegue Binda, «i problemi per un ateo esistono, eccome. Infatti sono costretta a citare casi anonimi. Come quello di un signore che non si dichiara ateo perché, essendo medico condotto dei paese, il parroco non lo lascerebbe più lavorare in pace». Racconta ancora Binda: «Nell’hinterland di Milano un altro parroco ha fatto prendere un colpo a una sua parrocchiana molto anziana, terrorizzandola perché il nipote aveva chiesto lo sbattezzo. L’ha aggredita dicendole che era un ragazzo degenere e che l’intera famiglia sarebbe finita all’inferno. Ci sono tanti casi simili: i parroci telefonano a casa gridando che il battesimo è indelebile. In effetti l’annotazione non cancella l’avvenuto evento, ma semplicemente sancisce che quella persona ha cambiato idea». E c’è chi, sempre anonimo, racconta di vivere nella propria condizione di ateo un perenne rischio di discriminazione. Una signora di 35 anni cresciuta in una famiglia atea, dice di averne dovuto rendere conto per tutta la sua carriera scolastica: «Alle elementari ho dovuto cambiare classe perché la maestra faceva esempî religiosi per spiegare qualsiasi cosa, dall’educazione civica alla teoria dell’evoluzione. Al liceo, una professoressa di matematica con i miei genitori sbottò: “Ma voi che gente siete? Perché vostra figlia non fa religione?”. Ero un problema. Ma l’esperienza più brutta l’ho avuta nel ’98: un aborto terapeutico al quinto mese di un feto anencefalico. Un’infermiera, uscita dalla sala operatoria, mi disse: “Era una bambina, l’abbiamo battezzata Natalina”. Andai su tutte le furie. La caposala precisò che in realtà non era stato fatto nulla, ma nessuno venne a scusarsi. Ed era un grande ospedale, il San Carlo di Milano. Pieno di crocifissi e preti con tanto di medico obiettore che prima dell’aborto mi veniva a chiedere di portare avanti la gravidanza. Eppure, non avrei potuto neppure donare gli organi».

All’UAAR si rivolgono anche gli anziani che vorrebbero non essere sepolti con rito religioso. «Storie a volte davvero molto tristi», racconta Mitti Binda. «Ho appena provato ad aiutare un veneto e un piemontese, ma per loro di fatto decidono i parenti. Anche per la cremazione ci sono ancora tanti problemi».

E poi, c’è la questione delle tasse. Gli atei militanti contestano le cifre date dal Vaticano riguardo alla quantità di cattolici esistente in Italia. Negli atti di un recente convegno della Pontificia università urbaniana (Fenomeno religioso oggi) si valuta che quasi l’80% degli italiani sente un’«appartenenza» cattolica, che il 18,8% non ha appartenenze religiose e che nel mondo gli atei sono 300 milioni, più 1 milardo e 700 milioni di agnostici.

Per i circa mille aderenti all’UAAR il problema è la «bonifica statistica» di tutti quanti, pur non essendo più cattolici, non lo dichiarano. «Se devo fare delle cifre», aggiunge Villella, «invito alla lettura della “Storia dell’ateismo” di Georges Minois (Editori Riuniti, 2000). Lì è riportato un dato: in Europa, i non religiosi sarebbero un 25% e in Italia un 16%. Noi non abbiamo soldi per fare statistiche, quelle dell’università Pontificia mi vanno benissimo: il 18,8% vuoi dire 10 milioni e 800 mila persone». In più, c’è l’Otto per mille. Sul sito dell’associazione si spiega come funziona il meccanismo in base al quale, come per le elezioni, le percentuali (in questo caso di soldi) vengano divise fra le quote delle scelte espresse: chi non sceglie, finisce con il dare il «voto» al gruppo maggioritario. Intanto la stessa UAAR è divisa a metà su un punto importante.

Spiega Vera Pegna, vice presidente della Federazione europea: «Metà di noi non vuole alcun rito, è atea convinta. Un’altra metà, come la maggioranza dei non religiosi, non crede, è indifferente, ma vuole altri riti, come il battesimo civile o una bella cerimonia per il matrimonio, che solo pochi Comuni offrono. Battaglia dopo battaglia, la militanza procede». «In Italia», dice Villella, «ci sono 30 gruppi. In Europa e nel mondo, proliferano». Il più ufficiale è l’international Humanist and Ethical Union, voce dei laici all’Onu: cinque milioni di aderenti (per l’Italia, l’UAAR e l’Associazione Giordano Bruno). Il più imprevedibile è l’Institute for the Secularization of Islamic Society, laico come l’intellettuale marocchino Abdou Filali-Ansary (autore dei recente Islam e laicità, Castelvecchi). Si batte per un dialogo fra progressisti. Contro gli integralismi.

(D, supplemento a la Repubblica del 27/9/2003)