Scuola dell’infanzia sempre più confessionale

di Claudio Tombari, Commissione Scuola UAAR

Il 13 novembre 2002 il Senato ha approvato il Disegno di Legge 1306 (riforma della scuola Berlusconi-Brichetto). La discussione in aula, tra ottobre e novembre, ha apportato modifiche peggiorative al testo originale del DdL approvato in sede di Commissione (2/10/2002), confermandone peraltro l’impianto reazionario, classista e integralista (cfr. L’Ateo 3/2002).

In particolare per quanto attiene la scuola dell’infanzia (da 2,5-3 a 5,5-6 anni) il testo approvato in aula (art. 2, p. 1, lett.e) appare, dal nostro punto di vista, assolutamente vergognoso. Applicando il principio «prendiamoli finché son piccoli» (sinite parvulos venire ad me), si legifera che «la scuola dell’infanzia […] concorre all’educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale delle bambine e dei bambini» - «morale, religioso» sono stati aggiunti con un emendamento nella discussione in aula - «nel rispetto della primaria responsabilità educativa dei genitori», emendamento approvato in aula che sostituisce «nel rispetto dell’orientamento educativo dei genitori» del testo originario Da quando la religione non è più per legge «fondamento e coronamento dell’educazione» è la prima volta che, in un testo di legge, la religione viene menzionata quale finalità istituzionale dell’educazione e non semplicemente quale materia d’insegnamento. Com’è noto, dopo il Concordato del 1984, nella scuola materna, è possibile non avvalersi dell’insegnamento della religione in quanto materia d’insegnamento, ma, dopo la riforma Brichetto, come sarà possibile «non avvalersi» della religione in quanto finalità educativa (lo sviluppo religioso) fissata dalla legge dello Stato? La differenza tra le due cose è macroscopica e la formulazione approvata in Senato, pone serissimi dubbi di legittimità costituzionale.

Il riferimento alla Costituzione risulta peraltro indigesto alla nostra ministra… Tant’è che al senatore Monticone (cattolico della Margherita) che su altro punto (art. 2, p. 1, lett. b) proponeva «sono promossi il conseguimento di una formazione spirituale e morale ispirata ai principî della Costituzione», la ministra Brichetto poneva come condizione per l’approvazione dell’emendamento l’aggiunta di un «anche» prima di «ispirata» (seduta 272 del 6/11/2002). Sicché nel testo approvato la formazione spirituale e morale risulta in parte ispirata alla Costituzione e in parte presumibilmente a qualche altra entità (presumibilmente Dio o i suoi profeti del Vaticano o di Arcore).

Dal nostro punto di vista il testo approvato risulta pertanto di una gravità inaudita.

L’autore degli emendamenti alla lett. «e» (approvati dalla maggioranza di centro destra e da una quota consistente dell’opposizione nella seduta 271 del 6 novembre 2002) si chiama Renzo Gubert, UDC, trentino e sociologo. Il testo degli emendamenti è godibile e val la pena di riportarlo: «Vi sono interrogativi radicali circa il senso dell’esistenza, l’origine e il destino del mondo, che in senso lato sono denominabili come attinenti alla sensibilità religiosa, ai quali la scuola dell’infanzia non può rispondere con la censura. La coscienza dell’esistenza di azioni buone o cattive, la formazione della sensibilità morale in senso generale, non certo precettistico, devono trovare nell’educazione dei bambini nella scuola dell’infanzia una specifica attenzione. Più tardi, nelle scuole elementari, medie e superiori, famiglie e studenti possono trovare, attraverso l’insegnamento della religione o di materie sostitutive, occasioni di formazione religiosa e morale, come nell’educazione morale concorrono altri insegnamenti, quale l’educazione civica. Nella scuola dell’infanzia però, siamo ad un livello diverso; non è utile stabilire cesure tra la sensibilità religiosa e morale vissuta dal bambino in famiglia e l’opera educativa della scuola. Gli orientamenti pedagogici che, più in dettaglio dovrebbero specificare attenzione alla sensibilità di tipo religioso potrebbero trovarsi senza base legislativa se tra le finalità della scuola dell’infanzia dovesse essere assente ogni riferimento alla dimensione religiosa, così come analoga considerazione si può fare per la dimensione morale, peraltro richiamata tra le finalità generali dell’intero sistema d’istruzione. Il riferimento alla dimensione spirituale non è al riguardo sufficiente, essendo tutta la cultura, tutte le scienze, attinenti alla dimensione spirituale». Mirabile summa di cattopedagogia, perle di integralismo allo stato puro, teocrazia arrogante con sottile vena di nostalgia pregalileiana nell’ultima frase (la cultura e le scienze sono spirituali ma, sfiga, non religiose).

Ma Gubert non s’accontenta, vuol chiudere il cerchio, e così prosegue: «Sempre con riferimento alla scuola materna o dell’infanzia si parla di “rispetto dell’orientamento educativo dei genitori”. Se davvero siamo convinti che la responsabilità primaria dell’educazione è affidata ai genitori, se veramente assumiamo il principio regolativo della sussidiarietà dello Stato rispetto alla società civile, la scuola, ed in modo accentuato nel periodo dell’infanzia, non deve avere finalità sue che sviluppa solo rispettando gli orientamenti dei genitori, ma dovrebbe avere come finalità quella di contribuire al pieno esercizio della responsabilità educativa dei genitori, certo avvalendosi delle capacità professionali degli insegnanti, con il loro coinvolgimento. È qualcosa di più del semplice rispetto».

Per Gubert e i suoi la scuola non è che la continuazione della famiglia con altri mezzi, gli insegnanti (e la scuola) sono prótesi della famiglia e la scuola materna andrebbe chiamata scuola «materna e paterna» e non scuola dell’infanzia. Dal suo malefico punto di vista Gubert trova intollerabile questo cancro illuministico del «rispetto dell’orientamento» che porterebbe frammentazione e differenziazione dove invece lui vuole vedere una concorde unicità dell’universo (etimo di cattolico) delle famiglie. Nessun «rispetto dell’orientamento» ma assunzione, quale prius da cui tutto discende, della famiglia e della sua responsabilità educativa. «Il rispetto della primaria responsabilità educativa della famiglia» che di per sé non significa nulla, serve in realtà solo a espungere qualsiasi traccia di pluralismo e rispetto degli orientamenti dei singoli e a evitare di prefigurare possibilità di scelta delle famiglie per quanto attiene l’avvalersi o meno dell’insegnamento della religione. Peraltro, per Gubert, la famiglia se è educativamente responsabile è di regola anche cattolica (se no è mussulmana o, peggio, deviante). È un problema di «identità culturale» della «nostra comunità di appartenenza»: sicché Gubert fa diventare legge dello stato italiano il conformismo confessionale più retrivo, oggi in crisi peraltro, con l’avanzare della secolarizzazione, anche nelle sue sperdute valli.

E bravo Gubert. Glielo dice per primo L’Avvenire (8 novembre 2002, p. 9 «Riforma Moratti, nella scuola materna anche l’educazione morale e religiosa») e del tutto a buon diritto: aver inserito in una legge dello Stato l’educazione religiosa quale finalità della scuola ha un indubbio valore storico, da tutti i punti di vista. Un colpo di coda insperato.

A questo punto scende in campo la task force dei cattopedagogisti di regime che con un linguaggio insopportabilmente svampito e pretesco scrive, per conto della Brichetto, le Raccomandazioni per lo svolgimento delle attività educative e didattiche nelle scuole dell’infanzia del sistema nazionale dell’istruzione (documento ufficiale del Ministero dell’Istruzione). Leggere per credere: «Il processo educativo promosso dalla scuola dell’infanzia mediante apposite e qualificate attività educative e didattiche, esercita e valorizza al massimo livello possibile le capacità affettive, psicomotorie, cognitive, operative, sociali, estetiche, morali e religiose dei bambini e le trasforma in competenze che appartengono al loro essere personale e che, perciò, essi impiegano con naturalezza nelle diverse situazioni di vita». Le «capacità religiose» (cosa diavolo sono?) che, come le altre elencate, risulterebbero innate, vengono esercitate, valorizzate e trasformate in competenze da impiegare con naturalezza per il resto della vita.

E ancora: «La scuola dell’infanzia rappresenta poi di per sé un luogo particolarmente adatto a orientare il bambino nel riconoscere e nell’apprezzare l’identità personale in quanto connessa alle differenze fra i sessi, ed insieme a cogliere l’identità culturale ed i valori specifici della comunità di appartenenza, non in forma esclusiva ed etnocentrica, ma in vista della comprensione e dell’incontro con comunità e culture diverse da quelle di appartenenza». Insomma, da piccoli ci si orienta verso l’identità personale scoprendo il proprio sesso e contemporaneamente si abbracciano i valori della comunità di appartenenza (identità culturale, cattolica ovviamente se si è italiani): due certezze da cogliere subito finché si è piccoli e da tenersi ben strette per il resto della vita, senza più pensarci.

Che dire? Solo augurarsi di poter leggere ai propri nipoti queste righe, a testimonianza di alcuni anni buî del nostro paese a cavallo del millennio. E riderci assieme.

Per ora invece non c’è proprio niente da ridere. Il testo del DdL 1306 (riforma della scuola) gubertianamente emendato, è attualmente (gennaio 2003) all’esame della Commissione della Camera dei Deputati e fra un po’ andrà in aula per essere approvato.

I testi citati si trovano in www.istruzione.it e in www.parlamento.it.