Breve nota sull’ultimo Rapporto Istat sulla popolazione italiana

di Tiziana M. Ficacci, Roma

Nei giorni scorsi l’Istat ha diffuso i dati sulla popolazione italiana. Come sempre succede, i media hanno dato ampio risalto ai dati sulla diminuzione delle nascite nella famiglia italiana, a fatica ripianata dalla temuta prolificità degli immigrati. Un dato assolutamente in tendenza con il resto del mondo occidentale ma che in Italia, per una forma di razzismo strisciante e per l’invadenza della Chiesa romana (gran parte dei nuovi nati in Italia, per tradizione culturale, spesso non hanno genitori di religione cattolica), preoccupa.

A partire dagli anni Settanta, in sintonia con l’Occidente, nel nostro Paese si è registrata una forte diminuzione dei matrimonî e si sono diffusi nuovi modelli di comportamento: convivenze, seconde nozze in età avanzata, coppie omo, famiglie singole, lunga permanenza in casa dei giovani.

Se leggiamo i dati del Rapporto Istat vediamo che nel 2005 ben due terzi dei maschi fra i 25 e i 29 anni, e il 41% delle femmine, vivevano ancora con i genitori (e i dati non variano troppo per chi ha un lavoro, né tra il Nord e il Sud).

Gli italiani sempre più vivono da soli (22,4%). Il 30% delle coppie non ha figli e oltre il 50% delle coppie ha un solo figlio. Emerge dal rapporto una famiglia molto semplificata e ridefinita.

Le giovani mamme, o le madri singole, sono in numero nettamente inferiore rispetto al resto dei Paesi occidentali e in particolare del Regno Unito e degli Stati Uniti. I rapporti sessuali sono meno precoci che in quei Paesi e comunque le giovani donne fanno ampio ricorso alla contraccezione. L’aborto è in costante calo, e più diffuso fra donne sposate già con figli e tra le immigrate.

Il leggero incremento della popolazione (nel 1997 la crescita in Italia segnò un arresto che fece titolare al New York Times «Il caso italiano») è determinato quindi dai flussi migratorî che anche in Italia stanno raggiungendo il livello di altri Paesi europei (Francia, Germania, Regno Unito).

Andamento della popolazione in Italia

La caduta dell’Impero romano, le invasioni barbariche, le epidemie di peste nel Trecento e nel Seicento hanno alzato la mortalità provocando riduzioni della popolazione. In seguito anche l’emigrazione (tra il 1870 e il 1970 hanno lasciato definitivamente l’Italia 10 milioni di emigrati) contribuì al calo. Negli ultimi trecento anni, però, la popolazione è aumentata, raddoppiando di più di due volte.

Il quadro demografico si è modernizzato a partire dalla prima metà dell’Ottocento, prima nel Nord e nel centro, diffondendosi ovunque entro la prima metà del Novecento1.

Poi la brusca accelerazione verso la fine dei Settanta: il calo delle nascite, che si sono ridotte al punto di prevalere sui fattori congiunturali che, dopo la guerra e negli anni del boom economico avevano alzato il numero medio di figli per donna a 2,7 nel 1964. La discesa è proseguita fino a raggiungere livelli (1,29 figli per donna) mai sperimentati prima.

I nuovi nati, che speriamo quanto prima siano italiani per diritto di nascita, oltre a portarci alla composizione multietnica degli altri Paesi (e in questi giorni abbiamo avuto sotto gli occhi la squadra dei bei giocatori francesi) aiuteranno a salvare gli inevitabili squilibri demografici, sociali ed economici che l’invecchiamento della popolazione comporta.

Note

  1. Carl Ipsen. Demografia totalitaria. Il Mulino, Bologna 1992.