Consultazioni sulla bozza di nuovo Statuto regionale con la Commissione Speciale Statuto del Consiglio Regionale della Toscana

Firenze, 13 ottobre 2003

Breve presentazione dell’UAAR

L’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti è l’unica associazione nazionale di atei e di agnostici ed è completamente indipendente da forze politiche o da gruppi di pressione di qualsiasi genere. L’UAAR si è costituita di fatto nel 1987 e legalmente nel 1991, intendendo così dare una voce ai più di 10 milioni di cittadini italiani - dati di fonte cattolica1 - che hanno una concezione del mondo che prescinde da qualsiasi convinzione religiosa: una cospicua minoranza, colta, moderna e informata, profondamente contrariata dalle battaglie religiose che allontanano l’Italia dal resto dell’Europa.

Il rigore e la serietà dell’UAAR sono garantiti dal Comitato di presidenza costituito da personalità di grande prestigio quali Laura BALBO, Margherita HACK, Piergiorgio ODIFREDDI, Pietro OMODEO, Floriano PAPI, Valerio POCAR, Emilio ROSINI.

In campo internazionale l’UAAR è membro associato dell’IHEU (International Humanist & Ethical Union), la confederazione delle associazioni di ispirazione laica e aconfessionale che è consulente ufficiale dell’ONU, dell’UNESCO, e dell’UNICEF, dove rappresenta milioni di membri associati. In campo europeo è membro della FHE (Fédération Humaniste Européenne), con sede a Bruxelles, consulente ufficiale del Consiglio d’Europa, del Parlamento europeo e della Commissione europea. Vera Pegna, vicesegretaria dell’UAAR, è altresì prima vicepresidente della stessa FHE.

L’azione dell’UAAR si sviluppa attraverso una serie di iniziative giuridiche e culturali che hanno spesso suscitato l’interesse dei mezzi di comunicazione nazionali i quali hanno dedicato alla nostra associazione ampî e spesso lusinghieri servizi2. Pubblica la rivista bimestrale L’Ateo e il sito Internet www.uaar.it, la più completa risorsa on line disponibile sui temi della laicità dello Stato. L’UAAR è oggi il canale privilegiato, se non l’unico, attraverso cui gli atei e gli agnostici italiani esprimono le proprie istanze.

L’UAAR è organizzata in sedici Circoli a base prevalentemente regionale. Firenze, sede del Circolo toscano dell’UAAR, è stata anche sede del congresso nazionale del 2001. Tra le varie iniziative che promuove il nostro Circolo sul territorio, ricordiamo l’organizzazione di conferenze mensili sui temi dell’ateismo e della laicità dello Stato. Cogliamo l’occasione per invitare tutti i presenti alla conferenza, da noi organizzata, che sarà tenuta giovedì 23 p.v. dal Prof. Francesco “Pancho” Pardi sul tema Laicità della cultura, laicità della scuola («Il Progresso», Via Vittorio Emanuele 135, Firenze).

Il panorama religioso toscano

Una consolidata tradizione attribuisce alla Toscana il primato della “miscredenza” in Italia. Nonostante la scarsità e la non sistematicità delle statistiche disponibili sulle tematiche religiose, ci permettiamo di evidenziare al Consiglio Regionale che questa leadership è lungi dall’essere scalfita.

La Toscana è la regione col maggior numero di non credenti e dove solo una minoranza della popolazione ha «molta o abbastanza fiducia» nella Chiesa cattolica3.

Le scuole della Toscana vantano il minor numero di avvalentesi dell’ora di religione (IRC) 4: il maggior numero di studenti che rifiutano di seguirne gli insegnamenti alle superiori si trova a Firenze (51,5%) e alle materne di Livorno (47,8%)5. Anche per quanto riguarda la destinazione dell’Otto per mille del gettito IRPEF, la Toscana è in coda, con l’Emilia Romagna, nelle scelte a favore della Chiesa cattolica4.

Sono dati confermati anche da parte cattolica: per fare un esempio, i frequentanti la messa festiva nella diocesi di Prato sono solo il 16,8% della popolazione6. E non è un caso che proprio da un parroco di Firenze sia partita la richiesta ai proprî superiori di chiarimenti sul modulo UAAR di comunicazione di abbandono della Chiesa cattolica, «scritto che giunge a diverse parrocchie»7. Sono dati, quindi, che inseriscono a pieno titolo la nostra regione tra le protagoniste dell’imponente fenomeno di secolarizzazione che sta investendo la parte più sviluppata del continente.

Noi Toscani rivendichiamo una cultura laica che nasce da molto lontano - non a caso già nel De Monarchia Dante rivendicava l’autonomia della sfera politica da quella confessionale - e non vogliamo, oggi come e più di ieri, che la religione influisca sulle nostre vite.

Lo Statuto della Regione Toscana

Uno dei punti di forza degli atei e degli agnostici è nel non dover rispondere a nessuno delle proprie idee. L’UAAR ne è una riprova: i suoi socî hanno orientamenti politici, economici e sociali fortemente diversificati. Conseguentemente la nostra associazione opera esclusivamente sulle materie di propria pertinenza che, nel caso dello Statuto regionale, ha individuato in due tematiche ben distinte: il rifiuto a ogni discriminazione basata sulla religione e la definizione del concetto di famiglia, temi entrambi affrontati nella bozza di Statuto.

Il rifiuto delle discriminazioni basate sulla religione

Gli atei e gli agnostici, nel nostro Paese, sono soggetti a discriminazioni di vario tipo: dall’impossibilità pratica di far impartire ai proprî figli (a opera di docenti specializzati) insegnamenti alternativi all’ora di religione cattolica alla negazione di ogni assistenza non religiosa nelle strutture obbliganti; dall’assenza di strutture pubbliche adeguate alla celebrazione di matrimonî e funerali laici alle enormi difficoltà pratiche, burocratiche e amministrative che comporta l’opzione a favore della cremazione. La vita dei non credenti è costellata di circostanze in cui l’aperta manifestazione della propria identità fa percepire loro una tangibile condizione di inferiorità nei confronti dei credenti.

Ben sappiamo che questa situazione attiene a un contesto che esula le competenze di stretta competenza regionale: sono tuttavia circostanze che nascono e si moltiplicano a causa di un testo costituzionale che, se da un lato ribadisce l’uguaglianza di ogni cittadino (art. 3), dall’altro disciplina il «diritto di professare liberamente la propria fede religiosa», senza estendere esplicitamente tale diritto a chi non ha una fede (art. 18)8. Solo attraverso molte lotte i non credenti hanno ottenuto delle interpretazioni del testo costituzionale più favorevoli (come sulla questione del giuramento9): un esplicito riconoscimento all’interno della Costituzione avrebbe garantito tale emancipazione fin dall’origine e impedirebbe gran parte delle discriminazioni ancora oggi presenti.

La bozza di Statuto della Regione Toscana, in corso di discussione, ripropone le stesse problematiche presenti all’interno della Costituzione italiana: se da un lato ribadisce l’uguaglianza di ogni cittadino (art. 3), dall’altro rifiuta ogni forma di discriminazione legata alla religione (art. 4), senza estendere esplicitamente la tutela contro le discriminazioni a chi non professa alcuna religione.

È opportuno ricordare in questa sede come i trattati e le convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, concernenti le garanzie a difesa della libertà religiosa, estendano esplicitamente tale libertà ai non credenti. Ne diamo alcuni esempî.

La Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, 1950, all’art. 9 recita: «1. Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti. 2. La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la pubblica sicurezza, la protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e della libertà altrui».

Il documento conclusivo della riunione di Vienna dei rappresentanti degli stati partecipanti alla Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, 1986-1989, all’articolo 16 recita: «Al fine di assicurare la libertà dell’individuo di professare e praticare una religione o una convinzione, gli Stati partecipanti, fra l’altro, 1. adotteranno misure efficaci per impedire ed eliminare ogni discriminazione per motivi di religione o convinzione nei confronti di individui o comunità per quanto riguarda il riconoscimento, l’esercizio e il godimento dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in tutti i settori della vita civile, politica, economica, sociale e culturale e assicureranno l’effettiva uguaglianza fra credenti e non credenti; 2. favoriranno un clima di reciproca tolleranza e rispetto fra credenti di comunità diverse nonché fra credenti e non credenti; (16.7) rispetteranno, in tale contesto, fra l’altro, la libertà dei genitori di assicurare l’educazione religiosa e morale dei loro figli conformemente ai loro convincimenti. (17) Gli Stati partecipanti … nelle proprie leggi e regolamenti e nella loro applicazione essi assicureranno la piena ed effettiva attuazione della libertà di pensiero, coscienza, religione o convinzione».

L’articolo 10, comma 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, 2000, recita: «ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti».

Il documento finale della Conferenza Consultiva Internazionale sull’educazione scolastica in relazione con la libertà di religione e credenza, tolleranza e non-discriminazione, organizzata a Madrid dall’ONU nel novembre 2001, precisa che il documento è stato redatto «con l’intesa che la libertà di religione o credenza include convinzioni teiste, non teiste e atee, così come il diritto di non professare alcun credo o religione».

In quanto atei e agnostici rimaniamo sempre profondamente delusi nel vedere i nostri rappresentanti politici che, da un lato, e da oltre mezzo secolo, sottoscrivono all’estero trattati e convenzioni che riconoscono esplicitamente i nostri diritti mentre, dall’altro, in patria si ostinano pervicacemente a omettere tale riconoscimento.

Oggi l’invadenza clericale, arrivata al punto di rivendicare «l’espressione di un pensiero non ortodosso e di minoranza che si sottrae al ricatto della maggioranza numerica»10 senza peraltro riconoscere questo stesso diritto alle altre minoranze, sta travolgendo la Costituzione che non prevede né uno Stato confessionale né distinzioni fra cittadini con differenti concezioni della vita.

Valgano come esempî una serie di recenti provvedimenti discriminanti cari alle gerarchie ecclesiastiche che, per ovvio contrappasso, costituiscono una grave ferita alla laicità dello Stato:

  • immissione in ruolo degli insegnanti di religione;
  • finanziamento della suola privata;
  • stravolgimento dei diritti delle persone sulla procreazione medicalmente assistita;
  • finanziamento di strutture confessionali come gli oratorî;
  • sostegno alle spese postali delle organizzazioni religiose e non alle organizzazioni filosofiche non confessionali.

In compenso registriamo:

  • blocco del testo sulla libertà religiosa, volto al superamento della legislazione sui «culti ammessi», risalente al ventennio fascista;
  • blocco della votazione parlamentare sulle intese con i Testimoni di Geova ed i Buddhisti, il cui testo fu sottoscritto dal governo nell’ottobre 1999.

Non a caso anche L’UAAR è in attesa da anni di una risposta da parte della Presidenza del Consiglio dopo il ricorso vinto presso il Consiglio di Stato in merito all’avvio di trattative per la tutela giuridica dei diritti dei cittadini atei e agnostici.

Per quanto riguarda l’esplicita tutela contro le discriminazioni nei confronti di chi non professa alcuna religione, non fa eccezione la bozza di Statuto della Regione Toscana che, pure in considerazione della minore religiosità sul proprio territorio, dovrebbe casomai garantire questa ampia minoranza accentuando tali diritti e assicurando pari opportunità fra chi professa e chi non professa alcuna religione.

Chiediamo quindi la riformulazione degli articoli 4 e 23

Art. 4 (finalità principali)
«La Regione tutela e valorizza la propria autonomia costituzionale e persegue, tra le finalità prioritarie di governo… il rifiuto di ogni forma di xenofobia e di discriminazione legata alla razza, alla religione, alle concezioni del mondo non religiose, all’etnia e a ogni altro aspetto della condizione umana».

Art. 23 (commissione pari opportunità)

  1. 1. Sono istituite con legge regionale le commissioni per le pari opportunità
    1. fra donne e uomini.
    2. fra organizzazioni religiose e organizzazioni filosofiche non confessionali.
  2. Le commissioni sono organismi autonomi, con sede presso il consiglio regionale e con funzioni consultive e di proposta nei confronti degli organi regionali.
  3. Il regolamento interno disciplina la partecipazione delle commissioni ai procedimenti consiliari.

Il concetto di famiglia

L’attuale bozza di Statuto, all’articolo 4, presenta due diverse formulazioni inerenti la famiglia. La formulazione (a) inserisce fra le finalità prioritarie del governo regionale «la tutela della famiglia e il riconoscimento delle diverse forme di convivenza familiare», la (b) solo «la tutela e la valorizzazione della famiglia».

Come atei e agnostici esprimiamo la nostra netta preferenza per la formulazione (a), benché riproponga ancora una volta una differenziazione tra “famiglia” e “convivenza familiare”.

È evidente come il concetto di famiglia, così come concepito negli ultimi secoli, sia oramai superato, in quanto nato in un’epoca monoculturale e basato sulla sacralità del matrimonio: una formulazione dottrinaria peraltro anch’essa relativamente recente, fissata solo nel XVI secolo dal Concilio di Trento. Lo stesso diritto romano, per fare solo un esempio, contemplava diverse forme di matrimonio: a riprova che il concetto di famiglia cambia adeguandosi alla società e alle opinioni che la pervadono, qualora tali opinioni si possano esprimere liberamente.

Le nuove coppie che oggi si formano prescindono, a maggioranza, dal dogma cattolico: la continua crescita del numero delle coppie sposatesi civilmente e delle convivenze etero e omosessuali non ha provocato solo il crollo nel numero dei matrimoni concordatarî, ma ha anche mutato profondamente il concetto di famiglia quale è inteso all’interno della società, specialmente tra le sue fasce più colte e informate11. Quasi tutte le nazioni europee caratterizzate da un elevato indice di sviluppo umano hanno già provveduto a registrare giuridicamente questo cambiamento, così come lo stesso Parlamento europeo: in Italia, purtroppo, dobbiamo ancora annotare le dichiarazioni di retroguardia di troppi esponenti politici e l’eccessiva prudenza di altri, che pure sarebbero, a parole, favorevoli a un adeguamento ai tempi.

La situazione nazionale è, in realtà, ancora peggiore: non solo le coppie conviventi non usufruiscono, in quanto tali, degli stessi diritti delle coppie sposate, ma non hanno nemmeno la possibilità di godere di alcuni diritti primarî. Stiamo parlando del diritto di assistere il proprio convivente malato anche contro il parere della sua famiglia di origine: stiamo parlando del diritto di disporre dei propri beni in favore del partner senza che una quota dell’eredità finisca alla famiglia di origine che, troppe volte, ha addirittura allontanato come indegno il testatore.

Il dibattito su questi temi è purtroppo gravato dalle pesanti e continue ingerenze vaticane. Ricordiamo cosa ha recentemente affermato in merito Giovanni Paolo II: «Ma di quale famiglia si tratta? Non certamente di quella inautentica basata sugli egoismi individuali. L´esperienza dimostra che tale “caricatura” della famiglia non ha futuro e non può dare futuro ad alcuna società»12.

Contro questo giudizio irridente e squalifcante, offensivo nei confronti di centinaia di migliaia di cittadini chiediamo al Consiglio Regionale un atto di civiltà, esplicitando nel testo definitivo la tutela delle unioni di fatto.

Conclusioni

La Conferenza Episcopale Toscana ha formulato anche in questa sede la richiesta che il Preambolo contempli la «dimensione religiosa e spirituale» della persona umana, e che sia «innegabile infatti che l’identità toscana si sia definita nel corso della storia attraverso il crogiolo dell’esperienza religiosa e specificamente del cristianesimo, come un aspetto fondamentale della cultura e della società». Affermazioni peraltro smentite dal testo dello stesso Preambolo, laddove la nostra Regione rivendica con orgoglio la primogenitura nella soppressione della pena di morte, mentre la Chiesa cattolica, oltre due secoli dopo, ancora la ammette.

Questa riaffermazione di orgoglio andrebbe tuttavia confermata nei fatti e non solo nelle dichiarazioni di principio. L’Italia è molto indietro, tra gli Stati dell’Unione Europea, nel riconoscimento dei diritti dei cittadini. La Toscana può almeno segnalarsi per essere all’avanguardia tra le regioni italiane, allineandosi a un futuro che è già presente. Atti che sembrano oggi di scarsa importanza per chi li compie saranno valutati e giudicati dai posteri, che potrebbero essere anche impietosi contro chi non ha abbastanza coraggio nell’affermare le proprie convinzioni.

NOTE

  1. Roberto Cipriani e Gaspare Mura (a cura di). 2003 - Il fenomeno religioso oggi - Tradizione, mutamento, negazione, inchiesta della Pontificia Università Urbaniana. Urbaniana University Press (Da il Tempo, 1° maggio 2003).
  2. Citiamo, restringendo le segnalazioni ai più significativi articoli apparsi sui quotidiani nazionali, il Corriere della Sera (11 marzo 2000), la Repubblica (18 novembre 2001; 13 luglio 2003), la Stampa (29 settembre 1999; 17 dicembre 2002), il Manifesto (7 luglio 2000), il Tempo (13 dicembre 2001), l’Unità (25 luglio 2002), Libero (17 febbraio 2001).
  3. Fonte: Franco Garelli. Religione e Chiesa in Italia. il Mulino 1991.
  4. Fonte: Luca Diotallevi. Religione, Chiesa e modernizzazione: il caso italiano. Borla 1999.
  5. Fonte: L’Espresso, febbraio 2001.
  6. Fonte: Avvenire, 13 febbraio 2000.
  7. Vedi il mensile Vita pastorale, luglio 2002.
  8. Articolo 19: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrarî al buon costume».
  9. Negli anni 1960/1961 due sentenze della Corte Costituzionale ancora negarono l’incostituzionalità del giuramento su Dio: visto che l’ateo non crede il suo giuramento vale come se fatto davanti agli uomini che, in Italia, sono a grande maggioranza credenti.
  10. Il 2 ottobre 1979 la storica sentenza n. 117 della Corte Costituzionale dichiarò illegittimo il giuramento su Dio, riconoscendo altresì come l’ateismo andasse tutelato anche nell’ambito dell’articolo 19 (libertà di religione, quindi, pur di segno negativo e opposto) e non dal solo articolo 21. Un concetto confermato dalla sentenza n. 203/89, che ribadiva il divieto a che «il pluralismo religioso limiti la libertà negativa di non professare alcuna religione».
    Il principio di laicità è stato utilizzato a tutela della libertà di coscienza, un concetto di oscurissima definizione, ma valorizzato per evitare «conflitti di lealtà fra doveri di cittadino e fedeltà alle proprie convinzioni» non solo agli obbiettori al servizio militare, ma anche ai non credenti cui si richieda un certo tipo di giuramento (Corte costituzionale, sentenza n. 149 del 1995).
  11. Fonte: Avvenire, 3 agosto 2003.
  12. Vedi l’inserto «Donna» di Repubblica dell’11 ottobre 2003.
  13. Affermazione formulata durante l’Angelus del 26 gennaio 2003.