Conoscere per capire

di Rosalba Sgroia, circolo UAAR di Roma

Verso un’educazione interculturale

«Dimmi babbo, cos’è il razzismo?»
«…È un comportamento piuttosto diffuso, comune a tutte le società tanto da diventare, ahimè, banale. Esso consiste nel manifestare diffidenza e poi disprezzo per le persone che hanno caratteristiche fisiche e culturali diverse dalle nostre»
.

Tahar Ben Jelloun. Il razzismo spiegato a mia figlia.

Alla globalizzazione economica, alla rapidità delle trasformazioni dovute alla massiccia espansione mass-mediale, si è affiancata una globalizzazione umana, nel senso che le azioni umane, ovunque nascano e si svolgano, determinano effetti anche nelle più lontane zone del mondo. Tutto ciò che accade, ormai, ci riguarda e, maggiormente in questo periodo, occorre essere consapevoli che si vive in un mondo in continua evoluzione, che molti immigrati testimoniano, con la loro presenza, le crisi e le diversità economiche, politiche, religiose ed etniche che si diffondono nel pianeta. C’è anche da considerare che «la storia dell’umanità è costellata da fusioni di gruppi diversi, quindi qualunque cultura non ha mai una sola origine; è una storia di lingue, religioni, saperi che si sono incontrati e che continuano a incontrarsi, fondendosi gli uni con gli altri» (M. Giusti. Una scuola tante culture, Fatatrac).

Occorre, quindi, scardinare ogni rischio di tentazioni xenofobe, razziste, etnocentriche e qualsiasi fondamentalismo religioso, posizioni che rendono sempre più difficile la convivenza pacifica e democratica. Questi cambiamenti hanno posto e continuano a porre problemi, sia sul versante politico-economico, sia su quello concernente la formazione. La nuova realtà sta progressivamente mettendo in discussione anche i tradizionali modelli educativi dell’Occidente; di qui è necessario un grande sforzo per cambiare prospettiva in tal senso, introducendo e potenziando la diffusione di nuovi saperi: psicologici, antropologici, storici, economici, linguistici, sociologici, naturalmente in uno scenario in cui la laicità sia un presupposto basilare perché ciò avvenga.

Teorie: Etnocentrismo e Relativismo Culturale - Superamento delle visioni assolutistiche

Nella frase iniziale del giornalista e romanziere marocchino Tahar Ben Jelloun, si è messa in evidenza la difficoltà di accettare le diversità in genere, il rifiuto degli individui a confrontarsi con modelli culturali di riferimento sconosciuti perché considerati destabilizzatori delle proprie identità individuali e sociali, arrivando ad assumere comportamenti che possono andare da una semplice insicurezza a un grave atteggiamento di chiusura ed esclusione di ciò che ha determinato il cambiamento. Spesso si parla di etnocentrismo come teoria della supremazia della propria cultura sulle altre, facendo riferimento ad accadimenti storici per cui sono stati commessi crimini di tutti i generi, dal colonialismo per “civilizzare” i cosiddetti “incolti e primitivi”, fino al fenomeno attuale del razzismo che ha provocato sterminî di massa, esaltando la superiorità di una razza, ma non si tiene presente un’altra accezione del termine. Lo studioso C. Tullio-Altan ha precisato che l’etnocentrismo naturale (autopreferenza, secondo C. Lévi-Strauss) è privo della connotazione negativa e si individua nell’amore dei proprî costumi e del proprio sistema di vita, atteggiamento necessario per mantenere la propria identità culturale, senza deprezzare le altre culture.

Secondo altri studiosi come N. Abbagnano e M. Santerini, si è assolutizzata anche la teoria del relativismo culturale, commettendo l’errore di considerare qualsiasi sentimento di “autopreferenza” come una chiusura al pluralismo e alla democrazia. Oltre a ciò, per un determinato periodo, questa teoria ha prodotto un isolamento tra culture, un blocco della possibilità di un confronto e di scambio tra culture diverse. È doveroso precisare, però, che la sua importanza risiede nel fatto di aver eliminato qualsiasi gerarchia tra culture, rivendicando il diritto alla dignità di ogni civiltà, essendo questa un prodotto della storia dell’uomo; in tale teoria antropologica, quindi, si è ravvisato il fondamento di un’educazione interculturale, grazie al principio della salvaguardia di tutte le culture.

Secondo la Scuola di Baden e H. Rickert, per superare il limite del relativismo e per arrivare a un’utile conoscenza, occorre poter giudicare, cioè accettare o rifiutare, approvare o disapprovare, sempre in una prospettiva di dialogo e anche di autocritica. Ciò è fondamentale per permettere confronti che superino contingenze storiche determinanti una tale cultura, e per promuovere l’individuazione di riferimenti generali, morali e civili, che vadano oltre le singole culture.

Per il filosofo contemporaneo Paolo Flores D’Arcais e anche per L. Secco, partendo da studiosi come Maritain, Kierkegaard, Husserl, è importante recuperare il concetto di persona e la salvaguardia della sua autonomia, difendendola dalle sopraffazioni ed emarginazioni, molto diffuse nelle società come quella attuale, valorizzando l’empatia, l’ascolto, la collaborazione e l’accettazione delle diversità culturali sulla base di una visione di una filosofia della persona, prima che su quella sociologica e antropologica.

Multicultura o intercultura?

«…esistono maggiori differenze socioculturali tra un cinese, un sudanese e un francese di quanto siano le differenze genetiche».

Tahar Ben Jelloun. Il razzismo spiegato a mia figlia.

Per “cultura” s’intende un sistema di orientamento specifico di un determinato gruppo che consente ai suoi componenti di dirigere le proprie azioni, i proprî pensieri; essa comprende stili di vita, valori e rappresentazioni simboliche che gli individui assimilano al proprio comportamento e sulla base dei quali costruiscono la propria identità, il proprio modo di sentire, di valutare.

Allo stato attuale, con i continui flussi migratorî, la cultura è sempre meno statica, non una semplice somma di usi e costumi, ma intesa nella sua veste dinamica, nella sua continua evoluzione.

Secondo molti studiosi, la multiculturalità è la constatazione della presenza di più culture all’interno di una società, mentre l’interculturalità sottolinea la relazione, lo scambio fra di esse e la necessità di una reciproca integrazione. La società Europea, da tempo, è di fatto multiculturale, ma non completamente interculturale; basti pensare ai numerosi episodî d’intolleranza e discriminazione razziale che avvengono attualmente. Limitarsi all’incontro tra le diverse culture non pone le basi per un’effettiva educazione interculturale: occorre rimuovere principalmente gli ostacoli sociali ed economici che molti soggetti incontrano nella nuova società in cui sono entrati a far parte, affinché queste persone dispongano di pari opportunità sociali, senza che la cultura d’origine risulti uno svantaggio.

Tipi di integrazioni tra diverse culture

  • Assimilazione: integrazione a senso unico. Obbligo di accettare i costumi della società in cui si risiede senza considerare la cultura dell’immigrato.
  • Coesistenza: permette il mantenimento dell’identità originaria, si associa alla marginalità e all’esistenza di un ghetto. Può creare dei conflitti.
  • Convivenza da partner: è la più interazionista e chiamerebbe in causa gli autoctoni che sarebbero impegnati in uno scambio reale con i nuovi arrivati.

Quest’ultima prospettiva potrebbe essere assunta per una reale evoluzione delle culture, sempre tenendo conto di un coinvolgimento di tutti i sistemi formativi nazionali.

Tra questi, la scuola, dunque, diventa il punto nevralgico per la costruzione di un’educazione interculturale, il laboratorio attivo in cui le affermazioni di principio vengono elaborate in forme organizzative e strategie didattiche concrete.

Percorsi didattici per un’effettiva educazione interculturale

È assodato che l’ambiente sociale nella scuola ha un’influenza importante sugli atteggiamenti degli studenti, sui loro interessi e sul loro impegno, ma anche sull’intervento degli insegnanti, prevenendo l’insorgere di conflitti determinati dalle numerose difficoltà di comunicazione dovute alle diversità di linguaggio, di simboli, di valori. Spesso queste diversità vengono, a torto, valutate dai docenti come condotte devianti e non come naturali modi di esprimersi legati ad una determinata cultura.

Quello che i docenti dei vari ordini di scuola possono realizzare per favorire la conoscenza e lo scambio delle diverse culture, soprattutto tra gli autoctoni, potrebbe essere sintetizzato così:

  • promuovere un’efficace accoglienza di base, accettazione, collaborazione, eliminando pregiudizî;
  • conoscere la cultura dei ragazzi immigrati, per favorire discussioni e scambi di opinioni;
  • acquisire nuove competenze di glottodidattica, per affrontare casi di bilinguismo;
  • facilitare le relazioni all’interno della classe: dialoghi, discussioni tematiche ad es. sull’amicizia, lavori di gruppo e di ricerca, d’ascolto di musica etnica, di visione di film, etc…;
  • favorire relazioni extra-scolastiche; aiutare a sviluppare il senso di responsabilità, autocontrollo;
  • proporre ad alcuni studenti di affiancare il nuovo arrivato in veste di tutor;
  • stimolare discussioni sugli aspetti culturali che accomunano i vari componenti individuando valori comuni da vivere;
  • avviare un progetto di educazione alla pace, trasversale a tutte le discipline.

Per concludere, mi sento di esprimere, in virtù della mia esperienza di insegnante, il mio sconcerto per come le attuali proposte di riforma del sistema scolastico voluto dalla Moratti non prevedano esplicitamente, o addirittura escludano proprio questi principî essenziali, in primis la laicità (non dimentichiamoci che esiste una “dissonanza contestuale” attualmente prodotta dalle fatidiche ore di I.R.C e non si fa quasi nulla per proporre materie davvero alternative), focalizzando l’attenzione sul recupero delle tradizioni dal sapore nostalgico e sull’importanza di un’espansione economico-commerciale. Lo sconcerto è anche per il clima che si sta delineando tra molti docenti che, essendo ormai dipendenti aziendali, sono risucchiati proprio dalle dinamiche organizzative proprie di un’azienda. Vestono, anche inconsapevolmente, i panni degli “arrampicatori sociali” e di promoter e rischiano di perdere di vista proprio le finalità educative proprie di un insegnante e cioè favorire la formazione di uno spirito critico e l’uguaglianza di opportunità sociali e culturali attraverso il reale contatto con la realtà degli studenti, finendo per lavorare in un’atmosfera di insoddisfazione, di poco ascolto e di discriminazione.

Bibliografia

  • F. Susi. Come si è stretto il mondo. Armando.
  • F. Susi, a cura di. L’interculturalità possibile. Anicia.
  • C. Desinan. Orientamenti di ed. interculturale. Franco Angeli.
  • Benedetti, Guspini. La didattica modulare: un approccio integrato. Anicia.
  • G. Petracchi. Multiculturalità e didattica. Ed. La Scuola.