Lettera al Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Verona

Al Consiglio dell’Ordine degli avvocati

e p.c. ai Presidenti degli altri Ordini professionali
ad alcuni Professori dell’Università di Verona
ad alcuni Avvocati scelti casualmente

Egregi Signori,
un cittadino italiano che voglia esercitare la professione forense deve essere, per legge, iscritto all’albo degli avvocati. Tra le condizioni previste dalla legge per l’iscrizione all’albo degli avvocati non c’è quella di avere o non avere una credenza religiosa. Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati ha la funzione, tra le altre, di custodire l’albo professionale ed il potere disciplinare nei confronti degli iscritti.

L’azione del Consiglio dell’Ordine deve ispirarsi ai principî costituzionali dell’imparzialità e della non discriminazione dei proprî iscritti. Come la Repubblica italiana, anche l’Ordine degli avvocati non ha una religione ufficiale. Nell’ipotesi, tutta da verificare, che la maggioranza degli iscritti appartenga ad una determinata confessione religiosa non comporta, e non può comportare, che quella sia la confessione ufficiale dell’Ordine.

Qualora il Consiglio dell’Ordine promuova un rito di una determinata confessione religiosa, viene a privilegiare gli appartenenti a quella confessione religiosa e, quindi, a discriminare gli iscritti che fanno parte di altre confessioni religiose oppure siano atei o agnostici.

Ci risulta che da alcuni anni il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Verona promuova il rito cattolico della messa in onore di S. Pietro Martire. L’ultimo rito è stato celebrato venerdì 7 giugno 2002 alle ore 18,30 presso la chiesa di S. Anastasia.

Desta meraviglia che gli avvocati veronesi abbiano assunto (o sia stato loro dato) come patrono Pietro da Verona, che per secoli fu il patrono dell’Inquisizione. Lo dice la Pontificia università lateranense: «…furono specialmente gli inquisitori dei secoli successivi che reclamarono il suo patrocinio ed esaltarono in lui il loro protettore celeste, gli diedero la fisionomia spirituale dell’inquisitore ideale del loro tempo» (Bibliotheca Sanctorum, Istituto Giovanni XXIII della Pontificia università lateranense, 1982, vol. X, pag. 762).

Forse, Pietro da Verona potrebbe essere il patrono dei pubblici ministeri, che nel processo penale rappresentano la controparte degli avvocati. Ma ritiriamo subito questa ipotesi perché non vogliamo offendere i pubblici ministeri. Pietro da Verona, infatti, fu un intollerante, un fanatico, un fazioso. La libertà di coscienza, la libertà di parola, la libertà di religione per Pietro da Verona erano fenomeni da perseguitare, da reprimere, da estirpare, anche con la violenza. Ce lo dice un suo confratello domenicano, sulla base di tutte le biografie scritte in precedenza: «Fece ritorno a Firenze il nostro santo, e trovati quivi gli eretici in tanto numero, ed in sì autorevole presenza, risoluto, a costo di qualunque pericolo, di sterminarli e di perpetuamente esigliarli da quella illustre città» adunò i cattolici e «dimostrò la necessità di prendere l’arme lontra gli eretici per difendere la santa fede, e per liberare la patria da una tal parte infernale». Organizzato un drappello di Crocesegnati, «lor comandò che andassero a combattere gli eretici con l’arme e con la forza». I cattolici «dopo aver superato con molta strage gli eretici, li sbaragliarono e li costrinsero a fuggire con precipizio dalla città» (Pier Tommaso Campana, Storia di S. Pietro Martire da Verona, Milano, 1741 - con licenza dei superiori). La presenza di Pietro a Firenze dovrebbe essere fissata nel 1244-1245.

Non risulta neppure che Pietro da Verona abbia fatto studi giuridici. I biografi narrano che all’università di Bologna Pietro abbia seguito corsi di grammatica e materie affini. L’unico scritto che ci è pervenuto e per il quale è stata fatta l’ipotesi della sua paternità (vedi Une somme contre les heretiques de S. Pierre Martyr (?) di Thomas Kaeppeli o.p. in Acta Fratrum Praedicatorum, 17 - 1947) è il manoscritto Contra patarenos Petri Martiri conservato a Perugia (Bibl. Comunale, cod. 1065), che è uno scritto di teologia e non di diritto. L’attività di Pietro per tutta la vita da adulto, e comunque negli ultimi vent’anni della sua vita, non fu giuridica ma di persecuzione contro gli eretici. «Se fin dal 1233 Gregorio IX ha potuto incaricarlo della missione contro gli eretici a Milano fu per il fatto che egli era già conosciuto per il suo zelo e la sua autorità in questo ministero» (Kaeppeli, op. cit.).

Permetteteci, in finale, dopo aver citato tutte fonti cattoliche, di ricordare quanto ha scritto un intellettuale laico, Piero Giannone, circa l’attività di Pietro da Verona nei confronti degli eretici: «Non trascurava diligenza per punirli; onde alcuni incarcerava, ad altri dava il bando, e gli ostinati in balia della corte secolare faceva con l’ultimo supplizio del fuoco punire, ed avea già fatte molte esecuzioni, ed ordinato di farne delle altre dopo Pasqua di Resurrezione» (Capitolo XV del tomo secondo della Storia civile di Napoli). Pietro venne ucciso il giovedì santo del 1252.

Distinti saluti.

Verona, 21 Ottobre 2002
Il comitato direttivo del Circolo UAAR di Verona