Crocifissi: domande e risposte

LA CORTE DI STRASBURGO E IL CROCIFISSO NELLE AULE SCOLASTICHE

DOCUMENTI E ARGOMENTAZIONI PRO E CONTRO

 

13/09/2010

 

È UNA QUESTIONE DI RECIPROCITÀ

TESI. «Da questa stessa Europa tanto amichevole e giustamente con l’Islam non ho mai sentito parole chiare e forti sulla necessità di reciprocità di libertà di culto in taluni paesi islamici nei quali i cristiani non possono professare la loro fede e neppure farsi il segno della croce» (L’arcivescovo di Brindisi-Ostuni, mons. Rocco Talucci, Crocifisso e minareti non sono assimilabili, pubblicato sul sito Pontifex).

LA RISPOSTA UAAR. È curioso che in Italia la laicità dello Stato appaia come una concessione all’islam. La laicità dello Stato è un contrassegno della modernità occidentale, una conquista che segna l’emancipazione delle istituzioni pubbliche dalla sottomissione al potere religioso, non un patto di reciprocità tra il cattolicesimo e un’altra specifica religione mediterranea, o tra l’Italia e l’Arabia Saudita. Se in Iran o in Arabia Saudita non c’è libertà di religione e invece in quasi tutti i paesi occidentali questa libertà c’è, l’Italia a quale gruppo di paesi desidera appartenere? Non possiamo abbassare il nostro livello di civiltà per rendere a qualcuno la pariglia, né possiamo ragionare in termini di contropartite. Esistono del resto molte altre religioni al mondo, oltre all’islam: e in Italia vivono dieci milioni di atei e agnostici, un numero di cittadini molto maggiore di quello dei musulmani. Occorre tener conto anche di loro.

 

È UN SIMBOLO DI AMORE E DI ACCOGLIENZA

TESI. «Questo simbolo religioso è simbolo di amore universale, non di esclusione ma di accoglienza» (dichiarazioni del Segretario di Stato della Città del Vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone, 3 novembre 2009).

LA RISPOSTA UAAR. Il crocifisso, come tutti i simboli, ha una pluralità di significati. Ma il suo messaggio più immediato, agli occhi di un osservatore non al corrente della vicenda raffigurata, non è certo un messaggio di amore: il crocifisso riproduce infatti la cruenta esecuzione della condanna a morte di un uomo. Non a caso, tra le interpretazioni religiose più diffuse c’è quella del sacrificio e della sofferenza, ed è per questo motivo che altre confessioni cristiane preferiscono utilizzare una semplice croce. Il crocifisso ha del resto avuto a lungo un immediato significato accusatorio nei confronti degli ebrei, per secoli definiti “deicidi” dai cristiani: e nel corso della storia è stato anche il simbolo di guerre, di persecuzioni, di discriminazioni (suggerisce nulla la parola ‘crociata’?). Il crocifisso non è dunque universalmente inteso come un simbolo di amore o di accoglienza: immagini come quella del cuore  o della stretta di mano sono senz’altro in grado di assolvere più compiutamente a questo compito.

 

È UN SIMBOLO DI DIO

TESI. «È importante che Dio sia visibile nelle case pubbliche e private, che Dio sia presente nella vita pubblica, con segni della croce, nelle case pubbliche». (Benedetto XVI, durante l’omelia per la messa dell’Assunta celebrata nella chiesa parrocchiale di Castelgandolfo, 15 agosto 2005).

LA RISPOSTA UAAR. Dovrebbe essere evidente che gli edifici pubblici non possono essere un luogo dove si promuove la religione, o qualunque altro simbolo di parte. Il crocifisso, ammette il papa, è un simbolo religioso, perché rappresenta una divinità, ma l’essere umano ha fondato e fonda in misura sempre maggiore la propria esistenza su un’etica che non prevede le divinità, e ha concepito e concepisce ancora oggi l’esistenza di migliaia di divinità: perché privilegiare quella cattolica?

 

È UN SIMBOLO LAICO

TESI. Il crocifisso è «un simbolo idoneo a esprimere l’elevato fondamento dei valori civili che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato» (il Consiglio di Stato, sentenza 556/2006, 13 febbraio 2006).

LA RISPOSTA UAAR. Come ha riconosciuto la stessa Corte di Strasburgo, rigettando la sentenza del Consiglio di Stato, nell’ambito della pluralità di significati del crocifisso, quello religioso è comunque predominante. Ed è dunque l’esatto opposto di ‘laico’. Il concetto di ‘laicità’ implica infatti una separazione, o quantomeno una distinzione (come ama dire la Chiesa) tra Stato e confessioni religiose: è perciò alquanto incoerente che sia un simbolo religioso (di una specifica confessione religiosa) a simboleggiare lo Stato, perché in tal modo lo Stato trasmette il messaggio che si è schierato dalla parte della confessione rappresentata da quel simbolo, e quindi contro tutti coloro che non ne fanno parte. Il simbolo della Repubblica italiana riconosciuto dall’articolo 12 della costituzione è il tricolore: mostrando al suo posto o affiancandogli il crocifisso, è proprio lo Stato a non applicare il principio costituzionale di laicità dello Stato, definito dalla Corte Costituzionale con la sentenza 283/1989 come «garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale», perché il crocifisso è un simbolo di parte, e in quanto tale nega dunque in radice il pluralismo.

 

È UN SIMBOLO RADICATO NELLA CULTURA EUROPEA

TESI. «Ci sono 8 paesi d’Europa che hanno la croce nella loro bandiera… Cosa dovrebbero fare, cambiare la loro bandiera?» (dichiarazioni del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, 6 novembre 2009).

LA RISPOSTA UAAR. Innanzitutto, in nessuna bandiera è presente il crocifisso, simbolo cattolico: alcuni stati europei hanno invece la croce, che è poi un simbolo antichissimo, addirittura precedente il cristianesimo. L’eventuale origine religiosa di quelle croci è andata ormai persa, così come quasi nessuno è al corrente del perché siano stati scelti il bianco, il rosso e il verde nella bandiera italiana.

 

GARANTISCE IL DIRITTO ALLA LIBERTÀ RELIGIOSA

TESI. «Riconoscere la legittimità e il valore dell’esposizione del crocifisso significa garantire il rispetto della libertà religiosa» (il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della CEI, in una lettera inviata all’associazione «Umanesimo Cristiano» in occasione della tavola rotonda sul tema “Valori e diritto. Il caso del crocifisso”, svoltasi a Roma il 23 giugno 2010). 

LA RISPOSTA UAAR. È proprio la presenza del crocifisso a violare il diritto alla libertà religiosa, ha stabilito la Corte di Strasburgo, scrivendo che «il rispetto delle convinzioni dei genitori in materia di educazione deve tenere conto del rispetto delle convinzioni degli altri genitori». La libertà religiosa degli uni si ferma infatti dove comincia la libertà religiosa degli altri, altrimenti ogni credente dovrebbe avere diritto a vedere affisso il proprio simbolo nell’aula scolastica, e ogni non credente un simbolo dei principi in cui si riconosce. La Chiesa cattolica, invocando il principio di libertà religiosa, invoca dunque, in realtà, soltanto la propria libertà di poter esporre in esclusiva il proprio simbolo. La Chiesa cattolica ha del resto sempre inteso la libertà religiosa come libertà di poter agire come desiderava, vietando però per oltre un millennio e mezzo non solo la libertà religiosa delle altre comunità di fede, ma addirittura impedendone l’esistenza.

 

IL BUONSENSO LO RICHIEDE

TESI. «Penso che su questioni delicate come questa, qualche volta il buonsenso finisce di essere vittima del diritto» (il segretario PD Pier Luigi Bersani, dichiarazioni del 3 novembre 2009).

LA RISPOSTA UAAR. La delicatezza di una questione non è un buon motivo (come non lo sarebbe nessun altro motivo) per ricorrere, anziché al diritto, al buon senso. Il problema principale è però che il concetto di ‘buon senso’ è inevitabilmente soggettivo: quale ‘buon senso’? Quello di Bersani, quello di Benedetto XVI, quello di Osama bin Laden, quello di un laico? Meglio affidarsi alla capacità giuridica dei giudici di valutare se i diritti costituzionali e i trattati internazionali in materia di diritti individuali vengono rispettati, e al buon senso della Convenzione Europeaa sui Diritti dell’Uomo.

 

IMPEDISCE CHE SI COMPIA IL PRIMO PASSO PER GIUNGERE A VIETARE IL CRISTIANESIMO

TESI. «Non possiamo accettare che il Tribunale di Strasburgo ci tolga i crocifissi dalle scuole. È un principio non negoziabile. Se iniziamo a svenderlo ci incontreremo con la difficoltà anche di costruire le chiese per paura di offendere» (dichiarazioni del ministro degli esteri Franco Frattini, rilasciate durante una visita in una scuola a Gubbio, 10 settembre 2010).

LA RISPOSTA UAAR. Questo modo di ragionare è sbagliato, ed è conosciuto come “fallacia del piano inclinato”: per opporsi a una opinione sgradita si paventano conseguenze disastrose, non solo assolutamente indimostrabili, ma anche slegate dalle conseguenze ‘certe’ prodotte dall’applicazione di quella opinione. In realtà, i principi di libertà di coscienza e di laicità su cui si basa la richiesta che i crocifissi non siano affissi nelle aule scolastiche sono gli stessi che impongono che vi sia anche libertà di culto: l’errore, anche in questo caso, è di pensare che la libertà di culto si debba estendere agli spazi istituzionali. Vi deve essere libertà di edificare i luoghi di culto (cristiani e non), purché a spese dei rispettivi fedeli, purché non violino altre norme, quali per esempio i regolamenti urbanistici, uguali per tutti, e purché tali templi non siano edificati all’interno di edifici pubblici. Nessuno vuole vietare l’esposizione del crocifisso in edifici privati.

 

IMPEDISCE CHE SI CREI IL VUOTO

TESI. «Mi sembra che anche la sentenza usi un concetto di laicità, una concezione di laicità in senso esclusivista: cioè, una laicità che tenda ad escludere, quindi una laicità che crea spazio vuoto!» (dichiarazioni di mons. Aldo Giordano, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, 4 novembre 2009).

LA RISPOSTA UAAR. Al contrario. A seconda dell’età degli alunni le aule sono piene di disegni, lavori didattici, fotografie, cartine geografiche, ricerche, grafici, ecc. Tutti documenti, alcuni dei quali realizzati dai bambini stessi (e dunque più facili da «far propri») che possono essere analizzati criticamente, modificati, rimossi e sostituiti senza scandali. Semmai è il crocifisso che, come ogni oggetto sacro, crea il vuoto attorno a sé.

 

LA LEGGE LO IMPONE

TESI. «Nell’ordinamento italiano l’esposizione del crocifisso è regolamentata dal decreto legislativo 297/1994 (Testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado). In particolare, gli articoli 159 e 190 lo includono tra gli arredi delle aule» (affermazione pubblicata sul sito del governo italiano).

LA RISPOSTA UAAR. Il Testo Unico è facilmente recuperabile in rete, e gli articoli citati non accennano mai esplicitamente al crocifisso; né si comprende in quale fattispecie possa ricadere, tra quelle citate. Salvo smentite, è dunque lecito affermare che il sito del governo mente. Del resto, è stata la stessa Corte Costituzionale, con l’ordinanza del 15 dicembre 2004 (successiva quindi all’emanazione del Testo Unico), a stabilire che nessuna legge impone il crocifisso: a prevederlo sono solo regolamenti dell’epoca fascista, di un’epoca cioè in cui il cattolicesimo era religione di Stato. Come noto, dal 1985 non esiste più, in Italia, una religione di stato, e sia il Concordato del 1929, sia le modifiche del 1984 non accennano in alcun punto al crocifisso. Non si tratta dunque di norme con forza di legge, che possono essere sottoposte al giudizio della Corte Costituzionale, ma di norme regolamentari, cioè di livello secondario, che devono trovare fondamento in una legge: in seguito alla caduta del principio della religione di stato, quei regolamenti (che peraltro non fanno alcun riferimento alle scuole dell’infanzia, che dovrebbero dunque essere sicuramente prive dei simboli cattolici) hanno perso la base legislativa che avevano, e si trovano quindi in evidente contraddizione sia con il principio opposto introdotto nel 1985, sia con il principio di laicità autorevolmente riconosciuto dalla Corte costituzionale nel 1989. Sono pertanto da ritenersi abrogati.

 

LO VUOLE LA MAGGIORANZA

TESI. «Sono stufa di vedere burocrati europei che stanno lì a sindacare se si possa appendere un crocifisso nelle scuole. La maggioranza degli italiani lo vuole e questo vale anche per uno stato laico. Se qualcuno si offende, consiglio di prendere in considerazione l’idea di andare a vivere da qualche altra parte del mondo» (dichiarazioni del ministro della Gioventù Giorgia Meloni alla convention del Popolo delle Libertà ad Arezzo, 23 gennaio 2010).

LA RISPOSTA UAAR. In democrazia non si impone mai la volontà della maggioranza sui principi fondamentali: la democrazia si fonda sul rispetto e sulla garanzia delle minoranze, in modo particolare nel campo delle libertà civili. È stata la stessa Corte di Strasburgo a scrivere di non vedere «come l’esposizione, nelle aule delle scuole pubbliche, di un simbolo che è ragionevole associare al cattolicesimo (la religione maggioritaria in Italia) possa servire al pluralismo educativo che è essenziale per la preservazione di una “società democratica” così come concepita dalla Convenzione» sui diritti dell’uomo. Esporre un simbolo di parte in un contesto pubblico con la pretesa che rappresenti tutti costituisce dunque una fuoriuscita dalla democrazia: non a caso, solo nei paesi retti da regimi autoritari è possibile osservare il simbolo di un partito affisso negli edifici pubblici. Negli uffici pubblici devono trovare legittima collocazione solo simboli, come la bandiera nazionale o l’immagine del Presidente della Repubblica, in cui si può effettivamente esprimere l’idea di unità nazionale. Solo così si realizza il fondamentale principio dell’uguaglianza previsto dall’art. 3 Cost., per il quale «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Se l’effettiva attuazione di questo principio dovesse dipendere dall’appartenenza al gruppo maggioritario, ogni uguaglianza svanirebbe.

 

NON CI FOSSE, SI PROMUOVEREBBE L’ATEISMO

TESI. «L’eliminazione dei simboli religiosi dalla vita pubblica» conduce «alla promozione di ateismo o di agnosticismo» (dal ricorso presentato dal governo italiano alla Grande Camera, 28 gennaio 2010).

LA RISPOSTA UAAR. Pensare che un muro bianco promuova l’ateismo equivale a sostenere che anche qualsiasi foglio di carta bianco faccia lo stesso, solo perché non è stato ancora utilizzato per scrivere di religione. Un invito all’ateismo può essere rappresentato esclusivamente dalla presenza di simboli atei, o di affermazioni sull’inesistenza o l’improbabilità dell’esistenza di Dio. Non si stanno dunque togliendo simboli religiosi dalla vita pubblica, ma restituendo spazi istituzionali alla loro necessaria neutralità. La tesi in questione finisce per ammettere, necessariamente, che la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche una funzione ce l’ha: promuovere esplicitamente la religione.

 

NON FASTIDIO

TESI. «I simboli religiosi in classe non danno fastidio a nessuno» (dichiarazioni del presidente della Camera Gianfranco Fini, 21 novembre 2009).

LA RISPOSTA UAAR. Né a noi né ai giudici di Strasburgo il crocifisso dà fastidio: è semplicemente un simbolo fuori luogo, perché discrimina. Il problema è malposto in partenza, perché scrivendo «non dà» anziché «a me non dà» si decide, soggettivamente, che «non può dare» fastidio a nessuno. Il condizionamento che producono è diverso: come ha scritto la Corte, «la scolarizzazione dei bambini rappresenta un settore particolarmente sensibile poiché, in questo caso, il potere vincolante dello Stato è imposto a degli animi cui manca ancora (secondo il livello di maturità del bambino) la capacità critica che permette di prendere distanza rispetto al messaggio derivante da una scelta preferenziale espressa dallo Stato in materia religiosa». Il crocifisso è dunque il simbolo imposto di una perdurante discrimazione: ed è l’esistenza di questa discriminazione a dare fastidio. La stessa Corte ha anche riconosciuto che, «per come viene esposto, è impossibile non notare il crocifisso nelle aule scolastiche. La presenza del crocifisso può facilmente essere interpretata da studenti di qualsiasi età come un segno religioso ed essi si sentiranno educati in un ambiente scolastico contrassegnato da una data religione. Ciò che può essere incoraggiante per alcuni studenti religiosi, può essere emotivamente perturbante per studenti di altre religioni o per coloro che non professano nessuna religione. Questo rischio è particolarmente presente tra gli studenti che appartengono a minoranze religiose». Non sappiamo quanti cattolici si offenderebbero se trovassero, nelle aule scolastiche, il simbolo dell’UAAR, ma sappiamo che in Italia una religione di Stato non c’è più e che quindi sia il simbolo cattolico, sia qualunque altro, in un’aula scolastica non ci devono stare, perché sono incapaci di rappresentare tutti i cittadini italiani: cattolici, atei, agnostici, cristiani non cattolici e credenti non cristiani. Né fastidio né offesa, quindi: si è di fronta a una discriminazione, evidenziata anche dalle comunità religiose di minoranza, che hanno quasi tutte accolto con soddisfazione la sentenza di Strasburgo. Del resto, non dà fastidio nemmeno l’assenza del crocifisso: nella maggioranza dei paesi occidentali non ci sono. Né ci sono in molte scuole italiane, e mancano anche in molte università e in alcuni tribunali italiani. E allora, perché imporli con la forza del potere politico? Perché non chiedere alla Chiesa cattolica perché lo vuole mettere: anzi, perché lo vuole far mettere dall’autorità politica?

 

RAPPRESENTA LA CULTURA ITALIANA

TESI. «I programmi di italiano (letteratura), storia e filosofia sono pieni di riferimenti cristiani. Andrebbe abolito anche questo tipo di studio perché provoca l’orticaria nei ragazzi di famiglie immigrate? Ovvio. Gentaglia come San Francesco, Dante (che si occupa di inferni, purgatori e paradisi) e Manzoni, per citare nomi «abbastanza» noti: via, fuori dai libri di testo perché nociva alla salute mentale della gioventù. È evidente. Siamo in presenza di un problema psichiatrico» (Il direttore de Il Giornale Vittorio Feltri, nell’articolo Crocifissi vietati a scuola? I giudici Ue bevono troppo, pubblicato il 4 novembre 2009).

LA RISPOSTA UAAR. A parte il fatto che il crocifisso è ovviamente un simbolo religioso e di una particolare confessione religiosa, se dovesse entrare nella scuola statale come simbolo lo dovrebbe fare come oggetto di studio tra gli oggetti di studio, all’interno di ricerche critiche sui simboli antichi e moderni, religiosi e non religiosi. Ma, soprattutto, non va confuso il contenuto culturale della scuola con i suoi arredi e con i simboli esposti. Farebbe lo stesso una scuola in cui si spiegasse il contenuto filosofico del marxismo, insieme alle altre dottrine politiche, in aule in cui campeggiano, dietro alle spalle dell’insegnante, ritratti di Karl Marx o manifesti con falce e martello. Qualcuno può davvero immaginare che la richiesta di togliere il manifesto marxista equivalga alla pretesa di non far conoscere agli studenti opere letterarie di scrittori comunisti italiani, magari altrettanto critici verso il socialismo reale quanto Dante fu critico nei confronti del potere temporale della chiesa cattolica? A scuola si studia e si deve continuare a studiare il paganesimo, ma nessuno vede la necessità di farlo in presenza di una statua di Giove. C’è dunque una differenza radicale, e anche abbastanza ovvia, tra ciò che entra nei programmi scolastici come materia di studio, e quindi anche di vaglio critico, e ciò che viene affisso alla parete come simbolo, sottratto, nella sua fissità di icona, al mutare dei contenuti e all’esercizio della critica.

 

RAPPRESENTA L’IDENTITÀ, I VALORI, I SENTIMENTI DEL POPOLO ITALIANO

TESI. Vi è «la necessità di salvaguardare e valorizzare il tradizionale patrimonio identitario e di valori espresso, in particolare nei paesi europei e nel nostro paese, dalla millenaria presenza cristiana e cattolica. La laicità dell’Europa non può essere concepita e vissuta in termini tali da ferire sentimenti popolari elementari e profondi» (il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in una lettera inviata all’associazione «Umanesimo Cristiano» in occasione della tavola rotonda sul tema “Valori e diritto. Il caso del crocifisso”, svoltasi a Roma il 23 giugno 2010).
LA RISPOSTA UAAR. Nessun governo dovrebbe poter aggirare la legge vigente in nome di questo o quel principio (tradizione, religione o quant’altro), altrimenti qualsiasi governo potrebbe scegliere un altro simbolo, definirlo ‘tradizionale’ e sostituirlo al crocifisso. Il ricorso alla tradizione è del resto un altro classico errore argomentativo: anche la schiavitù, la poligamia o l’infibulazione sono pratiche tradizionali, ma non per questo sono giustificabili. L’ateismo, poi, è, se possibile, ancora più tradizionale del cristianesimo: uomini dichiaratamente atei sono vissuti in Italia 500 anni prima di Cristo. Ricordiamo inoltre come l’Italia, per unirsi, abbia dovuto dichiarare guerra al papa: curioso poi che come simbolo di ‘italianità’ si proponga un simbolo proposto anche, contraddittoriamente, come simbolo ‘universale’. Il nostro paese ha del resto molte radici, alcune delle quali avverse o comunque irriducibili al cristianesimo: quella della civiltà greco-romana, per esempio, ma anche quella illuministica, quella risorgimentale, quella social comunista, anarchica e liberale. La nostra ricchezza dipende anche da questa varietà di influenze, non riducibile alla omologazione nella confessione cattolica. Il crocifisso rappresenta dunque soltanto l’identità dei cattolici, in un paese in cui i non cattolici sono circa un quarto della popolazione. E pensare di accontentare i cattolici solo perché hanno sentimenti «elementari» significa oltretutto offenderli.

 

SOLUZIONE BAVARESE

TESI. «1. In considerazione del valore della cultura religiosa, del patrimonio storico del popolo italiano e del contributo dato ai valori del costituzionalismo, come segno del valore e del limite delle costituzioni delle democrazie occidentali, in ogni aula scolastica, con decisione del dirigente scolastico, è affisso un crocifisso. 2. Se l’affissione del crocifisso è contestata per motivi religiosi o di coscienza dal soggetto che ha diritto all’istruzione, ovvero dai suoi genitori, il dirigente scolastico, sulla base del princìpio di autonomia scolastica, nel rispetto dei princìpi di tutela della privacy e di non discriminazione nonché tenendo conto delle caratteristiche della comunità scolastica, cerca un accordo in tempi brevi, anche attraverso l’esposizione di ulteriori simboli religiosi. 3. Qualora non venga raggiunto alcun accordo ai sensi del comma 2, nel rispetto dei princìpi di cui al medesimo comma 2, il dirigente scolastico adotta, previo parere del consiglio di circolo o di istituto, una soluzione che operi un giusto contemperamento delle convinzioni religiose e di coscienza di tutti gli alunni della classe coinvolti e che realizzi il più ampio consenso possibile» (disegno di legge n. 1947 presentato dal senatore Stefano Ceccanti e da altri dieci senatori del PD in data 18 dicembre 2009).

LA RISPOSTA UAAR. L’UAAR pensa che la soluzione bavarese sia assolutamente sbilanciata. Verrebbe infatti istituito un procedimento di conciliazione che esporrebbe gli studenti e i genitori che volessero che i crocefissi fossero tolti a esporsi pubblicamente, violando la loro privacy, in modo che eventuali autorità scolastiche clericali potrebbero poi ridicolizzarli e decidere di lasciare il crocifisso: oltre al danno anche la beffa. Quanti studenti che volessero fare la richiesta, avrebbero poi il coraggio di farla? È tollerabile che sia violata la privacy in una materia così delicata? E nei tribunali, che effetto avrebbe la “soluzione bavarese”? Mettiamo o togliamo i simboli prima di ogni procedimento a seconda dell’imputato? E se sono coimputati un cattolico e un induista?