Crocifissi nei seggi elettorali: l’UAAR ricorre al TAR contro il Ministro dell’interno

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO

RICORSO A NORMA DELLART. 21 BIS L. 1074/71

della Unione degli atei e degli agnostici razionalisti (UAAR),
in persona del segretario nazionale Giorgio Villella,
rappresentato e difeso dall’avv. Marcello De Cesaris
e presso di lui in Roma, Via Mangili 32/A, elettivamente domiciliato,

contro

il Ministro dell’Interno, per l’annullamento del rifiuto tacitamente espresso dal Ministro dell’Interno di emettere i provvedimenti di sua competenza per assicurare l’assenza dei crocifissi e di ogni altra immagine di carattere religioso nei seggi elettorali così come chiesto dall’UAAR con lettera del 15 dicembre 2000 e poi con diffida notificata il 10 dicembre 2001, e (in via alternativa) per la dichiarazione della illegittimità del silenzio serbato dal Ministro dell’Interno sulla predetta diffida e dell’obbligo del Ministro stesso di pronunciarsi su di essa nel breve termine che sarà stabilito dal Tribunale.

I precedenti in fatto

Con lettera del 15 dicembre 2000 l’UAAR ha chiesto al Ministro dell’Interno l’emanazione delle disposizioni di sua competenza perché sia esclusa l’affissione di crocifissi all’interno dei seggi elettorali (doc. n° 2).

Con riferimento a tale istanza il segretario particolare del Ministro ha trasmesso all’UAAR, con lettera del 27 gennaio 2001, un breve appunto «dei competenti uffici» (ma privo di intestazione e di firma), secondo il quale sarebbe tuttora valida la normativa degli anni dal 1924 al 1928 circa l’esposizione del crocifisso nelle scuole e che comunque «non sussiste un obbligo né un divieto circa l’esposizione del crocifisso negli uffici pubblici in genere» (doc. n° 3).

Ritenendo che questa lettera non costituisse una risposta né positiva né negativa all’istanza, l’UAAR l’ha reiterata in data 7 febbraio 2001 (doc. n° 4).

Rimasta senza risposta alcuna anche questa successiva istanza, l’UAAR ha fatto notificare al Ministro dell’Interno, in data 10 dicembre 2001, la diffida in epigrafe (doc. n° 5); che è rimasta anch’essa senza esito.

Di qui il presente ricorso.

    Premessa sull’interesse legittimo dell’Unione ricorrente

    L’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti (UAAR) è una associazione costituita con atto n. 19025 di rep. not. Doria di Padova in data 27 marzo 1991 (doc. n° 1). Suo scopo statutario è, come risulta dallo statuto sociale, la riaffermazione e la difesa della laicità dello Stato italiano. Ogni atto o comportamento di una pubblica amministrazione che contraddica a questo carattere lede perciò l’interesse di cui l’UAAR è portatrice.

    Si tratta di un interesse personale perché riferibile direttamente ad un soggetto: l’associazione che ha per scopo la tutela appunto di quell’interesse. E si tratta di un interesse legittimo perché può essere soddisfatto soltanto da un’attività in una certa misura discrezionale della pubblica amministrazione.

    Con un analogo ordine di argomentazioni s’è ritenuta la legittimazione delle associazioni ambientaliste a ricorrere in via giurisdizionale avverso atti e comportamenti omissivi delle pubbliche amministrazioni competenti a gestire gli interessi pubblici che ad esse stanno specificamente a cuore. In questo tipo di interventi si iscrivono pure le istanze sopra riferite dell’UAAR e il presente ricorso.

    Sulla specificità del procedimento ex art. 21 bis l. 1074/71

    Il giudizio sull’impugnazione del silenzio rifiuto tende a stabilire se la pretesa disattesa dall’amministrazione sia fondata o no. Il silenzio dell’amministrazione qualificato dalla diffida è, infatti, un comportamento cui la legge attribuisce il significato del diniego dell’atto richiesto, e stabilire se il silenzio è illegittimo o no significa perciò stabilire se è o no illegittimo il rifiuto di quell’atto. S’intende che l’obbligo di provvedere può sussistere soltanto nell’an o può non sussistere affatto se anche sotto questo profilo l’atto sia del tutto discrezionale o se la pretesa appaia palesemente infondata. Ma sia pure in questi limiti deve ritenersi, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato a partire da VI^ sez. 26 febbraio 1982 n. 92 (e vd. ivi i precedenti) che in via generale l’obbligo di provvedere non vada dichiarato in astratto ma in relazione alla domanda, che non è di una pronuncia purchessia ma di un provvedimento satisfattorio dell’interesse che si fa valere. Giudicando, pertanto, sull’impugnazione di un silenzio rifiuto il giudice amministrativo dirà, di regola, se l’amministrazione abbia l’obbligo di emettere il provvedimento che gli è stato richiesto; e se trattasi di attività vincolata dirà se è fondata la pretesa sostanziale del ricorrente.

    Tuttavia l’art. 21 bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dall’art. 2 della legge 22 luglio 2000, n. 205, a norma del quale è proposto il presente ricorso, è interpretato dalla più recente e più autorevole giurisprudenza del Consiglio di Stato (ad. plen. 9 gennaio 2002, n. 1) nel senso che, siccome trattasi di un procedimento camerale e sommario, non debba dar luogo ad una pronuncia sulla pretesa sostanziale fatta valere dall’interessato ma soltanto ad un accertamento circa l’obbligo dell’amministrazione a determinarsi su tale pretesa.

    Pertanto l’illustrazione delle ragioni giuridiche che sorreggono la domanda servirà anzitutto a convincere il T.A.R. che essa è meritevole di considerazione da parte del Ministro dell’interno e che dunque questi è tenuto a determinarsi su di essa, e a farlo prima della tornata elettorale prevista per il prossimo mese di maggio.

    Ma se il T.A.R. ritenesse di aderire ad una diversa interpretazione del predetto art. 21, quale quella pure recente della V^ sezione del Consiglio di Stato del 28 dicembre 2001, n. 6465, i motivi del ricorso dovrebbero indurlo a dichiarare l’obbligo del Ministro dell’Interno a provvedere nel senso richiesto dall’UAAR; e per tale ipotesi si conclude anche, in via alternativa, per l’annullamento del silenzio-rifiuto.

Motivi dell’impugnazione

violazione del principio di laicità dello Stato (artt. 3 e 19 della Costituzione, art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848); violazione del principio di imparzialità dell’amministrazione (art. 97 della Costituzione).

Dall’art. 19 della Costituzione, che tutela la libertà di religione non solo positiva ma anche negativa, vale a dire anche la professione di ateismo o di agnosticismo (Corte cost., 10 ottobre 1979 n. 117; Corte cost. 8 ottobre 1996 n. 334), dall’art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che tutela la libertà di manifestare «la propria religione o il proprio credo», e dall’art. 3 della Costituzione che garantisce l’uguaglianza di tutti i cittadini, la Corte costituzionale ha ricavato il principio di laicità dello Stato; intesa, la laicità, come garanzia del pluralismo confessionale e culturale (Corte cost. 12 aprile 1989 n. 203; Corte cost. 19 dicembre 1991 n. 467). E l’ha dichiarata, la laicità, principio «supremo» dell’ordinamento costituzionale (Corte cost. 8 ottobre 1996 n. 334), che su ogni altro ha «priorità assoluta e carattere fondante» (Corte cost. 5 maggio 1995 n. 149).

Richiamandosi a questa ferma ed assolutamente esplicita giurisprudenza costituzionale la Corte di Cassazione (sez. IV^ pen.,1^ marzo 2000 n. 439) ha ritenuto giustificato il rifiuto di assumere le funzioni di scrutatore da parte di un cittadino al quale non era stata garantita l’assenza del crocifisso dal seggio elettorale, muovendo dalla considerazione che «l’imparzialità della funzione di pubblico ufficiale è strettamente correlata alla neutralità dei luoghi deputati alla formazione del processo decisionale nelle competizioni elettorali, che non sopporta esclusivismi e condizionamenti sia pure indirettamente indotti dal carattere evocativo, cioè rappresentativo del contenuto di fede, che ogni immagine religiosa simboleggia», e che il supremo principio di laicità dello Stato e il pluralismo che esso garantisce «induce a preservare lo spazio pubblico della formazione e della decisione dalla presenza, e quindi dal messaggio sia pure a livello subliminale, di immagini simboliche di una sola religione».

Il rifiuto del Ministro dell’Interno, manifestato col silenzio dopo la diffida, di garantire la «neutralità» dei seggi elettorali è, dunque, illegittimo. E (considerazione, quest’ultima, irrilevante sotto il profilo della legittimità ma non per quanto attiene al termine che il Tribunale assegnerà al Ministero per provvedere, se a questo si ridurrà la sua pronuncia) rischia di viziare le prossime consultazioni elettorali o almeno di porre le premesse di diffuse contestazioni nei seggi.

P.Q.M.

l’Unione ricorrente chiede che il Tribunale Amministrativo Regionale adìto annulli il silenzio rifiuto di cui in epigrafe dichiarando che il Ministro dell’Interno ha il dovere di emanare i provvedimenti di sua competenza per assicurare l’assenza di crocifissi e di qualsiasi altra immagine di carattere religioso nei seggi elettorali; o in via alternativa dichiari l’obbligo del Ministro dell’Interno di provvedere sulla istanza dell’UAAR specificata in epigrafe entro il breve termine che gli sarà assegnato.

Saranno depositati, insieme col ricorso, i seguenti documenti:

  1. atto costitutivo e statuto dell’UAAR in copia autentica;

  2. lettera del 15 dicembre 2000 dell’UAAR al Ministro dell’Interno;

  3. lettera del 27 gennaio 2001 del segretario particolare del ministro dell’Interno all’UAAR;

  4. lettera del 7 febbraio 2001 dell’UAAR al Ministro dell’Interno;

  5. diffida notificata il 10 dicembre 2001.

Mandato: Nella mia qualità di legale rappresentante dell’Unione Atei e Agnostici Razionalisti delego a rappresentarmi e difendermi l’avv. Marcello De Cesaris ed eleggo domicilio presso di lui in Roma, Via Mangili 32/A.

La firma è autentica.


Il Tar del Lazio, con sentenza del 18 aprile 2002, ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’UAAR, rilevando comunque la sussistenza di giuste ragioni per compensare integralmente fra le parti le spese del giudizio. La sentenza è motivata dal TAR con la tesi che «il firmatario della lettera del 27 gennaio 2001 ha chiarito di aver risposto «… per incarico del Signor Ministro», e non in nome proprio», pertanto tale lettera costituirebbe un provvedimento aministrativo, facendo venire meno le condizioni per un ricorso basato sul silenzio-rifiuto.