Il commento del giudice Luigi Tosti al testo della sentenza di condanna

Il mio primo commento telegrafico è il seguente.

  1. Il Tribunale ha completamente eluso la questione relativa alla nullità dell’intero dibattimento, derivante dal giustificato motivo (presenza dei crocefissi nelle aule giudiziarie italiane) per il quale io, nella mia qualità di “imputato” e adducendo gli stessi motivi di libertà di coscienza ritenuti fondati dalla Cassazione nella sentenza 439/2000, mi sono rifiutato di presenziare all’udienza: non è stata neppure vagliata la richiesta di sollevare conflitto di attribuzione o eccezione di incostituzionalità delle norme processuali che consentono la celebrazione del processo in assenza dell’imputato che, per motivi di libertà di coscienza collegati alla presenza obbligatoria dei crocefissi nelle aule di giustizia, si rifiuta di presenziare al dibattimento.
  2. il Tribunale ha omesso di esaminare il primo motivo da me addotto a sostegno della legittimità del mio rifiuto, e cioè che l’Amministrazione mi aveva negato il diritto di esporre la mia menorah ebraica a fianco del crocifisso, così compiendo un atto di discriminazione religiosa che ledeva sia il mio diritto costituzionale all’eguaglianza (che implica il diritto alla non discriminazione) che il mio diritto di libertà religiosa (non a caso l’art. 58 del regolamento penitenziario attribuisce a tutti i detenuti - e non ai soli detenuti cattolici - il diritto di esporre i propri simboli nell’ambiente penitenziario). Infatti, in relazione a questo comportamento “discriminatorio” dello Stato italiano “laico” (?!?!?!), che integra gli estremi della disciminazione religiosa prevista e punita come reato dall’art. 3 della L. 654/1975, io ho addotto di essermi rifiutato di esercitare le mie mansioni innanzitutto per legittima difesa, cioè per evitare di subire la discriminazione religiosa derivante sia dal diniego di esposizione del mio simbolo che dalla contestuale imposizione di un altro simbolo, nel quale non solo non mi identifico, ma dal quale mi dissocio per la sua storia criminale. Era dunque onere del Tribunale valutare la sussistenza o meno di questa scriminante e, comunque, di motivare per quale astruso motivo la mia richiesta di esporre il mio simbolo a fianco del crocifisso cattolico - cioè la “pretesa” di avere gli stessi diritti e la stessa dignità dei cattolici - dovesse ritenersi infondata e pretestuosa;
  3. del tutto erronea è l’affermazione che i principî relativi all’esimente della “libertà di coscienza”, ritenuta sussistente dalla Cassazione nel caso del prof. Montagnana, non siano applicabili alla fattispecie del reato di “Omissione di atti di ufficio”, in quanto tale norma penale non prevede l’esimente speciale del “giustificato motivo”. Innanzitutto l’art. 328 del codice penale sancisce che la punibilità del reato è subordinata alla circostanza che il rifiuto sia «…indebito» e cioè che non sussista un giustificato motivo di rifiuto: pertanto le due ipotesi sono uguali. In secondo luogo - come vanamente esposto nella memoria difensiva - la Cassazione penale ha applicato l’esimente del «giustificato motivo» soltanto perché l’art. 108 D.P.R. 30.3.1957 n. 361 prevedeva espressamente questa scriminante: nel caso in cui essa non fosse esistita, tuttavia, è la stessa Corte di Cassazione che ha ventilato nella sentenza Montagnana, in modo esplicito, la necessità di sollevare una vera e propria eccezione di incostituzionalità.
    1. che l’esposizione del solo crocifisso lede i diritti inviolabili (libertà di coscienza) dello scrutatore e, quindi, necessariamente anche quelli dei votanti (si tratta, infatti, di diritti soggetti assoluti inviolabili, che possono esser fatti valere anche dal singolo erga omnes);
    2. che, se l’art. 108 del DPR n. 361/1957 non avesse contemplato la clausola del «giustificato motivo», la Corte sarebbe stata addirittura costretta a sollevare l’eccezione di incostituzionalità della norma, in quanto lesiva dei diritti inviolabili dello scrutatore (e quindi anche dei votanti).
  4. Così si esprime, infatti, la Corte al punto 9 della motivazione: «la libertà di coscienza… va tutelata nella massima estensione compatibile con altri beni costituzionalmente rilevanti e di analogo carattere fondante, come si ricava dalle declaratorie di illegittimità costituzionale delle formule del giuramento…: ma, nel caso, non si pongono problemi a livello costituzionale, giacché il bilanciamento degli interessi è già assicurato nella previsione della clausola penale del giustificato motivo».

    Il che, argomentando a contrario, significa due cose:

    E la riprova concreta di queste argomentazioni a contrario è rappresentata proprio dalla giurisprudenza costituzionale che si è interessata dei vari casi di “libertà di coscienza” e, in particolare, del caso dei testi che si sono rifiutati di prestare il giuramento a causa dei riferimenti alla Divinità contenuti nelle formule prescritte dalla legge, così incappando nel reato di cui all’art. 366 del codice penale che punisce il teste che rifiuta di prestare il giuramento. In quei casi, infatti, la norma penale non prevede alcuna esimente specifica per l’ipotesi di «…rifiuto di testimoniare per giustificati motivi» ma, nonostante questo, il teste è stato poi assolto, dopo che la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme processuali che imponevano di giurare in nome di Dio. Quindi è assolutamente infondato l’assunto che l’esimente della «libertà di coscienza» può essere applicata solo in presenza di norma penale che contempli la clausola del giustificato motivo.

  5. Singolarissime sono le statuizioni circa la “tardività” dell’esercizio dell’esimente della «libertà di coscienza» e la «pretestuosità» del mio rifiuto a esercitare le mie funzioni, nonostante mi fosse stata messa a disposizione un’“aula-ghetto” allestita senza crocifisso.
  6. Innanzitutto la Cassazione penale, nella sentenza n. 439 dell’1/3/2000, ha evidenziato che l’obbligo dello Stato di rimuovere i simboli riguarda tutte le aule, essendo addirittura irrilevante l’occasionale assenza del crocifisso (e il Montagnana, in effetti, oppose un rifiuto pur in assenza del crocifisso): sicché la «soluzione» dell’aula-ghetto è giuridicamente ininfluente e inaccettabile.
    In secondo luogo la circostanza che io abbia eventualmente tollerato la lesione di miei diritti di rango costituzionale per un determinato tempo o nell’occasione dell’episodio menzionato dal P.M., allorché tra l’altro ignoravo gli esatti termini della questione, non vale a farmi “decadere” dai miei diritti soggettivi assoluti di rango costituzionali, quali il diritto all’eguaglianza e alla libertà religiosa, trattandosi al contrario di diritti imprescrittibili e non soggetti a decadenze (tra l’altro il diritto di libertà religosa implica la facoltà di mutare opinione e/o credo quando e come si vuole).
    L’affermazione che il dott. Tosti avrebbe dovuto accettare la “soluzione” dell’aula “ghetto”, appositamente “allestita” per lui, è assolutamente inaccettabile e sconfina addirittura nella “legalizzazione” del reato di discriminazione religiosa, sanzionato penalmente e, comunque, vietato dalla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Senza considerare l’assoluta impraticabilità di questa “soluzione” nei giudizi collegiali. Né è da sottovalutare la circostanza che, come magistrato, vengo sovente applicato in altre sedi, anche al di fuori del distretto della Corte di Appello, sicché il regime di apartheid che mi si vorrebbe imporre sino al pensionamento è quanto di più assurdo, ridicolo e lesivo e della mia dignità umana si possa concepire. È un vero delirio che certe cose vengano scritte dai giudici nelle sentenze.
    La soluzione dell’“aula-ghetto” è infine estremamente contraddittoria perché, se l’Amministrazione ha ritenuto che la presenza dei crocifissi fosse legittima e obbligatoria alla luce di una circolare fascista, tuttora vigente, al punto tale da non consentirne la rimozione e da costringermi a intraprendere un giudizio amministrativo dinanzi al TAR, non si capisce perché poi la stessa Amministrazione vìoli tale normativa addobbando alcune aule senza di essi e pretendendo, inoltre, che alcuni suoi dipendenti le debbano utilizzare: la legge è obbligatoria per tutti e non è consentito applicarla o disapplicarla a piacimento di chi, oltre tutto, è istituzionalmente tenuto a farla osservare.

    Camerino, 30 dicembre 2005