Laicità e laicismo: una falsa dicotomia

di Mauro Marconi

In questi giorni - causa le interminabili discussioni sui consultorî, la pillola RU486, l’ICI e quant’altro - le alte gerarchie ecclesiastiche e non pochi politici di vari partiti stanno dando fondo a tutta la loro riserva di fantasia per rimarcare una presunta distinzione tra “laicità” e “laicismo”.

La laicità, dicono costoro, è il giusto riconoscimento dell’indipendenza dei poteri dello Stato rispetto al Magistero della chiesa di Roma, mentre il laicismo - che assume una chiara connotazione spregiativa - non sarebbe altro che una forma neanche troppo mascherata di persecuzione sistematica nei confronti del Vaticano, una sorta di bavaglio ideologico col quale alcuni intenderebbero impedire che la chiesa si pronunci sulle questioni e sui problemi d’oggi.

Che cosa c’è di vero in tutto questo? Siamo proprio sicuri che i non credenti italiani abbiano l’intenzione di censurare Ruini e compagnia? O è tutta una manfrina per continuare come e peggio di prima? Cerchiamo di capirci qualcosa.

Non c’è dubbio che la libertà di parola e l’espressione civile e pubblica delle proprie opinioni siano valori ormai ampiamente condivisi, aldilà del fatto che ci si professi credenti o meno. Anche le associazioni dichiaratamente atee e/o agnostiche - come l’UAAR - riconoscono la necessità e la positività del libero confronto di idee. In particolare l’UAAR si batte per la più completa libertà religiosa e filosofica. “Laicità” significa proprio questo: riconoscere la legittimità dell’espressione del pensiero altrui, senza prevaricazioni, senza pretese dogmatiche.

In merito a numerose questioni che riguardano la società contemporanea, le gerarchie ecclesiali hanno più volte tacciato di “relativismo etico” la posizione di chi mette sullo stesso piano i valori morali aconfessionali e quelli cattolici. Come dovremmo definire l’atteggiamento di coloro che considerano “più veri” i propri principî etici perché derivanti da dogmi, ovvero da “verità” per definizione indiscutibili (e quindi indimostrabili)? Non è forse tale atteggiamento intriso di prevaricazione e di superbia intellettuale? I cattolici ritengono un loro dovere fornire indicazioni ai credenti sui più svariati temi sociali, ma non si rendono conto che per fare ciò irrompono quotidianamente nelle case di tutti gli italiani, riuscendo spesso a influenzare anche il potere politico. Poco male, penserà qualcuno, se oltre a questo non si fosse costretti ad ascoltare le assurde lamentele sulla presunta marginalizzazione del Vaticano. Tutto si può dire tranne che il Vaticano stia oggi subendo censure da parte del potere politico o mediatico!

Che cos’è allora che non va a genio al papa e ai cardinali? Non va a genio il fatto che la nostra società abbia iniziato, e da tempo, a svincolarsi dai lacci della morale cattolica, e in generale veda con sempre maggiore fastidio l’ingerenza religiosa nelle faccende dello Stato. Non credo che dipenda solo dall’escalation del terrorismo integralista nel mondo: c’è di più. Gli uomini vogliono maggiore libertà individuale e collettiva, e questo obiettivo lo si può raggiungere solo attraverso una maggiore libertà intellettuale e uno spirito critico più maturo. Le religioni ci insegnano a pregare, a credere nell’anima immortale, a riporre la nostra fiducia in un ente soprannaturale, ma non ci insegnano ad aver fiducia nelle nostre capacità razionali (anche per i cristiani più illuminati, la ragione è insufficiente per afferrare la “verità”).

Contro questo desiderio di libertà e di autonomia intellettuale la chiesa ha eretto una finta barricata - il “laicismo” - dietro cui non esita a confinare tutti coloro che dissentono dal suo modo di intendere il libero confronto delle idee.