Abuso della credulità popolare e porte sante

(a proposito di alcuni articoli pubblicati su Repubblica)
  • a Marco Politi e Orazio La Rocca (La Repubblica)
  • ai media

La differenza è nell’atteggiamento con cui si affronta un fatto.

Quando la madonna di Civitavecchia iniziò a piangere sangue, ci furono magistrati che indagarono, e giornalisti che con tono pomposo, saccente o ironico scrivevano di indagini per «abuso della credulità popolare».

Non si capisce perché lo stesso reato non sia ipotizzabile per chi convince 25 milioni di persone che il passaggio sotto una qualsiasi porta santa possa avere effetti rilevanti.

Vaticano, Rai e media hanno gareggiato nel sostenere, spesso implicitamente, che il passare sotto quelle porte portasse vantaggi concreti, omettendo di sottolineare che il primo «vantaggio» è quello della omologazione culturale, più o meno come avviene agli adolescenti nei confronti delle mode, dell’abbigliamento, o dei vari Take That di turno.

Le quindicenni che piangevano di gioia al passaggio del divo musicale erano osservate con distacco dai cronisti. Una distanza un po’ inferiore era quella percepita da essi verso le donne ignoranti che si accodavano per ore verso la madonnina piangente.

Nessuna distanza invece ha separato i media dal giubileo del Vaticano: sessantenni plurilaureati, ministri e parlamentari che ripetevano a comando i gesti del santone di turno sono stati osservati con serietà e magniloquenza da cronisti affermati e ritenuti competenti.

A Civitavecchia i magistrati incaricarono dei periti e dei laboratori, per analizzare il sangue. Non si capisce perché lo stesso non si possa fare per misurare gli effetti del passaggio sotto la porta santa; e proprio non si capisce perché chi ha paura di passare sotto una scala di un operaio sia ritenuto “superstizioso” mentre chi si impegna per attraversare una porta “santa” sia considerato un tipo serio e adattato. Non viene spiegato cosa distingue astrologia e superstizione dalla religione, Branko da Wojtyla, le sette religiose dalla Chiesa cattolica, corni e tarocchi dai crocefissi, il rito del Totogol da quello delle indulgenze.

Come mai due atteggiamenti diametralmente opposti?

Marco Politi su la Repubblica usa un linguaggio tra il poetico e il patetico scrivendo di «…migliaia di uomini e donne, di giovani e anziani, che […] avanzando silenziosamente passo dopo passo si avvicinano alla Basilica, testimoniano l’ansia di raggiungere il Divino attraverso l’atto simbolico di varcare una soglia di speranza […] fiumana di cuori, che […] si è riversata attraverso la magica Porta. Sono i messaggeri di una fede che avrà molte cose da dire anche nel nuovo secolo». E poi, coerente e dogmatico, chiude le orecchie e gli occhi a qualsiasi critica: «Sono lì e basta. Vogliono “entrare”, spinti da un antico bisogno di rinascere», ma forse lui non usa questo tono per descrivere le mode giovanili, i Pokemon, i videogiochi.

E vuole eliminare del tutto la possibilità di valutazioni diverse dalla sua concludendo: «Non ha senso tentare di sminuire la portata di questo evento», invece il fenomeno religioso è indagato da decenni, con moltissimo senso, da antropologi e sociologi, in manuali scolastici disponibili in qualsiasi libreria, ed è visto come uno dei tantissimi fenomeni culturali. Altro che assenza di senso…

Politi prosegue il suo magnificat: «Ma sbagliano quanti […] non avvertono che c’è stata nel grande corpo del cattolicesimo un risveglio, una riscoperta del valore del rito», ecco un esempio della pomposa valorizzazione della sottomissione acritica e passiva ai rituali imposti dall’alto.

Riguardo a: «La messa solenne e partecipata al posto delle cerimonie fast-food consumate frettolosamente prima del week-end», il più tipico degli esempi lo abbiamo avuto a Tor Vergata; stendiamo un velo pietoso…

Orazio La Rocca scrive «…interamente dedicata ai bambini. Ne arrivano circa seimila, accompagnati da genitori, catechisti, volontari, dall’Italia»: non si capisce perché un diciassettenne sia ritenuto incapace di votare un parlamentare, mentre neonati e bambini siano ritenuti capaci e liberi di scegliere un modo di vivere tra mille altri. Prosegue citando le parole dell’arcivescovo Crescenzio Sepe: «Non si poteva non chiudere con la gioia di questi bambini, piccoli ambasciatori di pace e di speranza ai quali il Santo Padre ha giustamente affidato l’arduo compito di portare la felicità nel mondo per gli anni futuri». Come se neonati e bambini avessero scelto autonomamente.

Politi scrive: «L’inginocchiarsi nel confessionale per fare un bilancio dell’esistenza. L’abbandonarsi al ritmo lento della preghiera e del colloquio silenzioso con Dio» e può essere utile citare Nietzsche: «che la fede renda beati in qualche caso, che la fede non trasporti i monti, ma che li ponga molte volte dove non esistono, di tutto ciò darà una prova sufficiente una rapida visita a un manicomio» (da L’Anticristo). Questione di punti di vista.

La prossima volta che si fingerà stupore perché gli adolescenti non conoscono Giotto (sondaggio dell’aprile 1999 - poco prima dell’orgasmo mediatico pecoreccio di padre Pio), la prossima volta che si fingerà scandalo per l’arretratezza culturale e sociale dell’Italia (milioni di analfabeti italiani - ottobre 2000), la prossima volta che si fingerà polemica per i pochissimi fondi dedicati alla ricerca scientifica, per le catastrofi ambientali, per l’assenza di senso civico o di sentimento nazionale, per certi giornalisti sarà utile volgere lo sguardo allo specchio e al modo con cui si sono avvalorati gli atteggiamenti magici e superstiziosi.

Sorvoliamo del tutto (oppure ce ne informerà Marco Politi) sugli effetti frustranti e psicopatologici derivanti dal sentirsi prigionieri di norme etiche esterne, e dall’immaginare divinità onniveggenti e morali. Con questo si realizza il principio fondamentale delle culture autoritaristico repressive: il controllo di un essere vivente impostato sul deterrente delle sanzioni morali e delle punizioni, operando un bieco e subdolo condizionamento della speranza di una vita oltre la morte sulla base di una negazione sistematica del diritto all’autodeterminazione dell’uomo (adattato da: Roberto Verolini, Il Dio laico: caos e libertà, ed. Armando).

Roba da Amnesty International; più che un altare servirebbe un tribunale speciale.

Massimo D’Angeli